ISTRUZIONE, L'ULTIMA BUFERA

L'ira della Gelmini "Non è più un
mio problema io ho fatto il possibile"

"Lavoro a questo testo da nove mesi: impossibili altri risparmi"

Alessandro Barbera La Stampa, 14.10.2010

ROMA
L’emendamento che ieri ha mandato in tilt la maggioranza e ora mette a rischio il via libera alla riforma dell’Università è datato 6 ottobre. Sono quasi le nove di sera. La relatrice di maggioranza, Paola Frassinetti, mette in votazione l’articolo 5 bis. Si intitola «istituzione di un fondo per finanziare la chiamata di 1.500 professori di seconda fascia per gli anni dal 2011 al 2016». La norma passa senza nemmeno un no: votano a favore il Pdl, i finiani, si astiene l’opposizione. Non poteva che andare così: quelle poche righe permettono l’assunzione a professori di novemila ricercatori attraverso un concorso riservato. Di fatto - commenterà qualcuno nei corridoi del Tesoro - la loro promozione ope legis. La copertura è importante: due miliardi e 263 milioni di euro in sei anni. Il problema è che quei fondi per il ministero dell’Economia non ci sono, né ci saranno.

Non più tardi di due settimane prima Giulio Tremonti si era presentato in sala stampa a Palazzo Chigi con Maria Stella Gelmini promettendo, a riforma approvata, un aumento delle risorse per l’Università. Ma nella testa del superministro quella dote non avrebbe dovuto superare gli 800 milioni di euro. Inevitabile dunque che due giorni dopo il sì all’emendamento, in consiglio dei ministri, fra i due colleghi scoppino le scintille. «Lavoro a questa riforma da nove mesi e di risparmi ne ho fatti tanti», sbotta la Gelmini. A dire sì a quella norma Tremonti proprio non ci pensa. «Così com’è non può passare», ripete più volte il ministro dell’Economia.

Lo schema è sempre lo stesso: da una parte colui che difende la linea del rigore, dall’altra i ministri di spesa che chiedono risorse. In mezzo, sempre più provato, il premier. Se però sulla questione del mancato finanziamento al fondo per il cinema - uno dei problemi emersi dalla riunione - Berlusconi calmerà le ire di Sandro Bondi, altra cosa è l’Università. Quella riforma, nelle sue intenzioni, dovrebbe diventare un fiore all’occhiello del governo. E così ieri mattina, nonostante la convalescenza per via dell’operazione alla mano, il premier ha chiesto al ministro dell’Economia di vedersi fra le mura riparate della residenza milanese di Arcore. A sentir i ben informati, il clima fra i due non è stato nemmeno questa volta dei più distesi. Berlusconi però prova a mediare, consapevole dei rischi che a questo punto corre il governo. Tremonti e la Gelmini si incontrano nel pomeriggio senza successo e con un solo esito: il rinvio del problema. «A questo punto non è un problema mio, ma di Tremonti», sbotta la Gelmini con i suoi collaboratori. «Si assuma la responsabilità di dire che i soldi per la riforma non ci sono». Una soluzione a questo punto Berlusconi la pretende: non gli sono sfuggite le dichiarazioni dei finiani Italo Bocchino e Fabio Granata, i quali hanno promesso di ripresentare in aula «tutti gli emendamenti che non dovessero trovare copertura». Un solo incidente sulla riforma potrebbe costare la crisi. Lo sa lui e lo sa Gianfranco Fini, il quale ieri sera, durante le votazioni sul documento di finanza pubblica, è stato visto scambiarsi opinioni dallo scranno più alto di Montecitorio proprio con Giulio Tremonti.