scuola
Ballio (Politecnico): gli atenei e Tremonti intervista a Giulio Ballio il Sussidiario, 19.10.2010
Università fuori
dall’agenda politica, dopo lo stop al ddl? Non proprio. «Senza
interferire nelle discussioni e nelle decisioni che hanno luogo al
governo e in Parlamento - ha detto Napolitano ieri a Pisa in
occasione dei 200 anni della Normale - sento il dovere di
riaffermare il rilievo prioritario che va attribuito alla ricerca e
all'alta formazione e dunque all'università». Soltanto che se vuole
i soldi, sembra dire Napolitano, l’università deve meritarseli: per
avere i soldi promessi da Tremonti, deve aprirsi a «misure di
rigorosa razionalizzazione e qualificazione nell'impiego delle
risorse». Napolitano ha ragione - dice al sussidiario Giulio Ballio,
rettore del Politecnico di Milano - perché le università italiane
non hanno sempre fatto questo. Non solo per colpa loro,
naturalmente: sono del tutto mancati i controlli. E senza controlli
l’autonomia è virtuale».
Separiamo per chiarezza
la questione della riforma da quella dei fondi. Da un lato siamo di
fronte ad una riduzione di circa il 15 percento del finanziamento
statale all’università. Questo comporta la crisi di tutto il
sistema, nel senso che se questa politica finanziaria viene
mantenuta ci saranno atenei che dovranno portare i libri in
tribunale, e altri che dovranno ridurre pesantemente le loro
attività in termini di servizi agli studenti. Per esser chiari, mi
riferisco a servizi primari per l’esercizio della didattica, come il
riscaldamento e il condizionamento delle aule.
Ci arriviamo. Dicevo,
la situazione è critica anche perché non si possono aumentare oltre
un certo limite le tasse studentesche. In Italia c’è un profondo
convincimento, ed è quello che la formazione terziaria non può non
essere sostenuta dallo Stato. Non siamo certo i soli in Europa a
pensarla così. In ogni caso, il finanziamento al sistema
universitario rispetto al Pil è estremamente basso nel nostro paese.
Questo per dire che abbiamo già raggiunto una soglia incomprimibile
e se si continua così il sistema collassa.
La riforma universitaria così com’è
stata impostata, nonostante i vari emendamenti del Senato, sotto
molti aspetti toglie autonomia agli atenei. Contempla tutta una
serie di regole - dalla composizione del Cda a quella del senato
accademico e alla durata dei mandati, solo per dirne alcune - che
hanno molto dell’imposizione punitiva rispetto al passato e che
comportano un duplice rischio: di non migliorare il comportamento
degli atenei che non hanno sfruttato bene l’autonomia, e di
penalizzare quegli atenei che, attraverso l’autonomia, hanno avuto
la possibilità di fare progressi.
Solo vorrei distinguere. Nel ddl ci
sono anche cose molto buone: la possibilità di dare retribuzioni
aggiuntive ai docenti in funzione del loro lavoro, per esempio. Al
tempo stesso però non sono esplicitati i loro doveri: fino a quando
non saranno nero su bianco i doveri dei docenti - e le sanzioni per
i docenti che non svolgono questi doveri - non ne verremo fuori.
L’unico dovere di un docente è stare
in ateneo e fare didattica e ricerca. E di essere valutato in
funzione del suo prodotto. Secondo me su questo il ddl Gelmini
mostra la sua lacuna più grave.
In base al decreto finanziario
precedente, quello di giugno, noi dovremmo spendere, nel 2011, la
metà delle spese di missione del 2009. Come faccio ad andare in
Europa a prendere un progetto europeo? Come faccio a fare una
ricerca internazionale? Poi le regole del turnover imposte dalla
finanziaria dell’anno scorso porteranno ad una riduzione degli
organici. Se da un lato questo porterà a fare delle economie,
dall’altro produrrà un aumento del rapporto studenti-docente. Col
risultato di un sicuro decadimento qualitativo.
Il fatto che l’abbiano bloccato per
ragioni di cassa non fa prevedere nulla di buono. Per quanto
riguarda i ricercatori, so che si è parlato di sanatoria. Dipende:
per molti atenei potrebbe essere una sanatoria, per molti altri no,
perché la legge prevede la chiamata delle persone in funzione del
merito e in questo ridà alle università la responsabilità di
chiamare un docente bravo o uno scarso.
I tagli in ogni caso predispongono il
quadro che le ho fatto all’inizio: un certo numero di atenei non
riusciranno a sopravvivere mentre altri dovranno ridurre
pesantemente tutti i servizi, e con essi la qualità. Se viceversa
non si trovano i soldi per il reclutamento, col fatto che moltissimi
ordinari e associati vanno in pensione e i ricercatori restano
ricercatori, il risultato sarà che viene a mancare una classe
docente libera dal dover fare ulteriori concorsi e disponibile a
dedicarsi pienamente alla didattica e alla ricerca. Napolitano ha ragione. No, non l’hanno fatto. Secondo me ci sono ampi margini d’azione, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione mirata di personale. Da questo punto di vista molti atenei hanno imbarcato troppe persone, guadagnandosi un futuro quanto mai incerto. Ma il punto è che per razionalizzare ci vuole controllo: la responsabilità di quello che è successo in molte università non è soltanto degli atenei, ma anche della totale mancanza di controllo da parte del centro. Qui si parla di atenei che sono in rosso: che cosa stavano a fare, mi chiedo, i revisori dei conti, che sono ministeriali? Senza controllo, non esiste alcuna credibile autonomia di gestione.
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