Riforma epocale o ristrutturazione?
di Gabriele Boselli da
ScuolaOggi 12.10.2010
L’espressione “riforma epocale” come emblema della ristrutturazione
della scuola in atto da qualche anno mi sembra eccessiva e
insufficiente insieme. Per i motivi che dirò, non si tratta di una
riforma e, quanto all’ "epocale”, lo è certamente in quanto adempie
a quegli aspetti dominanti dell’epoca che ho altrove definito di
monovalorialità economicistica.
Pur non essendo una riforma (a suo fondamento non vi è la potenza
generatrice delle Idee, né la spinta all’innovazione che esiste nel
suo corpo docente) con la forza delle cifre cambierà comunque, per
sottrazione, le cose. Come avviene in ogni processo di
ristrutturazione – è questo il suo vero nome – i dipendenti dovranno
piegarsi.
Ci dovremo adattare a una scuola a forte precarietà istituzionale,
ma che comunque potrà continuare a far conto sulla cultura,
l’intelligenza e il cuore di chi vi lavora. Ce la faremo, previa
epochè, onorando la tradizione e interpretando il volto buono
dell’epoca.
Avendo attraversato tutte le epoche dello spirito, le scuole
d’Occidente veleggeranno bene anche oltre questa.
Perché non è una riforma
Una
vera Riforma della scuola è una grande impresa culturale, politica e
pedagogica; dovrebbe rappresentare un modo in cui una società
interpreta i mutamenti in atto e pensa di rispondervi elaborando una
teleologia, costruendo con passione un aspetto cardinale dello
Stato.
Come tra ombre e luce è sembrato accadere ottant’anni fa con
Giovanni Gentile, l’essenza della sua forma è data dal vento dello
spirito, è disegnata da uno sguardo sul mondo che capace di
riassumere in sè tutte le epoche, incrinare le strutture della
fattualità, guardare in avanti e creare l’avvenire introducendo
nuovi modi di pensare. Ogni autentica riforma scolastica è un
intervento del pensiero a venire perchè muta la teleologia
educativa, ossia il quadro delle finalità che una costellazione
scolastica si propone. Una riforma trae forza dai millenni ed
esprime il distendersi dell’intenzionalità del corpo docente oltre
la struttura delle proprie memorie, inventando il futuro.
La scuola dev’essere lasciata libera di riformarsi (ogni vera
riforma è un’autoriforma) in
quanto la cultura, la scienza e il contesto sociale cambiano, ci
sono nuove domande formative;
non dovrebbe essere però operazione di semplice adeguamento, di un
mero “stare al passo con i tempi”. Una scuola vera ha un passo più
veloce dei tempi in cui si trova a esercitare il proprio magistero.
Riforma come autoaffermazione del Novum
Il
cambiamento non è sempre sinonimo di progresso; è positivo quando è
innovazione,
ovvero quando veicola e attua idee nuove, dinamizzando il settore.
Nella scuola è innovazione quando le idee –nuove- costituiscono un
rilucere della tradizione culturale e pedagogica dell’Occidente.
Il novum ordinariamente non abita la contingenza ma la storia nella
sua interezza. La creatività diffusa di cui vi è bisogno per
riformare fondazionalmente la scuola e per essa la società
attraversa questo come ogni altro tempo. Non viene dal nulla ma dal
tutto, dalle cose che sono state e da quelle che saranno; è nel
punto di collimazione tra il passato e il futuro. E’ tuttavia
impresupposta, pura, disinteressata, gratuita, politica e impolitica
insieme.
La scuola muta continuamente forma perché la scuola è lo spirito e
lo spirito è vento. Vento che, abbia campo nella città ideale o si
trovi a spirare tra le mura della più totalitaria delle tirannidi
postdemocratiche, attraverso la voce del docente/Maestro innescherà
nuovi eventi di pensiero.
Le vere riforme sono autoriforme del pensiero, passaggi del pensare
in cui un pensiero il più possibile puro reinventa se stesso. V’è da
dire che queste riforme sono rarissime e ancor oggi non s’intravvede
alcun Giovanni Gentile; a parte Giorgio Israel e la sua notevole
statura intellettuale, vediamo in azione per ora solo Bruschi e
Abramavel.
Peraltro, la scuola in ogni epoca fatica a essere autoaffermazione
dello spirito, a rappresentare la cultura stessa nel momento in cui
subisce il passaggio dai vecchi ai giovani corpi, per vivere eterna.
La riforma di cui avremmo bisogno
Si
può parlare di riforma quando un ampio universo di soggetti (la
comunità scientifica e i suoi membri che insegnano) si muove intorno
ad essa, per disegnarla, sostenerla, accoglierla, comprenderla.
Influiscono sull'innovare le persone che si incontrano, i luoghi che
si attraversano, gli spazi che si occupano; in questo intreccio, in
questa relazione tra le parti pluralmente si costruisce e s'inventa
l'innovazione.
La vera riforma non sarà tanto quella che stanno scrivendo, ma
quella che noi operanti nella scuola realizzeremo.
Avviare processi di riforma autentica è il segno e il sogno del
politico vero (l’uomo che si spende non per sè ma per la città) come
della scuola migliore; esprime il fervore, la tensione creativa
della città e degli insegnanti, la capacità di difendere e
possibilmente estendere spazi di libertà, di critica, di creatività.
Ciò che è da temere, oggi nella scuola come nella vita politica
nonché negli ambienti che le studiano, è la quotidianità senza
senso, l’indifferenza etica, la passività intellettuale,
l’atteggiamento di avversità pregiudiziale come di applicazione
acritica.
Il Maestro verticale
Intanto, e forse per molti anni, non resta che il Maestro che è in
ciascuno di noi ad alimentare la speranza nel pensiero e nella
scuola a venire. Una teoria e una pratica autenticamente
riformatrici fan parte di un’epoca ma vengono da altre e inviano ad
altre ancora, così come ai luoghi che non hanno il tempo tra le loro
dimensioni. Dobbiamo istruire alla sopravvivenza nel mondo attuale e
in quello imminente ma anche aiutare ad educare soggetti che, nelle
ristrette contingenze e nei sempre brevi anni della loro vita, non
siano costretti a pensare solo al mercato del lavoro ma attuino il
diritto alla vita (la pienezza dell’esistenza).
Un docente/Maestro con la maiuscola, che porti gli interi (le
persone) all’intelligenza e
all’amore per l’Intero, è l’unico vero agente riformatore. Un
Maestro verticale, in quanto non si limita a guardarsi intorno, ma
pensa anche in profondità e in altezza, consapevole di Nadir e volto
allo Zenith.
Il tutto non solo per capire ma anche per estendere il campo di
fondazione scientifica, approfondire radici e vettori del momento;
per vincere un certo disagio da estraneità; per l’autoaffermazione
di chi lavora nella scuola non solo come diligente impiegato ma
anche autore dei propri giorni di magistero.
Bibliografia
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