GRUPPO DI FIRENZE

per la scuola del merito e della responsabilità

La fine dei mestieri dei "Call center"

Valerio Vagnoli dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità,
25.10.2010

Ieri, gran parte dei quotidiani dedicavano ampio spazio a quanto Confartigianato denuncia: è difficilissimo trovare dei giovani disposti a fare una serie di mestieri. I ragazzi italiani sono quasi tutti intenti a realizzare il sogno dei loro genitori, un diploma liceale, perché il liceo, si sa, o almeno così pensavano e pensano tanti illuminati pedagogisti e politici italiani, è la scuola dei ricchi, quindi quella che ha maggior valore, ed è quella che insieme alla “sistemazione” di prestigio, dovrebbe garantire la vera cultura, quella che finalmente mette sullo stesso piano i pierini e luigini italiani. Peccato poi che la storia vada diversamente e che troppi laureati siano in cerca di occupazione.

Proprio coloro che si sono tanto appassionati alle “intelligenze multiple” si sono spesso accaniti nel volere a tutti i costi un sistema formativo sostanzialmente “licealizzato” (si veda l’ampio schieramento a favore del biennio unico alle superiori). Magari sono le stesse persone che pontificavano in convegni e corsi di aggiornamento su quanto fosse importante attuare un’istruzione quanto più possibilmente individualizzata e rispettosa dell’intelligenza e della personalità dell’individuo.

Così, oggi, gran parte di quelle ragazze e ragazzi sono fuori dal mercato del lavoro o passano, nel migliore dei casi, da un part-time all’altro, bramando qualche ora di lavoro nei call center o in una supplenza a chissà quanti chilometri da casa (quella dei loro genitori, ovviamente). Ai campioni della pedagogia e della politica scolastica “progressista” andrebbe ricordato che così non viene garantito il diritto ad essere almeno un po’ felici ed appagati dalla vita. Sfido chiunque ad esserlo se a trenta o quarant’anni si trova in tasca una laurea inutile e un certificato di disoccupazione.

Un’ultima riflessione. Ovviamente i figli dei benestanti, coloro che possono contare su genitori professionisti, manager, dirigenti, eccetera, continueranno ad essere i soliti pierini. Infatti in un sistema in cui il merito non conta quasi nulla, la mobilità sociale rimane rigidamente orizzontale, esattamente come vogliono i tanti interessati alla moltiplicazione delle sedi e facoltà universitarie e ostili, nello stesso tempo, alla formazione professionale. Meglio disoccupati e infelici a trent’anni e oltre, e destinati ad un lavoro di ripiego, ma “acculturati” e illusi da una formazione liceale e universitaria senza alcun sbocco occupazionale. Esattamente come accadeva nelle Filippine di Marcos negli anni settanta e nei primi anni ottanta. Auguriamo loro di non subire, alla fine, il destino di tanti giovani laureati che negli anni ottanta abbandonarono le Filippine per cercare lavoro in ogni parte del mondo.

 

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Il Comunicato della Confartigianato

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L’articolo di Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera

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Il commento di Oscar Giannino sul Messaggero