scuola

Ma chi è il buon insegnante?
Un dilemma lungo 30 anni...

Luisa Ribolzi il Sussidiario, 29.9.2010

Sulla centralità della “questione insegnante” c’è un diffuso accordo: non è possibile una buona scuola senza buoni insegnanti. Su che cosa significhi “buoni” insegnanti, su come sia possibile selezionarli, formarli, valutarli, incentivarli, l’accordo è assai meno diffuso, e questo è comprensibile: meno comprensibile è che ogni volta se ne parli come se si trattasse di un’emergenza improvvisa, imputabile alle dissennate politiche del ministro attuale, o dei ministri precedenti, a seconda di chi esprime il suo parere. Questo non solo è scorretto, ma è falso: per un lavoro che sto facendo, ho ripreso in mano le sezioni sulla scuola dei rapporti Censis, dal primo che possiedo (l’undicesimo), che costituiscono probabilmente la più completa radiografia della scuola italiana, e da queste pagine emerge con assoluta chiarezza che i temi oggi dibattuti (il precariato, la qualificazione, l’uso della scuola come agenzia di collocamento dei laureati in eccesso…) sono presenti da più di trent’anni, e nessun governo, di nessun colore, pare aver preso coscienza della situazione, o aver manifestato una precisa volontà di affrontarli a partire dalla qualità della scuola, e non a partire dalla tutela dei docenti occupati. La lettura dei testi che seguono mi sembra quindi un utile monito.

«Se in termini di politica scolastica e di utilizzo delle risorse appare inevitabile contenere l’assorbimento di nuovo personale entro termini ragionevoli, d’altro canto ci si deve interrogare sulle conseguenze che produce su un’offerta straripante una diminuzione della domanda di 15-20.000 unità all’anno rispetto ai periodi precedenti…. (Gli insegnanti statali erano 654.945, di cui 127.554 non di ruolo (19,4%) in seguito alla massiccia immissione dell’anno precedente: erano il 44,5%, ndr)». (XI Rapporto, 1977).

«Si è andata sviluppando negli ultimi anni una dinamica di consolidamento dei fini secondari, di quelli attribuibili cioè agli addetti piuttosto che agli utenti. La politica scolastica incentrata prevalentemente sulla politica del personale (non bisogna dimenticare che più del 90% della spesa è riservata a quest’ultimo) sembra aver giocato (e giocare) un ruolo prevalente, se si va a verificare il numero e la qualità dei provvedimenti adottati nel corso del tempo». (XII Rapporto, 1978).

«[il governo del complesso deve essere attento] al governo della risorsa più impegnativa e vasta, costituita dal corpo docente, in vita di un’azione a largo raggio diretta non tanto e non solo alla riqualificazione degli insegnanti, quanto alla riqualificazione dell’insegnamento nel suo complesso… in particolare va sottolineata la necessità di sciogliere qualche rigidità nelle modalità di utilizzo del personale (sulla dimensione, spaziotemporale), come pure di “rianimare i profili professionali della scuola, in modo da ottenere… un allargamento a nuove figure professionali, cui anche l’insegnante possa accedere (senza vedersi costretto magari da un futuro surplus ad un pericoloso, acritico raddoppio del tempo scuola generalizzato, per utilizzare la sola figura di operatore oggi disponibile)». (XIII Rapporto, 1979)

«Un aspetto particolarmente rilevante della perdita di finalità esplicite in favore di quelle latenti del sistema è quello ascrivibile alla logica del personale, che tende ormai a sovrastare bilancio, dibattiti di riforma, attualità politica, trasformando paradossalmente un sistema formativo in un enorme ufficio personale. …un sistema di servizi come la scuola trova proprio nel fattore umano la sua risorsa strategica, …il che non può però giustificare un funzionamento della macchina essenzialmente spostato sulle esigenze dei dipendenti rispetto a quelle degli utenti». (XIV Rapporto, 1980)

«Il rischio, invero notevole, è che ad un aumento delle risorse, ad una disponibilità di insegnanti mai verificatasi in precedenza, non corrisponda quell’analogo aumento della qualità dell’istruzione che tutti si augurano. Appare quindi urgente mettere a punto una strategia complessiva di fronteggiamento di tale situazione». (XV Rapporto, 1981)

«Le politiche del personale richiedono ormai di uscire dal circolo vizioso quantitativo: allargamento degli organici..sanatoria legislativa..nuovo allargamento, senza riguardo alla gestione qualitativa… L’insegnante è diviso tra una valutazione sostanzialmente negativa della propria realtà professionale, valutazione che produce anche comportamenti di rifiuto, e una consistente aspirazione ad una riqualificazione della propria immagine, sia all’interno che all’esterno della scuola… Solo il 49,4% esclude di andare in pensione entro i prossimi cinque anni. Se questa eventualità si verificasse, sarebbe un danno rilevantissimo non solo per le casse dello stato italiano, che si dovrebbero accollare pensioni del tutto sproporzionate rispetto ai contributi versati, ma anche per la scuola, che perderebbe probabilmente coloro che più contatti hanno con la realtà esterna…». (XVI Rapporto, 1982)

«L’aspetto preoccupante non risiede tanto nell’allargamento del personale, mentre calano gli utenti del servizio (fatto già di per sé abbastanza sconcertante); quanto nella dimensione inerziale che questo fenomeno ha assunto. Non c’è dubbio che la scuola (anzi l’intero sistema formativo) lamenti ancora preoccupanti carenze qualitative: è probabile che una maggiore disponibilità di risorse umane favorisca il superamento di queste carenze; è escluso che la qualità dei processi aumenti al semplice aumentare della quantità delle risorse o del tempo di permanenza scolastico». (XVII Rapporto, 1983)

«Nel 1960 gli insegnanti erano poco più di trecentomila, oggi sono oltre ottocentomila, reclutati in modo tumultuoso e disordinato, senza alcun processo di omogeneizzazione… Evidentemente l’omogeneità e la compattezza che il sistema aveva venti anni fa si sono grandemente attenuate sulla spinta della eterogeneità delle motivazioni, delle aspettative, degli atteggiamenti, delle competenze di questa vasta massa di persone». (XVIII Rapporto, 1984)

«Negli ultimi quattro anni, gli insegnanti sono aumentati di 14.000 unità, contro un calo di 300.000 alunni... La legge 270 ha attivato forti meccanismi di reclutamento degli insegnanti: dal 1981 sono stati immessi nei ruoli della scuola statale 200.000 unità su un totale di 800.000 insegnanti: dunque, circa un quarto dei docenti è stato formalmente assunto negli ultimi cinque anni. Certamente appare paradossale che un reclutamento così massiccio sia avvenuto proprio nel momento in cui più evidente si delineava il fenomeno del decremento demografico… d’altra parte è necessario ricordare che una buon parte di questi “duecentomila” erano già presenti nella scuola come insegnanti, sia pure a titolo precario (solo 80.000 a seguito di regolare concorso, il 40,1%, ndr)... La legge 270 impedisce che si riformi il precariato stabile; ma è certo da considerare per il futuro la possibilità del consolidarsi di un’area di precariato “saltuario”». (XIX Rapporto, 1985)