DIRITTO di CRONACA
Scuola, due retrofront
Al corso militare nelle scuole e all'anagrafe
docent
Flavia Amabile La Stampa,
22.10.2010
Innanzitutto l'anagrafe dei prof. Se ne è parlato molto ma
soltanto da qualche giorno si è capito che i tempi sono un po'
diversi da quanto si immaginava. La norma che prevede la messa in
rete delle conoscenze e delle competenze degli 800 mila docenti
italiani non faceva parte del regolamento licenziato originariamente
dal consiglio dei ministri e su cui il Cnpi, il Consiglio nazionale
della pubblica istruzione, si è espresso, per la seconda volta, la
scorsa settimana. Al ministero si sta cercando una soluzione.
E poi il
caso dei corsi militari in classe. Il progetto non è stato
ancora annullato ma chi doveva occuparsene si è ritirato. Troppe le
proteste contro il protocollo "Allenati alla vita" firmato dalla
direzione scolastica della Lombardia e il Comando regionale dell’
Esercito per coinvolgere gli studenti di 140 istituti superiori
della Lombardia in corsi che comprendono materie che vanno da
cultura militare a esercizi ginnici, fino a corsi di sopravvivenza.
A tenere le lezioni era stata chiamata l’Unione nazionale ufficiali
in congedo d’Italia che però rinunciato dopo le polemiche e dopo il
tentativo di occupazione degli uffici dell’associazione a Milano da
parte di studenti dei collettivi.
Contro il
progetto sono in corso manifestazioni da due settimane a
Milano. Una mamma ci ha inviato questa lettera:
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Jasmina Radivojević
pedagogista di Belgrado, residente a Milano
Gentili Ministri Gelmini e La Russa,
vi scrivo questa lettera aperta in merito al vostro progetto
congiunto chiamato “Allenati per la vita” ed il protocollo che in
merito avete sottoscritto.
Sono stata profondamente scossa da questa vostra decisione di
introdurre contenuti militaristi nella scuola superiore italiana e
vi spiegherò anche perché.
Provengo dalla Jugoslavia, precisamente da Belgrado. Faccio parte
della generazione del 1966 e quindi sono stata una pioniera di Tito.
Il sistema jugoslavo, come anche quello israeliano, avevano adottato
una politica di difesa totale popolare. Essa consisteva, oltre ad
una prontezza a rispondere alla chiamata alle regolari esercitazioni
militari della popolazione e ad un servizio militare di leva
obbligatorio, anche ad una capillare educazione scolastica relativa
alla difesa della patria. Fin dall’ultimo anno delle elementari
c’era nei programmi scolastici, a livello nazionale, in tutte le
repubbliche e regioni autonome della Jugoslavia, una materia
denominata “Primo soccorso” per poi passare all’ultimo anno delle
medie alla “Difesa totale popolare e protezione civile”. Prima,
però, dovevamo superare gli anni del “Primo soccorso”: dalle
tecniche per estrarre il veleno di un morso di serpente, alla famosa
fasciatura di Esmark, la respirazione bocca a bocca, il massaggio
cardiaco e così via…
Ci
piaceva moltissimo questa materia, lo devo ammettere, ci
dava il senso dell’avventura, ci divertivamo un sacco a fasciarci a
vicenda e simulare storielle, con sghignazzate che accompagnavano il
tutto.
Tutti
però, aspettavamo il momento più importante, l’uso del
fucile.
E ci fu anche questo. Ci esercitavamo con il Mauser M-48, un vecchio
fucile, del peso di 4 kg e lungo circa 1 metro. Era di produzione
jugoslava ed era il più venduto in assoluto nei vari paesi amici che
al loro interno si scannavano. Ma al tempo noi questo non lo
sapevamo. Non sapevamo che il nostro benessere dipendeva anche da
quelle armi vendute e con le quali gli altri si massacravano. Anni
dopo lo abbiamo scoperto a nostre spese…gli altri avrebbero
costruito il loro benessere sulla nostra di pelle e la ruota della
fortuna continuava a girare…
Non so se ci sembrava di giocare a partigiani e nazisti, gioco che
abbiamo sempre fatto da bambini, solo che stavolta lo si faceva con
fucili veri, ma mi ricordo che ci piaceva.
Noi ragazze avevamo una paura matta che il fucile, nello sparo ci
staccasse la spalla, dato che ci avvertivano di tenerlo più fermo
possibile perché tendeva fortemente indietro e se non si stava
attenti la spalla la si poteva persino rompere!
Fu un emozione immensa andare con la classe sul poligono fuori città
e tirare al bersaglio. Dovevamo sdraiarci sugli appositi
materassini, in fila, con le orecchie tappate con le cuffie. Avevamo
in dotazione un caricatore di 5 pallottole e sparate quelle dovevamo
caricarne altre
Feci tutto e rimasi sorpresa quando fui chiamata
dal professore e da un militare. Avevo tirato meglio di tutti gli
alunni della scuola. Non ci potevo credere. Mi invitarono a
partecipare alla competizione di tiro della mia città. Mi dimenticai
la data e non ci andai. Il professore si offese a morte e mi tolse
l’ottimo che mi ero guadagnata sparando.
Alle
superiori, per quattro anni abbiamo studiato le varie
dottrine militari: da quella antica cinese dello Sun Tzu e la sua
“Arte della guerra”a Carl von Clausewitz e a tutte le strategie
della difesa popolare jugoslava, di chiara ispirazione partigiana,
grazie alla quale siamo stati l’unico paese in Europa ad essersi
liberato da solo dal nazifascismo. Questo ci riempiva d’orgoglio.
Inoltre, si continuava con l’uso del fucile, della pistola e anche
della bomba a mano. Nei primi due mantenni la costante bravura. Con
la bomba a mano non ebbi la stessa fortuna e per poco non feci
saltare in aria il professore! Non ero portata, mi dicevano…
Eravamo
ignari che tutto quanto avevamo imparato, ci sarebbe servito negli
anni a venire per meglio scannarci tra di noi in una guerra civile
atroce. Io non vi ho preso parte, per fortuna, ma tanti miei amici,
di svariate etnie, sì. Alcuni non li ho mai più rivisti.
In
questo senso, cari ministri, reputo la vostra decisione
sbagliata, se anche mossa in buona fede.
Non serve ai ragazzi saper sparare per meglio comprendere le forze
armate o per avvicinarsi al volontariato o alla Croce Rossa.
La
militarizzazione della scuola, prima o poi porta alla
militarizzazione della società. Prendete l’esempio dal modello che
vi ho descritto. Oppure da quello israeliano che è persino più duro
di quello che un tempo fu jugoslavo. E vediamo qual è la realtà
israeliana da decenni…
Un mio caro
amico, Nebojša Milosavljević, attuale sindaco di Blace, cittadina al
sud della Serbia, nel suo libro autobiografico “In una bizzarra
guerra per disperazione”, in cui descrive la sua partecipazione alla
guerra in Kosovo dove fu chiamato alle armi, dice:
“Da piccolo sono stato abilitato ad utilizzare il
fucile, che oggi, nella piena maturità, sto usando per davvero, in
una guerra reale! Mi chiedo se la prima non sia la causa della
seconda. Se questa guerra banale non sia in realtà un (di)effetto
senza precedenti della prassi real-socialista, dove, invece di
ricevere un’istruzione ai valori democratici, noi abbiamo ricevuto e
praticato i contenuti militaristi. E non è forse la consequzio ovvia
questo conto finale, in una simile concezione militarista che anche
io devo pagare, qui ed ora e in modo così paradossale? (Kosovo, 14
giugno 1999)”
Ci
sono molti modi per avvicinare i ragazzi al volontariato ed
alla protezione civile. E soprattutto alla Pace.
Non
sono i tempi né di von Clausewitz né dei tiri con la
pistola, seppur ad aria compressa.
È tempo di costruire la pace. Con la solidarietà e il dialogo.
Cominciando dalla propria casa e dalla scuola, alleniamoci per la
pace e la cooperazione.