IL CASO

Prof in rivolta, basta gite scolastiche

Nuova forma di protesta contro tagli e rimborsi mancati.
Ma a rimetterci sono gli studenti

Pietro Ratto La Stampa, 6.10.2010

ROMA
Dal Pasteur al Plinio di Roma, dal Copernico al Bruno di Torino, dal Newton di Chivasso al Monti di Chieri, dal Falcone al Belotti di Bergamo al Quintino Sella di Biella, in decine e decine di scuole di ogni regione d’Italia si allarga la nuova frontiera della protesta degli insegnanti: "No alla gita". Collegi docenti infiammati un po' ovunque. Contro i tagli che stanno deprimendo il sistema istruzione si protesta anche così. La riduzione del personale docente si sente eccome. Aule stracolme di ragazzi, sempre meno gestibili, sempre più difficili da preparare e da valutare. Classi spesso lasciate incustodite quando un docente è malato e nessuno viene nominato al suo posto. Laboratori deserti, soprattutto per mancanza di tecnici, lasciati a casa anche loro.

Qualche preside contiene la protesta convincendo i suoi docenti a firmare una mozione. Ad una mozione si può aderire oppure no, è una decisione soggettiva, che coinvolge solo chi è favorevole.

In altre scuole la protesta assume ben altre dimensioni, concretizzandosi in una delibera dell’intero collegio. Non più qualche docente, ma tutta la scuola prende posizione, fatta salva l’autonomia dei singoli consigli di classe. Ogni istituto con diverse sfumature. In molte scuole il rifiuto al viaggio d’istruzione si associa, ad esempio, a quello nei confronti della disponibilità dei docenti a prestare servizio al di là dell’orario strettamente previsto, le famose diciotto ore di cattedra.

Così, nelle riunioni di insegnanti di un po’ tutti gli istituti, sta accadendo che qualcuno si alzi e proponga di rifiutarsi di portare i ragazzi in gita. Quanto meno di evitare i viaggi di più giorni. Le obiezioni non si fanno attendere. Chi fa notare che non si tratterebbe di un vero sciopero, perché un docente non è comunque obbligato ad accompagnare i ragazzi in gita; chi scuote la testa, “tanto non si ottiene nulla”; i più sensibili pensano agli studenti, “così ci rimettono solo i ragazzi”.

L’onore di esser scelti dai ragazzi per essere accompagnati in gita comporta corse notturne in pigiama, su e giù per le scale degli alberghi, nel goffo tentativo di stanare adolescenti che scappano da tutte le parti; notti di incursioni improvvise nelle camere per trascinare fuori decine di intrusi che inseguono la loro avventura da raccontare.

È un onore che si paga con responsabilità enormi e che, oltretutto, non viene retribuito (nessun rimborso per la trasferta è dovuto, a parte la miseria dei tristemente famosi 8 euro lordi al giorno).

Per non parlare di umiliazioni come quella di constatare che le decine di ragazzoni che ti sei trascinato in lungo e in largo tra musei e cattedrali, ad altro non pensano che ad ammucchiarsi in discoteca, subito dopo cena. Un viaggio, dunque, che sempre meno ha a che fare con l’istruzione e sempre più assume i contorni della gita-distruzione. Distruzione fisica e psicologica del docente accompagnatore.

Ma da parte degl’insegnanti c’è anche l’intenzione di mettere in luce l’enorme giro d’affari che i viaggi d’istruzione rappresentano per agenzie turistiche, hotel, e per tutti quelli che in questo piatto, ogni anno, mangiano abbondantemente.
Soprattutto nella speranza, nutrita da buona parte dei docenti, di recuperare di fronte alle istituzioni una dignità di professionisti che troppo spesso si sentono sfruttati (oltretutto tra gli insulti di un’opinione pubblica che li ha bollati come ignoranti o fannulloni), che troppe volte si sentono incapaci di reagire o di astenersi da un obbligo.

Resta da spiegare questa protesta ai giovani, a quei ragazzi che potrebbero trovarsi quest’anno senza la possibilità del viaggio d’istruzione. Siamo davvero certi, si chiedono i docenti disobbedienti, che questi alunni siano tutti così superficiali da non capire che una protesta per una scuola più dignitosa possa anche comportare, di tanto in tanto, qualche sacrificio?