Diritto fondamentale all'insegnante di sostegno anche per l'intera
durata AetnaNet 29.9.2010 Una sentenza della Corte costituzionale (22-26 febbraio 2010, n. 80) e una sentenza del Consiglio di Stato (23 marzo 2010, Sezione sesta, in sede giurisdizionale), che alla pronuncia della Corte costituzionale fa esplicito e sostanziale riferimento, hanno evidenziato la debolezza costituzionale di norme che, come evidenziato nel ricorso presentato “in proprio e in qualità di genitori esercenti la patria potestà sulla figlia minore”, alla quale era stato assegnato, nonostante la gravità della patologia, “un docente solo per 12 ore settimanali” invece che “per 25 ore settimanali”, comprometteva “il diritto del disabile ad una effettiva assistenza didattica; diritto tutelato dalla Costituzione e da norme internazionali” (la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 413 e comma 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nelle parti in cui, rispettivamente, era fissato “un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno” ed era esclusa “la possibilità di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente”). Nell'assegnazione dell'insegnante di sostegno, valutata la specificità della situazione alla luce di accertamento sanitario presso struttura pubblica, “ma anche considerati gli ulteriori strumenti di tutela che siano previsti (come il servizio socio-educativo)”, si “può giungere alla individuazione di un numero di ore pari a quello delle ore di frequenza”, “nella misura motivatamente necessaria per perseguire al meglio l'obbiettivo dell'integrazione del disabile nelle condizioni date”. La determinazione da parte dell'amministrazione delle ore di sostegno “non può essere disposta per gli anni successivi a quello in cui è stata applicata”, poiché ai fini della decisione per l'anno successivo sono previste “verifiche periodiche degli effetti degli interventi adottati per eventualmente modificarli in relazione alla loro efficacia ed evoluzione della patologia accertata”, come disposto dall'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 2.2.1994 recante “Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap”. Quindi, le ore di sostegno possono essere, di anno in anno, diminuite o aumentate “in relazione alla loro efficacia” ed alla “evoluzione della patologia accertata”. In estrema sintesi, è quanto emerge da una recente sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta, 23 marzo 2010, n. 2231), che ha accolto il ricorso in appello presentato dai genitori di un alunno di scuola primaria (che avevano chiesto “l'accertamento del diritto del minore di ottenere un insegnante di sostegno per l'intero orario di frequenza – 33 ore settimanali – e non per 16 ore settimanali”) ed ha riformato la sentenza che era stata emessa dal Tar Friuli Venezia Giulia-Trieste a favore del provvedimento del Direttore scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia, col quale era stata limitata a soltanto 16 ore settimanali l'assegnazione dell'insegnante di sostegno. Con la sua sentenza, il Consiglio di Stato ha statuito, anche “alla luce dei principi e della normativa vigenti come risultanti per la pronuncia della Corte costituzionale” (sentenza 22-26 febbraio 2010, n. 80), la “rideterminazione da parte dell'Amministrazione del numero delle ore di sostegno”, riconsiderate “ai fini di una diversa determinazione”, comunque maggiore di quella attuale (16 ore), fino a “giungere o meno” ad un “numero di ore pari a quello delle ore di frequenza”. La sentenza della Corte costituzionale trae la sua origine da un provvedimento cautelare emesso dal Tribunale amministrativo regionale, sezione staccata di Catania, con il quale, accogliendo il ricorso dei genitori di un’alunna “affetta da ritardo psicomotorio e crisi convulsive da encefalopatia grave”, “si ordinava all’amministrazione, che in sede di formazione degli organici aveva assegnato un insegnante di sostegno solo per 12 ore settimanali, il ripristino dell’assegnazione di un docente di sostegno … per 25 ore settimanali”. Provvedimento cautelare avverso al quale era stato proposto appello dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nei confronti dei genitori dell’alunna. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza del 26 marzo 2009, sollevava, in riferimento ad articoli e a commi della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. E tra l’altro veniva posta in rilievo la legge 27 dicembre 2007, n. 449, “che assicura l’integrazione scolastica degli alunni con interventi adeguati al tipo e alla gravità dell’handicap” e “la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti ed alunni, indicato al comma 3 della suddetta disposizione, in presenza di handicap particolarmente gravi”, in ragione del quale “ad un maggiore livello di disabilità deve corrispondere un maggior grado di assistenza, al fine di consentire al disabile di superare il suo svantaggio e di porlo in condizione di parità con gli altri”. E veniva messo in assoluta evidenza che “l’equiparazione di tutti i disabili, compiuta dal legislatore sulla base delle norme censurate, sarebbe anche irragionevole, poiché presta lo stesso grado di assistenza a tutti i disabili, indipendentemente dal loro grado di disabilità, ponendo una disparità di trattamento, in quanto proprio la gravità dell’handicap giustificava lo standard più elevato di tutela rispetto a quello minimo garantito per i disabili lievi e ciò al fine di assicurare a tutti lo stesso diritto all’istruzione”. Inoltre, venivano messi in piena luce “altri profili di irragionevolezza delle norme impugnate”, quale quello di far prevalere l’esigenza di bilancio nel “contemperare il diritto dei disabili gravi con l’esigenza di bilancio”, a parte il principio (imposto dall’art. 10, primo comma, della Costituzione) “dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; Carta sociale europea; Convenzione delle Nazioni unite; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata dal Parlamento europeo; il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa; gli articoli 34, primo comma, e 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, in riferimento agli articoli 30, primo e secondo comma, e 31, primo comma, che sanciscono i principi “che la scuola è aperta a tutti e che l’istruzione inferiore è obbligatoria, che anche i disabili hanno diritto all’educazione e che a questo compito provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”). Da parte sua, intervenendo in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il presidente del Consiglio dei ministri chiedeva alla Corte costituzionale di dichiarare inammissibile o infondata la questione sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, perché la sentenza di incostituzionalità delle norme sottoposte al giudizio della Corte costituzionale comporterebbe da un lato “nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale senza indicare i mezzi per farvi fronte” e dall’altro lato “porterebbe la Corte a sostituirsi al legislatore, al quale è demandata l’individuazione delle concrete modalità con le quali realizzare la tutela invocata nel giudizio a quo”. Inoltre, e tra altre eccezioni, l’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che le censure relative alla violazione degli articoli e dei commi della Carta costituzionale (quelli evidenziati nel precedente capoverso) erano infondate “data la molteplicità degli interventi disposti in tal senso e che la riduzione delle ore di sostegno consentirebbero, comunque, l’integrazione scolastica delle persone disabili”. Ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa, le norme censurate violerebbero gli articoli 2, 3, 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, perché, oltre ad essere in contrasto con i valori della solidarietà collettiva nei confronti dei disabili gravi, introdurrebbero “un regime discriminatorio illogico e irrazionale” che “non terrebbe conto del diverso grado di disabilità di tali persone, incidendo così sul nucleo minimo dei loro diritti”; e sarebbero altresì violati gli articoli 4, primo comma, 35, primo e secondo comma, in relazione all’art. 38, terzo comma, della Costituzione, “in quanto da tale violazione deriverebbe l’impossibilità per il disabile grave di conseguire ‘il livello di istruzione obbligatoria prevista’, ‘quello superiore’ e ‘l’avviamento professionale propedeutico per l’inserimento nel mondo del lavoro’”. La Corte costituzionale aveva, “in via preliminare”, da parte sua affermato, esattamente un mese prima, che “deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri sotto il profilo del difetto di rilevanza”. Subito dopo aveva anche affermato che la questione sottoposta al giudizio di legittimità costituzionale dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana “è nel merito fondata”, precisando preliminarmente che “i disabili non costituiscono un gruppo omogeneo”, perché, infatti, “vi sono forme diverse di disabilità, alcune lievi ed altre gravi”, e “per ognuna di esse è necessario, pertanto, individuare i meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona”, nella considerazione che ciascun disabile “è coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo completo inserimento nella società; processo all’interno del quale l’istruzione e l’integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano”. Peraltro, l’art. 12 della legge n. 104 del 1992 “attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione a partire dalla scuola materna fino all’università”, e quindi il “diritto del disabile all’istruzione si configura come un diritto fondamentale”, la cui fruizione “è assicurata, in particolare, attraverso ‘misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d’istruzione’ (sentenza n. 215 del 1987)”. E in conclusione viene ribadito che la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno è “quella di apprestare una specifica forma di tutela ai disabili che si trovano in condizione di particolare gravità”. Si tratta “di un intervento mirato, che trova applicazione una volta esperite tutte le possibilità previste dalla normativa vigente e che, giova precisare, non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap” dalla quale ciascuno è affetto. Quindi, è illegittimo stabilire “un limite massimo invalicabile relativamente al numero delle ore di insegnamento di sostegno”, perché comporta “automaticamente l’impossibilità di avvalersi, in deroga al rapporto tra studenti e docenti stabilito dalla normativa statale, di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico”. Di qui, il diritto dell’alunna disabile, in giusta accoglienza della richiesta dei suoi genitori, ad avere un insegnante di sostegno per 25 ore settimanali (che magari potrebbero essere, se accertata la necessità, anche per tutte le ore dell’attività didattica settimanale, da quest’anno almeno 27, ma nel 2008 anche più di 30), dato il “provato stato di disabilità grave di cui è affetta”, riconosciuto dall’apposita commissione medica, mentre il numero di 25 ore di sostegno scaturisce dalle commissioni mediche e sociopedagogiche, “che hanno ritenuto essere il minimo necessario per rendere effettivo” il diritto dell’alunna disabile all’integrazione scolastica ed alla sua istruzione. Conseguentemente, non può essere negato il diritto, naturalmente conseguente a quanto scaturisce dalle commissioni di riferimento e confermato da specifica documentazione (e quindi con riferimento ai Piani educativi individualizzati, strumenti di programmazione della vita scolastica degli alunni con disabilità, che evidenziano le necessità di integrazione e le ore di sostegno necessarie, e pertanto nella loro costruzione la partecipazione e l’attenzione dei genitori debbono essere il massimo possibile) ad avere assegnati insegnanti di sostegno (tenendo presente che l’orario settimanale di cattedra dei docenti è di 25 ore nella scuola dell’infanzia, di 22 ore di insegnamento e 2 ore per la programmazione settimanale nella scuola primaria, di 18 ore nella scuola secondaria di primo e di secondo grado) per coprire, avendone diritto gli studenti ed essendo stati accertati il grado di disabilità e tenuta in debita considerazione la specifica tipologia di handicap, anche tutte le ore settimanali dell’attività didattica (27 ore nella scuola dell’infanzia; da 27 a 30 ore nella scuola primaria; 30 ore nella scuola media inferiore; da 27 a 30 ore nei licei classici, nei licei scientifici, nei licei linguistici e nei licei psicopedagogici; 32 ore negli istituti tecnici commerciali, negli istituti tecnici industriali e negli istituti professionali). Poco più di un mese dopo la sentenza della Corte costituzionale, il Consiglio di Stato decideva, “in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2010”, di accogliere il ricorso proposto dai genitori di un alunno disabile al quale, negandogli il diritto al sostegno per 33 ore settimanali, e cioè per l’intero orario di frequenza, era stato assegnato un insegnante di sostegno soltanto per 16 ore settimanali dal dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Tavagnacco (in provincia di Udine), pur ritenendo egli stesso che le 16 ore settimanali “non sono sufficienti per un supporto adeguato”. Il Consiglio di Stato, facendo esplicito riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale e “fermi i principi e gli obbiettivi della piena integrazione delle persone disabili e della garanzia del sostegno con docenti specializzati per l’integrazione in ambito scolastico”, accoglieva l’appello dei genitori dell’alunno disabile e riformava la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia-Trieste che, con la sentenza n. 90 del 2009 “pronunciata in forma semplificata”, quindi alcuni mesi prima della sentenza della Corte costituzionale, aveva accolto la determinazione delle dirigenze scolastiche regionale e provinciale di assegnare all’alunno un insegnante di sostegno soltanto per 16 ore settimanali. Pertanto, annullava il provvedimento del Direttore dell’Ufficio scolastico regionale e respingeva la richiesta del Ministero dell’istruzione, costituitosi in giudizio rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che insisteva sulla correttezza dell’assegnazione di un insegnante di sostegno per 16 ore settimanali (determinazione che però è censurabile perché esercitata in violazione dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità e coerenza logica) quando la Commissione medica di prima istanza aveva riconosciuto al minore come “invalido con totale e permanente inabilità operativa al 100 per cento e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”, e quindi “come persona affetta da handicap in situazione di gravità art. 3, comma 3, l. 104/92 con necessità di un insegnante di sostegno in deroga al rapporto fissato dalla l. 104/92”. Cioè persona non rientrante “nel rapporto di un insegnante ogni 138 alunni (di cui all’art. 40, comma 3, della legge n. 449 del 1997) ma di 1 a 1, inteso come un’ora di sostegno per ogni ora di frequenza”. La sentenza di primo grado, quella del Tar, era oggetto di censura “per non aver riconosciuto che il diritto all’istruzione, all’educazione e all’integrazione scolastica è un diritto pieno, non suscettibile di affievolimento neanche di fronte alle esigenze di organico e di bilancio dello Stato, non sussistendo perciò potere amministrativo discrezionale al riguardo”, in quanto diritto fondato sugli articoli 2, 3, 34, 38 della Costituzione e su quanto stabilito dalle legge 104 del 1992, nonché alla luce degli obbiettivi di formazione e di integrazione degli alunni handicappati nella classe e nel gruppo individuati dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, per assicurare, raccordandosi a queste finalità l’art. 40 della legge n. 499 del 1997, interventi adeguati al tipo e alla gravità dell’handicap, prevedendo “la più ampia flessibilità organizzativa e funzionale delle classi e il ricorso all’assunzione di insegnanti di sostegno con contratti a tempo determinato in deroga al rapporto docenti-alunni di cui al comma 3 dello stesso articolo”.
Nell’accogliere l’appello proposto dai
genitori dell’alunno disabile, il Consiglio di Stato ha fatto
esplicito riferimento alla sentenza della Corte costituzionale,
nella quale “si statuisce in particolare che il ‘diritto del
disabile all’istruzione si configura come diritto fondamentale’,
individuandosi di conseguenza ‘il diritto fondamentale
dell’istruzione del disabile grave’” e viene chiarito che il potere
discrezionale di cui gode il legislatore “non ha carattere assoluto
e trova un limite nel ‘… rispetto di un nucleo indefettibile di
garanzie per gli interessati’ (sentenza n. 226 del 2000), risultando
evidente che ‘le norme impugnate hanno inciso proprio sull’indicato
‘nucleo di garanzie’ … individuato” dalla Corte costituzionale
“quale limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale
del legislatore”. La possibilità di stabilire ore aggiuntive di
sostegno trova la sua ragion d’essere nell’apprestare “una specifica
forma di tutela ai disabili che si trovano in condizione di
particolare gravità”: un “intervento mirato” che “non si estende a
tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene
in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui è
affetta la persona de qua”. Accogliendo, il 23 marzo 2010, l’appello nei confronti della sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia-Trieste proposto dai genitori dell’alunno disabile di Tavagnacco ((Udine) al quale nell’anno scolastico 2008-2009 era stato negato un insegnante di sostegno per l’intero orario di frequenza (33 ore settimanali) e invece gli era stato assegnato un insegnante di sostegno soltanto per 16 ore settimanali, e che a quella disastrosa privazione era stato costretto a soggiacere per colpa di una legge che grazie al ricorso in apposizione al Tar per la Sicilia-Catania proposto dai genitori di un’alunna disabile siciliana (alla quale era stato negato per l’anno scolastico 2008-2009 il ripristino dell’insegnante di sostegno per 25 ore settimanali ed invece era stata costretta ad averlo assegnato soltanto per 12 ore settimanale nonostante la certificata disabilità grave), ricorso in apposizione che aveva portato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana a promuovere un giudizio di legittimità costituzionale di norme che dalla Corte costituzionale sono state dichiarate illegittime, il Consiglio di Stato ha statuito la rideterminazione da parte dell’Amministrazione del numero di ore di sostegno che “può giungere o meno”, eventualmente anche “alla luce di un rinnovato accertamento sanitario presso struttura pubblica”, “alla individuazione di un numero pari a quello delle ore di frequenza per perseguire al meglio l’obbiettivo dell’integrazione del disabile nelle condizioni date, con l’eventuale ricorso anche ad assunzione ‘in deroga’”. Riparazione giunta, ovviamente, in ritardo, ma questi sono i tempi, ancorché brevi rispetto a molti altri che durano parecchi anni, della giustizia. Riparazione della quale non hanno tratto profitto gli alunni disabili, benché sia stato riconosciuto e statuito dalla Corte costituzionale, e conseguentemente accolto dal Consiglio di Stato, “che il diritto del disabile all’istruzione si configura come diritto fondamentale”, individuandosi di conseguenza “il diritto fondamentale dell’istruzione del disabile grave”. Riparazione che è certamente costata parecchio, in termini di spese legali, purtroppo sempre compensate tra le parti (il presidente del Consiglio dei ministri e il ministro dell’Istruzione, perdenti, e i genitori degli alunni, vincenti), un “principio” che comunque dovrebbe essere rimosso, quindi con condanna della pubblica amministrazione al pagamento delle spese di giudizio in favore del cittadino e dei diversi istituti di giustizia tutte le volte che risulta perdente in giudizio per aver violato e/o disconosciuto il legittimo diritto di chi per averlo riconosciuto ha dovuto ricorrere alla magistratura giudicante, anche e soprattutto al fine di evitare comportamenti amministrativi superficiali caratterizzati dall’espressione, sicuramente impropria ed inammissibile, “faccia ricorso”. E intanto passano gli anni! Sui giornali è possibile leggere ogni giorno che si registrano numerose lamentele da parte dei genitori degli alunni, che rilevano e denunciano la scarsa qualità e quantità degli interventi, e che il più delle volte, caratteristica di una scuola che sta attraversando un periodo coralmente indicato come infelice, non c’è continuità da un anno all’altro e in materia di alunni disabili si registra una protesta sempre più intensa sull’inadeguatezza dell’integrazione scolastica. Ma siamo nell’epoca della cosiddetta “riforma storica” della scuola italiana, “epocale” per le molte decine di migliaia di docenti e di personale tecnico ed amministrativo senza lavoro e senza stipendio a causa dell’epocale licenziamento di massa, frutto, con vantato “orgoglio” dell’attuale ministro dell’Istruzione, della coppia ministeriale (il ministro Giulio Tremonti, che ha costruito la politica dei tagli delle risorse alla scuola e alla cultura, e il ministro Mariastella Gelmini, pronta a leggere i suoi interventi, obbediente e consenziente, e con espressioni e toni suadenti mentre nella scuola procede la politica dei licenziamenti di massa, su quanto dall’altro ministro disposto, dichiarandosi soddisfatta ed orgogliosa). Una coppia ministeriale di “tirchi” o “parsimoniosi” nei confronti delle risorse da destinare alla scuola, così costretti ad agire per la “generosità” nei confronti degli evasori fiscali, soprattutto di quelli che evadono di più. Ebbene, ancora uno sforzo, ministro Mariastella Gelmini, è l’Italia, che occupa il 27° posto nella graduatoria delle risorse destinate alla scuola dagli Stati dell’Unità europea, verrà a trovarsi presto ad occupare l’ultimo posto, cosicché il nostro Paese, qualora si facesse una graduatoria degli Stati europei che destinano la minore quantità di risorse all’istruzione e alla scuola, occuperebbe, non so se con “orgoglio” del ministro dell’Istruzione, il primo posto. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale e della sentenza del Consiglio di Stato, delle quali ho ampiamente riferito, e volendo fare la somma di quanto è stato speso per il sostegno agli alunni disabili, la politica del risparmio, oltre ad avere colpito le molte decine di migliaia di lavoratori investiti dall’epocale licenziamento di massa, ha lasciato il suo terribile segno sulla pelle dei disabili, sull’istruzione e sull’integrazione degli alunni disabili. Facendo la somma degli addendi, si ottiene un totale che non corrisponde affatto a quanto doveva essere destinato al sostegno in ambito scolastico degli alunni disabili. Manca, infatti, un addendo di notevole consistenza, corrispondente alle risorse che sono state negate, anche per l’esistenza di disposizioni legislative magari costruite apposta per “risparmiare” (non volendo fare riferimento alla “competenza”) nell’assegnazione di docenti di sostegno “in deroga”, a partire da quelle delle quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionali dalla Carte costituzionale con la sentenza del 22-26 febbraio 2010, n. 80. Sappiamo adesso, proprio dalla sentenza della Corte costituzionale, seguita dalla sentenza del Consiglio di Stato, rispettivamente, del febbraio e del marzo dell’anno in corso, che le ore per il sostegno non sarebbero state assegnate sulla base dell’effettiva necessità, accertata su base diagnostica della situazione di gravità dell’handicap, fino alla previsione di un’ora di sostegno per ogni ora di frequenza ed orientata verso la più ampia ipotesi possibile di sostegno nelle condizioni date. E che non c’è stata, come è emerso con chiarezza dai ricorsi e dalle opposizioni dei genitori degli alunni (nelle province di Catania e di Udine), la specifica forma di tutela ai disabili in condizioni di particolare gravità. Sono state negate necessarie ore di sostegno, ponendo in essere disparità di trattamento, ad alunni con accertata disabilità grave, e sono state addirittura dimezzate le ore di sostegno che erano state assegnate nell’anno scolastico precedente; ed è stata quindi violata la norma di legge che assicura l’integrazione scolastica degli alunni disabili con interventi adeguati al tipo ed alla gravità dell’handicap, in ragione dei quali “ciascun intervento deve tener conto del grado e della tipologia di deficit di cui è portatore il singolo individuo”. Tutto ciò è accaduto, addirittura in quantità notevole, nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria inferiore e superiore. Né si riesce a comprendere come è possibile che ad un alunno di scuola primaria al quale è stato riconosciuto il rapporto di 1 a 1 (inteso come un’ora di sostegno per ogni ora di frequenza), comunque considerata in termini inspiegabilmente riduttivi per 22 ore e non per l’intera durata dell’attività didattica settimanale, che è stata anche di 32 ore (e che quindi è rimasto, pur in condizioni di disabilità grave, per 10 ore settimanali senza insegnante di sostegno nel processo di istruzione e di integrazione con gli altri alunni della classe), le ore per il sostegno nel rapporto 1 a 1 possano, una volta transitato nella scuola media inferiore, essere ridotte a 18 ore settimanali con la finalità, illogica quanto irragionevole, di rapportarle all’orario di cattedra del singolo docente, quando 27 ore possono essere coperte, rendendosi necessarie per essere state riscontrate specifiche difficoltà in due aree di apprendimento, da due insegnanti: uno per 18 ore e l’altro per le restanti 9 ore nel caso di 27 ore settimanali di attività didattiche, e magari per più di 9 ore nelle classi con 30 o con più ore settimanali di attività didattiche. Una illogicità che persiste nelle scuole secondarie superiori, nelle quali, proprio per gli esiti positivi eventualmente conseguiti (e assolutamente da non disperdere nemmeno minimamente) dall’alunno disabile, ancor più se con disabilità grave, durante gli anni dell’istruzione obbligatoria e per poter raggiungere risultati positivi soprattutto per l’inserimento nel mondo del lavoro, il sostegno al disabile dovrebbe essere più attento e maggiore in termini di ore, con riferimento alle più marcate necessità evidenziatesi in una o in più di una delle aree di specializzazione (tecnica, umanistica, scientifica, psicomotoria). E cosa dire quando di alunni con disabilità meno grave in una classe ve ne sono due (ed è anche accaduta la presenza di più di due), diciamo in un rapporto corrispondente al 50 per cento di quello dell’1 a 1), che per strano comportamento nell’assegnazione dell’insegnante di sostegno ha riguardato 12 ore nella scuola dell’infanzia, 11 ore nella scuola primaria (o, se vogliamo, 12 ore, ma un’ora è destinata alla programmazione collegiale settimanale), 9 ore nella scuola secondaria sia inferiore, sia superiore? Cioè, un insegnante di sostegno che si occupa di due alunni in una classe per 9 ore settimanali e di altri due alunni in un’altra classe (o addirittura nella classe di un altro istituto scolastico) sempre per 9 ore settimanali di sostegno? Eppure 9 ore settimanali di sostegno sono comunque sicuramente poche, come sono poche le ore del rapporto 1 a 1 corrispondenti soltanto all’orario di cattedra del docente con riferimento all’ordine e al grado scolastici di appartenenza. Ma fanno risparmiare sulla spesa pubblica! E poco importa se nelle restanti ore (che nella scuola primaria sono diventate poche, ma nella scuola secondaria corrispondono da almeno il 50 fino al 77 per cento dell’orario settimanale delle attività didattiche) l’alunno disabile rimane “affidato” all’insegnante di classe durante le ore della propria attività didattica disciplinare (e si lascia alla collettiva l’immaginazione percettiva di crearsi un’immagine di ciò che può accadere, ma che è del tutto noto ai docenti, agli alunni e alle loro famiglie, mentre all’alunno disabile viene di fatto negato il diritto all’istruzione come suo diritto fondamentale). Tutto ciò, e cioè il mancato riconoscimento di un numero maggiore delle ore di sostegno, senza valutare la specificità della situazione, e forse anche valutandola ma non provvedendo di conseguenza allo scopo di “risparmiare” sulla spesa necessaria, ha determinato una riduzione dei contratti di insegnamento “in deroga” a tempo determinato. Un dato che resta da accertare, come resta da accertare l’attuale situazione del sostegno agli alunni disabili, ma che in ogni caso deriva dalla violazione del diritto soggettivo e fondamentale del disabile all’educazione ed all’istruzione, assicurata, in particolare, “attraverso misure di integrazione e di sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d’istruzione”, con la possibilità di avvalersi, come emerge dalla sentenza della Corte costituzionale, “di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico”, operando nell’ottica di consentirgli – e di consentirlo a quanti sono gravati da specifica tipologia di handicap – di conseguire “il livello di istruzione obbligatoria prevista”, “quello superiore” e “l’avviamento professionale propedeutico per l’inserimento nel mondo del lavoro”. A tutto ciò va aggiunta la questione dell’assistenza igienico personale agli alunni disabili che sta verificandosi nelle scuole di Catania. Un’assistenza che è stata latitante nella fase iniziale dell’attuale anno scolastico, argomento che è stato caratterizzato da uno scontro su chi e su come procedere, al momento fermo alla proposta dell’assessorato comunale ai Servizi sociali di affidare il servizio direttamente alle scuole nell’intento di soddisfare le esigenze degli studenti interessati. Anche in questo caso, la questione riguarda le risorse che, se il servizio di assistenza igienico personale agli alunni disabile deve essere gestito dalle scuole in quanto caratterizzate dal regime di autonomia, non possono essere centellinate e attribuite alle scuole con ingiustificabili ritardi, perché, a parte le inadempienze nei confronti di chi verrà incaricato del servizio (da parte di ciascuna scuola o da parte di una rete di scuole), verrebbe a causare ulteriori guasti al processo di integrazione scolastica e sociale degli alunni disabili, quali che siano le condizioni di gravità da ciascuno rappresentate ed accertate. In ogni caso, vanno respinte le emergenti volontà, evidenziate da genitori di alunni disabili e non disabili (i primi a denunciare le carenze concernenti l’istruzione e l’integrazione scolastica dei loro figli e gli altri a denunciare la confusione che viene a crearsi nelle classi in cui viene a mancare anche per molte ore settimanali l’insegnante di sostegno, addirittura anche nel caso di livelli di disabilità certificati e riconosciuti come alquanto gravi), ed anche da taluni politici, durante pubblici interventi, di un ritorno, sciagurato quanto sconsiderato, alle scuole differenziali e/o speciali destinate, con irragionevoli, disgustosi, disastrosi, spietati e squallidi intenti, ad “accogliere”, disumanamente ghettizzandoli, gli studenti con disabilità grave e comunque con tipologia di handicap “ritenuta” tale da “volerli” stupidamente” separarli dagli altri alunni. Ma l’intento che si voglia ulteriormente risparmiare sulla scuola, e quindi anche sul sostegno e sull’integrazione scolastica dei disabili potrebbe, al di là delle idiozie dei ghettizzanti, rientrare nella politica del risparmio che ha previsto, ed in gran parte ha già realizzato, un taglio di risorse per quasi otto miliardi di euro per una “riforma storica” che sta portando il sistema scolastico italiano, il quale era di per sé carente per l’insufficienza delle risorse finanziarie del quale aveva bisogno, al definitivo “sfascio epocale”. |