Le convergenze parallele sul federalismo di Reginaldo Palermo da Pavone Risorse, 8.9.2010 C’è un passaggio del brillante e stimolante intervento di Stefanel sul quale mi voglio soffermare. Per comodità dei lettori, lo ripropongo qui integralmente: Esiste in Italia un milione di persone che non vogliono cambiare e lo fanno sapere sempre a chiare lettere: sono i dipendenti del Miur, cioè siamo noi, desiderosi solo di affermare noi stessi, ma incapaci di difendere il sistema dalle sue abnormità.
Proviamo a ricordare i momenti salienti. Contro il concorsone di berlingueriana memoria scesero in sciopero centinaia di migliaia di docenti dando vita a una delle più massicce proteste della storia della scuola italiana. Forse, nel concreto, la proposta di Berlinguer (che però, non dimentichiamolo mai, era stata concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi) era discutibile e avrebbe dovuto essere perfezionata. E invece, anziché mettersi a discutere nel merito, il “popolo della scuola” scelse la strada più semplice: “no alla valutazione degli insegnanti, perché siamo tutti uguali”. Il Governo, anziché sostenere Berlinguer e affrontare la questione della valutazione, scelse anch’esso la strada più facile, cedendo alle proteste e rimandando ogni decisione. Poi arrivarono il tutor e il portfolio della Moratti: poteva essere l’occasione per riflettere sulla funzione docente e per individuare possibili percorsi di ricerca. Ma anche in questo caso si decise di percorrere la strada più facile: con slogan quanto meno approssimativi (“il tutor gerarchizza i docenti”, “il portfolio marchia gli alunni”) la proposta venne bloccata (per inciso: a scioperare contro la Moratti furono molto spesso gli stessi docenti che avevano scioperato contro Berlinguer, lo scrivo a ragion veduta, numeri alla mano, o almeno questo è quello che accadde in molte scuole che conosco). Due anni fa fu la volta del “maestro unico” (clamoroso errore del ministro Gelmini, precisiamolo) che però avrebbe potuto dare il via ad un serio lavoro di riflessione su come viene utilizzato l’organico nella scuola primaria italiana.
E invece, in
pochi, pochissimi, hanno sentito il bisogno di avviare un processo
di riflessione. Il tutto ha portato ai risultati che ben sappiamo. Prevedibili gli slogan: “No alla balcanizzazione della scuola”, “Manteniamo l’unità nazionale”, “Sì ai programmi nazionali”, “No alla deriva regionalistica”, ecc… Ma questa volta il film potrebbe avere sviluppi imprevisti. Il punto è che, ormai, la regionalizzazione del sistema scolastico è un dato di fatto e gli slogan potranno, semmai, rallentare il processo ma non certamente bloccarlo. Il fatto è che, questa volta, a poco varranno le resistenze sindacali perché gli interessi in gioco sono troppo alti. Del tutor e del concorsone non importava nulla ad almeno 50 milioni di italiani, ma adesso la musica sta cambiando: non sono più in gioco interessi più o meno particolari o addirittura corporativi. Questa volta si discute del reale funzionamento di un servizio pubblico essenziale e del ruolo che potranno giocare enti locali e agenzie del territorio. Questa volta il “popolo della scuola” potrebbe trovarsi isolato e neppure l’opposizione parlamentare gli farà da sponda. D’altronde l’opinione pubblica non è più quella di 20 anni fa. Lo sottolinea anche Giancarlo Cavinato, quando ricorda che molti anni fa la ricerca d’ambiente (una “invenzione” del Movimento di Cooperazione educativa) veniva vista spesso con sospetto perché considerata una formula angusta; mentre ora la valorizzazione della cultura locale viene spesso apprezzata e sostenuta soprattutto dalle regioni e dagli enti locali del nord (e in particolare da quelli di provata fede leghista). Sulla questione del federalismo il “popolo della scuola” deve fare molta attenzione perché potrebbe diventare trasformarsi in una mezza Caporetto dei “movimenti” e di coloro che sono convinti della bontà del modello centralista. Anche perché, a sinistra, a sostenere il centralismo statale sono rimasti davvero in pochi. Il “popolo della scuola” forse non se n’è accorto ma in questi anni, da Moratti in poi, i ricorsi che le Regioni hanno presentato alla Consulta su alcuni provvedimenti di politica scolastica non hanno mai riguardato il merito delle “riforme” ma sempre e soltanto la questione del rapporto Stato-Regioni. E sono proprio le Regioni (senza distinzione di colore politico) che oggi chiedono un diverso modello organizzativo del sistema scolastico. Questa volta a non volere il cambiamento potrebbero essere davvero soltanto i dipendenti del Miur e basta. Che poi, in questa fase, alcune giunte regionali stiano dando man forte alle proteste del mondo della scuola è tutt’altra questione e rientra nella logica spietata della politica, ma la sconfitta del “popolo della scuola” potrebbe essere più vicina di quanto non si pensi. |