scuola
Aprea: Regolamento al via, intervista a Valentina Aprea il Sussidiario, 13.9.2010
Con l’inizio dell’anno scolastico la
riforma è al via. «Le famiglie troveranno percorsi didattici più in
linea con le tendenze europee». I precari? «Un dramma, ma il nuovo
Regolamento può voltare pagina». La vera autonomia? «Arriverà col
federalismo». Lo dice al sussidiario Valentina Aprea, presidente
della Commissione Cultura della Camera. Il progetto? «Confido sui
tempi lunghi di fine legislatura e sulla possibilità di approvare
una legge che modifichi governance e finanziamento delle scuole e
anche la professionalità dei docenti, compresi un nuovo stato
giuridico e una nuova valutazione dei docenti nelle scuole».
Certamente, a patto che non si voglia
risolvere il problema entro domani mattina. La risposta più efficace
è arrivata venerdì con l’approvazione del regolamento sulla
formazione iniziale degli insegnanti, che prevede prima la
formazione universitaria, e poi scolastica con il tirocinio
formativo attivo per un numero chiuso di laureati che vogliano
specializzarsi all’insegnamento. Il percorso formativo e la
programmazione degli accessi, codecisa dall’amministrazione
scolastica con le direzioni regionali, dovrebbero da un lato
garantire una qualificazione migliore e dall’altro anche ridurre il
numero dei docenti abilitati.
Non c’è da illudersi. I numeri sono
molto alti: si può sbagliare per eccesso o per difetto di qualche
migliaio di docenti, ma siamo intorno ai 270-290mila docenti
abilitati. Ma al di là dei numeri, il dramma è che la formazione non
è stata mai accompagnata da sistemi di valutazione legati al lavoro
effettivo nelle scuole: è mancato un percorso legato alla qualità
delle conoscenze e competenze reali. Ora si volta pagina.
Dovrebbe partire molto presto, mi
auguro nel mese di gennaio 2011, un primo percorso di tirocinio per
quei laureati che non hanno potuto frequentare le Ssis nei due anni
in cui c’è stata la vacanza delle scuole di specializzazione.
Colmato questo vuoto, si andrà avanti con il percorso ordinario
previsto dopo i due anni di formazione universitaria.
Percorsi didattici
senz’altro più in linea con le tendenze europee più efficaci di
formazione e di preparazione. La formazione pubblica italiana ha
investito molto di più, rispetto al passato, sulla conoscenza delle
lingue straniere, sulle nuove tecnologie, sulle scienze, e anche su
una migliore e più approfondita competenza in italiano e in
matematica.
Per loro sarà possibile
anche formarsi o perlomeno riqualificare la propria preparazione
attraverso il corso di studi e formazione previsto proprio dal
ministero.
È un dato che conferma
la volontà delle famiglie di investire su percorsi lunghi di
formazione, contrariamente a quanto avveniva negli anni ’60-’70
quando c’era un investimento prevalente sul diploma. Però è anche
vero che i nuovi istituti tecnici danno la possibilità di acquisire
una formazione fortemente propedeutica anche rispetto alla
prosecuzione degli studi scientifici. Occorrerà certamente sforzarsi
per far conoscere di più e meglio questi nuovo percorsi.
Tutt’altro. Mi limito a
rilevare un dato inoppugnabile: da un lato abbiamo bisogno di
garantire alle nostre aziende tecnici e quadri qualificati, la
richiesta dei quali continua ad aumentare. Dall’altro serve un
investimento più che sulla formazione umanistica, su quella
scientifica e tecnica.
No, perché la doppia
opzione mette al riparo da questo rischio. Essa qualifica il tecnico
secondo i nuovi requisiti scientifici e tecnologici, rivisti alla
luce delle nuove tendenze e al tempo stesso garantisce la
possibilità a chi sceglie i licei di arrivare molto più preparati
sul piano tecnico-scientifico alle facoltà legate alle nuove
tecnologie. Oggi abbiamo molto più bisogno di laureati in
ingegneria, fisica, chimica che di laureati in scienze della
comunicazione.
Pensi che quelli che
l’Ocse indica come punti di debolezza del nostro sistema, nel nostro
paese vengono da alcune parti ancora indicati come punti di forza.
Ora con la riforma Gelmini - che fa tesoro delle indicazioni
precedenti, dalla Moratti in avanti - abbiamo ottenuto sia un
riequilibrio delle ore sia del numero degli insegnanti per corso e
per indirizzo, perché un altro grave limite della scuola italiana è
stato frammentare eccessivamente i diversi apprendimenti, con troppi
insegnanti anche all’interno della stesa area.
Gli studenti devono
potersi confrontare con un numero congruo di insegnanti, ma se ogni
insegnante fa al massimo 2 ore, capisce che il team di docenti
diventa troppo variegato. Questo pone problemi di concentrazione
dell’alunno e aumenta le difficoltà nel rapporto tra studente e
docente. In ogni caso, le criticità segnalate dall’Ocse le abbiamo
tenute ben presenti riformando il sistema superiore. Soprattutto con
la formazione dei nuovi insegnanti, che devono ora essere formati
con competenze sì disciplinari ma essere anche capaci di coprire
un’area di insegnamenti più vasta di quella attuale.
È vero, il
finanziamento è ancora soprattutto pubblico e su questo aspetto
paghiamo una dazio fortissimo alla storia e all’impostazione
centralistica della nostra istruzione. Resto dell’avviso che il vero
salto di qualità che ha segnato l’evoluzione dell’autonomia a
livello mondiale, e ancora manca alla nostra scuola, sarà finalmente
possibile con il federalismo. Quando ci sarà un vero federalismo si
potrà procedere ad un’organizzazione dell’istruzione più sussidiaria
che statuale, più giocata a livello orizzontale che verticale. Mi
auguro che a quel punto sia possibile prevedere la possibilità per
le scuole di utilizzare finanziamenti anche privati. Occorre
cominciare, come credo sia volontà dello stesso ministro Gelmini, a
sperimentare sul serio le nuove forme di governance, con progetti di
offerta formativa che siano molto più legati alla domanda che non
all’offerta.
Per ora rimane in un
quadro di sperimentazione, perché il Consiglio di stato ha ritenuto
la materia estranea alle deleghe concesse dal Parlamento. Il mio
auspicio è senz’altro che molte scuole vogliano approfittare di
questa opportunità e vogliano cominciare a giocarsi molto di più
verso l’esterno. Ma confido sui tempi lunghi di fine legislatura e
sulla possibilità di approvare una legge che modifichi governance e
finanziamento delle scuole e anche la professionalità dei docenti,
compresi un nuovo stato giuridico e una nuova valutazione dei
docenti nelle scuole.
Le flessibilità
introdotte nei due bienni e nell’ultimo anno dalla riforma aprono
percentuali di autonomia sicuramente più alte che in passato. Si
tratta ora di approfondire questi schemi di utilizzo.
Per quanto riguarda gli
organi di governo, so che il ministro ha la volontà di avviare
immediatamente nuove forme di sperimentazione, e credo che insieme a
lei mi farò promotrice di una loro presentazione quanto prima. Mi
auguro poi di poter portare in Parlamento nel 2011 la legge già
presentata, discussa e istruita in commissione sulla nuova
governance. Che la scuola riesca di più a personalizzare i percorsi e a favorire l’innovazione, in modo da essere sempre di più una scuola per ciascuno e non solo per tutti. |