Valutazione

Poiché le formiche non sudano perché mai gli studenti dovrebbero rispondere a un questionario sulle possibili motivazioni del sudore e della stanchezza delle formiche?E perché mai  gli insegnanti dovrebbero vedersi valutare su risposte date a domande didatticamente discutibili?

di Piero Morpurgo, Gilda degli insegnanti di Vicenza 17.11.2010

Lavorare con paura rende il docente produttivo!

Gli insegnanti godono di poca fiducia presso molti giornalisti e ancor meno ne hanno i sindacati della scuola; così Gian Antonio Stella in una serie di interventi indica come uno dei mali della scuola italiana proprio l’assenza di un sistema di valutazione[1]: “Il solo modo per salvare università e scuole è metterle in concorrenza l’una con l’altra. /…/ Se un insegnante non ha alcun incentivo salariale o di carriera e non affronta nessun rischio di licenziamento, non farà nulla per migliorare il proprio lavoro. Introdurre questi incentivi non costerebbe nulla, anzi il licenziamento degli insegnanti inadeguati farebbe risparmiare quei soldi necessari per premiare i docenti più meritevoli[2]”.

Questi sono discorsi che portano fuori strada e purtroppo su questi temi si insiste nonostante che Rino Di Meglio abbia sottolineato con una lettera al Corriere della Sera quanto siano fuorvianti quelle analisi[3]. Sia detto chiaro e tondo: la FGU – GILDA è con la Costituzione della Repubblica Italiana che dovrebbe difendere i “capaci e i meritevoli” in ogni settore dalla Scuola al mondo del lavoro. Tuttavia deve essere stabilito, altrettanto nitidamente, che la didattica non può essere incardinata su un sistema di quiz in base ai quali, attraverso le risposte degli studenti, si giudicano gli insegnanti. Questo metodo è stato respinto dall’Australia e dall’Inghilterra in quanto estremamente dannoso per i processi di apprendimento.

 

L’insegnante di qualità certificata diventa un ‘mago’

C’è, nei sostenitori della necessità di misurare gli insegnanti, una totale carenza di analisi complessiva; e questo si riscontra in quel che scrive Abravanel Roger: “Cosa deve preoccupare davvero i genitori italiani alla riapertura dell' anno scolastico? Una sola cosa: la qualità degli insegnanti, l' unica variabile che determina il rendimento degli studenti, come provato da innumerevoli ricerche sulle migliori scuole del mondo. Non la dimensione delle classi. Non le ore di insegnamento. Non quanto si spende nella scuola. Quello che conta è la qualità degli insegnanti /…/  Un genitore potrebbe sapere molto di più sulla qualità della scuola se i risultati dei test aggregati venissero resi noti prima del momento dell' iscrizione. Solo così una mamma e un papà italiani potranno capire che forse la scuola media un po' più lontana da casa è migliore perché i suoi studenti hanno ottimi risultati in italiano e matematica. Trasparenza sui risultati per fare sorgere la meritocrazia[4]”. Sono parole che evocano il ‘mondo magico’: mettete l’insegnante di qualità anche in una stalla, senza risorse e anche con 50 studenti e d’incanto tutti sapranno leggere e scrivere.

 

Si valutano conoscenze o stili di vita?

Se poi andiamo ad analizzare nel dettaglio le proposte, alcuni aspetti appaiono davvero inquietanti: agli studenti della quinta elementare (a.s. 2008-2009) è stato chiesto 1) abitualmente con chi vivi (con tutti e due i miei genitori; con uno solo; un po’ da mia madre, un po’ da mio padre;  non vivo con i miei genitori); 2)  Quante di ciascuna delle seguenti cose ci sono a casa tua? Bagni (nessuno;  uno; due; tre o più di tre) Automobili (nessuna;  una; due; tre o più di tre). Seguono poi dei quesiti sul comportamento delle maestre per poi proporre: A scuola ti è successa qualcuna di queste cose nell’ultimo mese? (mi hanno rubato qualcosa, sono stato picchiato, dei bambini mi hanno obbligato a fare cose che non volevo, i compagni mi hanno fatto sentire escluso). L’invasione nella coscienza e nella vita privata dei piccoli e l’invito a delazioni anonime è un malvezzo dei nostri questionari.

Si noti che non ricorre nemmeno un quesito su quel piacere che è lo stare assieme a scuola con i coetanei. Questa intromissione nella sfera privata è solo italiana; infatti, benché l’INVALSI asserisca di adottare come quadro di riferimento le metodologie di altri paesi[5], dalle stesse tabelle prodotte dall’Istituto si evince che solo l’Italia indaga sulle risorse materiali a casa (bagni e automobili) e sulle risorse educative (libri e computer)[6], la serie di domande volte a far rappresentare a un bimbo di 10 anni quanti libri ha fa trasparire l’assoluta lontananza dal mondo giovanile degli esperti in quiz: è ovvio che il ragazzino tenderà, per non far brutta figura, a sovrarappresentare la dimensione dello scaffale della biblioteca familiare.

 

La fatica collettiva di insegnare e di accogliere il lavoro dei colleghi.

E noi che stiamo in classe sappiamo quanto peso gli studenti diano all’immagine delle disponibilità familiari, e noi che vediamo i volti degli studenti tutti i giorni ci stiamo attenti a non entrare in realtà talora drammatiche, e noi docenti stiamo attenti all’invadenza e pronti a interventi didattici di coscienza. Testimonio che mi hanno riferito di genitori che chiedono il piccolo prestito in banca per mandare i figli in ‘viaggio d’istruzione’ per non farli sfigurare. L’invasività dell’INVALSI appare davvero eccessiva solo da noi si misura l’impatto sulla didattica delle assenze di docenti e ATA per valutare il sistema scolastico[7].  E’ ovvio che tutto ciò non ha a che fare con una seria valutazione che dovrebbe contemplare la ‘trasmissione dei saperi’; a questo proposito l’intervista di Paola Mastrocola è illuminante[8]: la scuola precipita per una pluralità di fattori e non per l’unica colpa degli insegnanti. Faccio un esempio concreto: un insegnante ottiene un premio per il lavoro fatto in una classe terza; il riconoscimento è meritato però non tiene conto del duro lavoro che una collega del biennio aveva fatto nella stessa classe. Insomma non si può valutare in modo meccanico senza tener conto delle sinergie di medio e lungo termine. E invece ci si indirizza verso una valutazione schizofrenica come ben descrive un’insegnante di Padova[9].

 

Una valutazione complessiva di lunga durata contro gli schematismi dei quiz.

Di recente Gabriele Boselli ha scritto: “La valutazione dell’attività docente e dirigente è scientificamente pensabile come pratica che verte non tanto sul dato “oggettivo” (pur utile per la configurazione di alcuni aspetti dell'attività) quanto  sui principi interpretativi e sugli esiti a lungo termine; è costruzione di rappresentazioni attraverso  una connessione autentica (non artefatta) tra gli  eventi e il  modo in cui sono stati vissuti  dai vari soggetti del campo e dalla comunità in generale[10]”.

Criteri diametralmente opposti sono adottati da Daniele Checchi, Andrea Ichino, Giorgio Vittadini i quali, nella proposta di Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici, affermano: “Gli studenti italiani vanno mediamente bene nelle domande a risposta multipla chiusa, mentre vanno malissimo nelle domande a risposta aperta. È fondamentale far capire che ci può essere continuità fra la miglior tradizione culturale del nostro fare scuola (in cui si chiede di argomentare, leggere, riflettere, dimostrare, scrivere, sapersi esprimere in modo corretto) e le prove standardizzate, costruite secondo quadri di riferimento concettuali solidi e opportune validazioni sul campo”[11].

Dunque le prove standardizzate riuscirebbero a conciliare un glorioso passato con un meraviglioso futuro.  Non sembra esserne convinto Boselli: “Purtroppo l’Illuminismo -per Kant l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità- non è più nella memoria generale. Sarà la crisi economica (ottima occasione per ristrutturazioni del campo a vantaggio dei soggetti che l’hanno provocata), sarà l’epidemia di non-pensiero sparsa dagli untori mediatici ma temo che dopo quararant’anni di pensiero critico e creativo e di sempre sofferta ma possibile libertà di insegnamento noi soggetti senza potere saremo ricondotti nella caverna di Platone. Lì nella caverna molti crederanno alle ombre che saranno proiettate sulla parete degli schermi LCD, lì si convinceranno che il valore delle scuole sia quello evocato dai disegnatori dei test”.

 

Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco.

Sembrerebbe semplice identificare i termini di un dibattito sulla valutazione: favorevoli o contrari ai quiz. Purtroppo la questione non riposa su questa opposizione perché “educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco” affermazione attribuita a William Butler Yeats e che invita all’ardente curiosità del conoscere.

 

Mettersi nei panni degli insegnanti che non operano con le formine.

Ora, pur ribadendo che la valutazione è una fase importante per la vita della Scuola, quel che lascia perplessi è che le indagini trascurano proprio di analizzare come si vive a scuola: la burocrazia ossessiva, le riunioni ripetitive, le aspirazioni di studenti e genitori, il desiderio di tutti gli insegnanti di avere un riconoscimento per quella fatica quotidiana che li porta ad affrontare situazioni disparate e disperate.

Gli insegnanti non operano con le formine mentre i’valutatori’ sembrano adorarle. L’INVALSI sembra non abbia letto la circolare del 28 ottobre 1958 di un Preside di una Scuola Media di Vicenza: “Prego ciascun professore di fare egli stesso, per  qualche giorno, le lezioni che affida ai propri alunni per casa; di farle con i mezzi e i sistemi che essi usano, onde verificare che esiste proporzione fra il quanto delle lezioni e le possibilità degli alunni[12]. Era un invito alla duttilità mentre certe proposte invitano alla rigidità.

 

Errori e inganni di una prova.

Così: la serie di domande sulla fiaba intitolata “La forza del moscerino”[13] ci fa capire che nessuno dei valutatori ha pensato di mettersi a rispondere ai quesiti che proponeva, tantomeno ha immaginato il disincanto e la fantasia dei bimbi. Giustamente si chiede se Sara e le sorelle siano formiche, ma perché mai sarebbe sbagliato -in seconda elementare- definirle amiche. Forse i valutatori lavorano in base al principio ‘fratelli coltelli’? La domanda che invita a stabilire perché Lara era la più forte è errata e fuorviante: è il testo a dire che quella formica è la più forte e questa opzione non c’è. Quanto poi al chiedere perché le formiche erano sudate e stanche la faccenda è semplicemente inaudita: sono pochissimi gli animali che sudano e dunque il quesito è stato costruito in modo ingannevole! Altrettanto bizzarra è che vi possa essere una differenza tra moscerino e insetto giacché il moscerino è un insetto dei ditteri. Quanto al carattere del moscerino potrebbe essere sia intelligente sia scherzoso, direi ambedue. Infine le domande relative alla morale del racconto potrebbero essere tutte giuste in quanto il lettore, per piccolo che sia, ha sempre un diritto -direi costituzionalmente garantito-  a interpretare e commentare il testo. Ora se è pur vero che nelle radici storiche dei racconti di fiaba si trasfondono nei comportamenti degli animali i caratteri dell’umanità in modo da lasciare il lettore interprete della narrazione; tuttavia l’attribuire con quesiti, talora contraddittori, valori vincolati ai comportamenti  fiabeschi delle favole induce in errore. Purtroppo si pensa che le teste dei bambini rispondano sempre nello stesso modo con rappresentazioni tutte eguali come quando si gioca con le formine sulla sabbia.

 

Conoscere la Scuola prima di valutarla.

In realtà dietro l’affollarsi di quesiti e questionari non c’è un ragionevole impegno volto a comprendere quel che accade nelle aule: non si può valutare la Scuola senza conoscerla. Ed è per questo che bisogna riconoscere alla Francia almeno il tentativo di ascoltare le voci dall’interno; infatti  con l’inchiesta Les représentations de la grande difficulté scolaire par les enseignants[14] è stata data voce ai docenti: ben 1400 insegnanti hanno risposto all’indagine che ha portato alla stesura del dossier. Dinanzi a un’emergenza educativa e di stili di apprendimento circa il 65% dei docenti imputa il degrado agli stili di vita della società contemporanea; mentre un 20% ritiene responsabile il sistema scolastico; attorno al 10% si attestano quanti ritengono che le ‘colpe’ siano degli studenti in quanto individui. Per il 45% degli insegnanti l’alunno ha un insufficiente rendimento perché privo di basi; un 55% segnala incapacità di comprensione; altri sottolineano l’assenza di metodologie appropriate di studio. C’è quasi unanimità nell’indicare alle origini del malessere dello studente un rifiuto ad accettare un sistema educativo. E si concorda sul fatto che il professore è lasciato solo dinanzi alle grandi difficoltà; sicché il 33% mantiene uno spirito combattivo mentre un 32% svolge le mansioni di servizio e un 30% si fa prendere dal senso di impotenza.  In questi dati ci possiamo ben riconoscere. Purtroppo chi oggi valuta la scuola non pratica queste indagini e non coinvolge chi insegna.

Una seria organizzazione della valutazione si deve fondare su analisi accurate e di settore imperniate sull’ascoltare i professionisti innanzitutto. Tutto ciò non accade.

 

Una burocrazia elefantiaca e una spesa incredibile.

E mentre si licenziano gli insegnanti; al tempo stesso, per valutare la Scuola, si assumono “104.000 somministratori nella scuola primaria a fronte di circa 18.000 plessi sarebbero necessari circa 23.500 somministratori per anno di corso sottoposto a prova. Nella scuola secondaria di primo grado, a fronte di circa 8000 plessi, sarebbero necessari circa 20.000 somministratori e nella scuola secondaria di secondo grado ne sarebbero necessari circa 20.000 e 17.200 nella seconda e quinta classe rispettivamente a fronte di 7.800 plessi. In totale l’amministrazione della prova nelle cinque classi considerate nel documento richiede la disponibilità di circa 104.000 somministratori (p. 16)”[15]. Il tutto per una spesa prevista di “81milioni di euro” (p. 18).

Non ci resta che piangere.

 

                                                                           Piero Morpurgo

NOTE


 

[12] Vicenza, Archivio Scuola Media Giuriolo.