Scuola: la riforma?
Spendere meglio e addio al ’68
di Carlo Puca da
Panorama, 21.9.2010
«Ritengo legittimo
il dissenso. Ma quelli che si oppongono alla riforma dovrebbero
suggerire proposte alternative. Invece sanno soltanto chiedere più
risorse». È battagliera e puntuta Mariastella Gelmini.
Ferma le parole soltanto quando Emma, la sua
creatura di 6 mesi, reclama attenzioni. Finito però il tempo della
mamma, riprende immediato quello da ministro dell’Istruzione. E con
esso la foga, educata sì, ma spietata. Allora, per dare un inizio
all’intervista, serve ripartire dalla cosa a lei più cara.
Ministro, sua figlia è nata in aprile. Tra
pochi anni sarà un’alunna. È consapevole che potrebbe pagare sulla
sua pelle la riforma Gelmini?
(ride) Eh sì, ne porto l’onere e l’onore.
Fuor di scherzo, come immagina la scuola di
Emma?
Con buoni professori, corsi sulle nuove tecnologie, l’inglese e una
seconda lingua straniera.
Scuola pubblica o privata?
Per carità: dobbiamo superare la vetusta contrapposizione tra
istituti statali e paritari. L’importante è che la scuola italiana,
nel suo insieme, sia una scuola di buona qualità.
Insisto: per sua figlia, pubblico o privato?
Facciamo così: una scuola pubblica di buona qualità. Avendo però la
libertà di poter decidere tra essa e una scuola paritaria.
Lei ha appena proposto che si legga la Bibbia nelle scuole
statali. Così fa diventare cattoliche anche le scuole pubbliche?
Chi ha i figli può stare tranquillo: noi non imporremo mai un
modello unico. Andiamo solo verso un sistema che consentirà ai
genitori di scegliere liberamente, tra pubblica e paritaria, la
scuola più formativa per i propri figli.
Per inaugurare l’anno scolastico 2010-2011 lei
è però andata in un istituto privato cattolico: il Policlinico
Gemelli di Roma.
L’ho scelto perché lì è partito un progetto d’avanguardia per la
formazione a domicilio dei giovani ammalati.
Sicura che non sia anche per altro? Il Gemelli
è blindato, a prova di contestatori.
Sciocchezze; fosse così non dovrei mai andare a lavorare: tutti i
giorni ci sono proteste sotto il ministero.
I nomi di Franca Falcucci, Rosa Russo
Iervolino e Luigi Berlinguer le suggeriscono qualcosa?
Il prezzo che pago è uguale a quello dei miei predecessori, pochi,
che tentarono le riforme. Ma ormai i tempi sembrano maturi. Anche
nella scuola, sinistra e sindacati sono molto più deboli, la
maggioranza silenziosa sa che questo è l’unico governo in grado di
cambiare le cose. Certo non spera nella sinistra e in Antonio Di
Pietro. L’ex pm è il peggiore di tutti, fa solo sceneggiate a buon
mercato.
Ce l’ha con lui perché si è messo a capo della
protesta dei precari.
Quello che va dicendo è falso.
E che va mai
dicendo di così grave?
Che il governo Berlusconi ha prima creato e poi messo per strada i
precari. Ma nessun governo può creare in pochi mesi 229 mila precari
nella scuola, nemmeno il peggiore del mondo. Viceversa proprio noi,
con la riforma, abbiamo finalmente pianificato il fabbisogno
d’insegnanti: d’ora in poi, statene certi, nella scuola italiana
nuovi precari non ce ne saranno più.
Ma i vecchi che fine faranno?
Io non nego che un problema di precariato esista, sarebbe stupido e
ipocrita dire il contrario. Ma bisogna distinguere fra precari con e
senza abilitazione. Per i primi, i veri precari, è prevista una
graduale immissione in ruolo.
In quanto tempo, ministro?
Per questi 120 mila ci vorranno 7-8 anni.
Ma non si sente un po’ in ansia per loro?
Il senso di colpa dovrebbero averlo altri.
Chi?
La politica clientelare, che per tanto tempo ha assecondato
l’andazzo per non disturbare la sinistra e il sindacato. Adesso la
scuola tiene finalmente conto della crisi economica, è collegata al
mondo del lavoro, dà una formazione adeguata. Per i contestatori
l’unico problema sono gli stipendi stipendi dei professori. Ma un
buon insegnante lo è a prescindere dai soldi. E poi una buona scuola
si fa mettendo anzitutto al centro gli studenti.
Anche i ragazzi protestano, vanno in giro con
i caschi gialli «per difendersi dalle macerie della scuola».
Suvvia: è chiaro che quei pochi che sono per strada vengono
strumentalizzati per interessi di tipo corporativo, per i privilegi
di pochi.
Però lei deve fare a meno di 7 e più miliardi
di euro.
Ma la questione non è soltanto economica. Se il modello è sbagliato,
anche le risorse vengono spese male. Bisogna rifare tutto: il
meccanismo di reclutamento degli insegnanti, il modello didattico,
quello valoriale. Non basta mettere più soldi. Così abbiamo soltanto
alimentato il debito pubblico. I tagli sono anche un’occasione. La
nostra parola d’ordine è: «Efficienza e trasparenza». Perché, come
avviene nelle migliori aziende, la scuola sta cercando di
ottimizzare le sue risorse. Che poi non sono briciole, si tratta
comunque di 43 miliardi di euro.
Ma non si poteva fare qualcosa anche sui
bidelli? Nelle scuole italiane ce ne sono 160 mila, e non è ben
chiaro che cosa facciano…
Ah, per quanto mi riguarda devono fare le pulizie. E le faranno.
Altro che appaltarle alle cooperative, come capita in tanti
istituti. Così i soldi non bastano mai.
E però, dopo aver tagliato così tanto, si può
immaginare che i prof comincino a guadagnare di più?
Nella scuola italiana tutte le pecore sono uguali: si è scelta la
via sessantottina della falsa equità sociale. Noi stiamo anzitutto
cambiando la formazione iniziale, il «come si diventa insegnanti».
Non se ne può più di docenti che piegano la storia alla loro
ideologia.
Vabbè. Ma i suddetti guadagni in più?
Abbiamo aperto con il sindacato un tavolo per il merito. L’idea è di
introdurre per via contrattuale o legislativa un meccanismo
premiante attraverso il «customer satisfaction». Esperti bipartisan
stanno sperimentando i meccanismi di valutazione; se, per esempio,
dare i premi alle scuole o ai singoli insegnanti.
Ecco: attenzione ai premi alle scuole. Va a finire come ad
Adro, nel Bresciano, dove il sindaco ha piazzato ovunque i simboli
della Lega, pure sui banchi.
Ho già pesantemente stigmatizzato il comportamento del sindaco.
Detto questo, i miei critici dovrebbero mostrare lo stesso
entusiasmo quando critico i simboli della Cgil e della sinistra,
presenti in tutti i cortei e cortili scolastici.
E se domani sua figlia
Emma scegliesse proprio uno di questi simboli?
Non credo accadrà. Col tempo finirà per sempre la pagina delle
ideologie. La riforma serve anche a superare il falso egualitarismo
del Sessantotto: la scuola appartiene al Paese, non a una sua parte.