Calano le iscrizioni, schiacciati tra tecnici e qualifiche regionali

Professionali sempre più in crisi

 di Emanuela Micucci da ItaliaOggi, 7.9.2010

Non studiano, non lavorano. E quando scelgono la scuola superiore disertano gli istituti tecnici e soprattutto i professionali. Eppure le imprese ricercano i giovani, soprattutto se in possesso di una formazione tecnico-professionale. Colpa della politica, spiegano i presidi, che non ha rilanciato questo settore dell'istruzione superiore.

Ci prova, sostengono le aziende, la riforma Gelmini. Intanto, i professionali rischiano di affossarsi e i centri di formazione regionale di ridursi in ghetti per ragazzi a rischio esclusione sociale. Sono poco più di 2 milioni i giovani che secondo l'ultimo rapporto annuale dell'Istat, non frequentano nessun corso di studi e non lavorano, il 21,1% dei 15-29enni. Aumentati in un anno per la crisi di 126mila, colpendo soprattutto il Nord (+85mila) e il Centro (+27mila), anche se la stragrande maggioranza, oltre un milione, è residente al Sud. Non solo. Il 15,6% dei ragazzi iscritti al primo anno delle superiori abbandona gli studi nei primi due anni, il 18% nel Mezzogiorno. Tanto che i 18-24enni dispersi senza aver conseguito il diploma sono il 19,2%, oltre 4 punti percentuali in più della media europea.. «A pesare è la differente distribuzione degli studenti per indirizzo di studio», dice Istat; infatti il 93% dei 14-18enni è iscritto alla scuola superiore. Anche nel 2010-11 istituti tecnici e professionali non arrestano il calo di domande alla prima classe, da dove quest'anno prende avvio la riforma Gelmini. Nonostante le novità della diminuzione delle materie e dell'aumento dello ore di laboratorio. Oltre oltre il 2% in meno di iscritti per i tecnici e oltre l'1% per i professionali. Studenti e famiglie scelgono i licei. «Si manifesta l'esistenza di un meccanismo di autoselezione che», dichiarano i ricercatori, «orienta le iscrizioni dei meno brillanti verso indirizzi tecnici professionali e quelle dei più capaci verso i licei». Due le conferme. La netta forbice tra livelli di competenze con incrementi di punteggi bassi nell'area tecnica e professionale, dove oltre la metà degli studenti dei professionali e più di 1/4 dei tecnici, per l'Ocse, è a rischio analfabetismo.

E quel sufficiente alla licenza media per oltre il 55% dei giovani dei professionali. A penalizzare le iscrizioni all'istruzione professionale statale la legge 40/2007 che ha omologato il settore all'istruzione tecnica, togliendogli la possibilità di impartire autonomamente le qualifiche professionali triennali passate alle regioni. «Possiamo organizzare solo corsi quinquennali», afferma Ettore D'Ercole, vicepreside dell'Ipsia Galilei di Torino, «siamo schiacciati tra l'istruzione tecnica e la formazione professionale regionale. Sta al singolo istituto inventarsi corsi di approfondimento per competere con queste». Se, come in Lombardia, l'offerta dei centri di formazione professionale è ricca, c'è un progressivo abbandono degli istituti professionali statali. In Trentino ormai del tutto chiusi. «Eppure l'istruzione professionale», ricorda il preside del Bernini di Napoli, Carmine Notaro, «permette il maggiore inserimento dei giovani nel mondo del lavoro». La formazione tecnica rispetto ai licei, aggiunge la preside dell'Itis Corni di Modena, «dà un vantaggio nelle facoltà universitarie tecnico-scientifiche per la mentalità tecnologica già acquisita nei laboratori scolastici». «Occorre rafforzare l'alternanza scuola-lavoro», insiste Giuseppe Sammartino, dirigente del Settembrini di Milano, «gli stage motivano e responsabilizzano gli studenti con rendimento basso. È importante poi la didattica laboratoriale».