UNIVERSITÀ SCONTRO FINALE

I 9 mila ricercatori che fanno
slittare la riforma Gelmini

Regolarizzarli costa 1,7 miliardi per i prossimi 6 anni. Troppi, secondo Tremonti, che mette sul piatto solo 800 milioni. Tra politiche nuove e vecchie, proclami sul merito e sanatorie di fatto, con loro rischiano di bloccarsi gli atenei. Come uscirne?

Paolo Baronila Repubblica 15.10.2010

ROMA
Novemila ricercatori assunti in sei anni. Su questo scoglio si è arenata la riforma dell’Università. Per il ministro dell’Istruzione questo è un punto irrinunciabile della sua riforma, ma il ministro dell’Economia nega le risorse necessarie e per questo la legge resta ferma al palo. Negli ultimi giorni non sono mancate tensioni all’interno del governo, con Berlusconi preso tra i due fuochi. Gelmini protesta, i finiani sono pronti a votare contro, Letta media, mentre alla Camera aspettano l’evoluzione del confronto. Ancora ieri Tremonti ha assicurato che entro fine anno un po’ di soldi verranno trovati: «faremo il massimo - ha dichiarato - metteremo quanti più soldi possibile».

Quanto non si sa. La finanziaria varata a luglio prevede un taglio di un miliardo e 350 milioni di euro nel 2011 a carico dei nostri atenei, una manovra brutale che da mesi viene contestata dai rettori come dagli studenti, che ancora ieri hanno protestato in tutta Italia. Nelle scorse settimane sembrava che il ministro Gelmini avesse trovato un’intesa di massima col collega dell’Economia («tutto a posto, troveremo le risorse necessarie») poi alla Camera è spuntato l’emendando per assumere i ricercatori e il banco è saltato. La ragione è semplice: mentre Tremonti pare fosse intenzionato a stanziare al massimo 7-800 milioni di euro per ripristinare in parte i tagli, la proposta votata in Commissione cultura ne costa da sola 1,7 miliardi spalmati in sei anni (90 milioni nel 2011, e poi 263 nel 2012, 400 nel 2013, 253 nel 2014, 333 nel 2015, 413 nel 2016) e poi 480 milioni l’anno dal 2017 in poi. Troppi soldi, decisamente troppi.

Non solo. I 9000 ricercatori in questione verrebbero promossi al rango di professore di seconda fascia in ragione di 1500 l’anno per sei anni «ope legis», cioè per legge, attraverso una specie di sanatoria che secondo i tecnici della Ragioneria dello Stato rischierebbe pure di generare un fiume di ricorsi davanti al giudice del lavoro. Le chiamano «misure per la valorizzazione dei ricercatori di ruolo e del merito accademico», ma è evidente che questo modo di procedere, magari servirà a placare un poco le ire della categoria, però col merito non ha molto a che fare.

Altra considerazione: è lecito impegnare tante risorse, se non addirittura tutte le risorse che il Tesoro è pronto a mettere a disposizione, per assumere personale? È questo che serve davvero oggi all’università italiana? E i ricercatori esclusi? Non meritano certezze e stipendi migliori? Per non parlare poi dei fondi per i laboratori, per la didattica e le sedi. I protagonisti della partita, ovviamente, non sono tutti concordi. I rettori chiedono «numeri precisi», gli studenti di riscrivere da capo la legge. Nella maggioranza sia attende con un blando ottimismo il decreto annunciato per fine anno da Tremonti. Nell’attesa la riforma resta in bilico, le università italiane pure.