L'Italia alla sfida della valutazione
Manca un modello unico europeo: di Antonio Cocozza* ItaliaOggi, 2.11.2010 Il tema della valutazione, finalizzato al miglioramento dei risultati, rappresenta ormai un obiettivo strategico non più rinviabile. Con l'esplosione della globalizzazione dell'economia e con l'affermazione di nuove modalità di competizione tra i sistemi paese, l'adeguatezza dei processi e la qualità degli output dei sistemi educativi svolgono un ruolo primario ai fini della capacità di saper innovare per migliorare i risultati sociali ed economici complessivi. Già a partire dalla fine degli anni novanta, nel nostro ordinamento, si è posta la triplice questione valutativa tesa a monitorare e misurare: i risultati degli apprendimento degli studenti, sulla base di parametri e criteri omogenei di carattere nazionale; l'attività svolta dal personale, con particolare attenzione ai processi educativi di insegnamento dei docenti; nonché i risultati delle singole istituzioni scolastiche, in relazione al grado di conseguimento degli obiettivi prefissati nel Pof. A questi tre livelli bisognerebbe aggiungere un quarto livello di valutazione che è quello nazionale di sistema scolastico ed educativo, che attiene alla misurazione dell'adeguatezza dei risultati di apprendimento degli studenti, rispetto agli standard internazionale Ocse-Pisa, Iea-Pirls o analizzati nei report Education at a Glance, ma anche quello dell'efficacia delle politiche educative nel suo insieme in relazione al grado di congruenza con l'evoluzione del sistema sociale ed economico. In questa direzione negli ultimi dieci anni vi sono stati vari tentativi e diverse iniziative. Attualmente il ministro Gelmini ha rimesso all'ordine del giorno l'argomento, con una commissione ministeriale che sta elaborando una nuova proposta per l'istituzionalizzazione di una valutazione di sistema, su singole scuole e su insegnanti. Ma la questione centrale, a nostro parere, non è stata ancora affrontata adeguatamente, poiché il principio dell'autonomia si può applicare compiutamente nella misura in cui vi è un sistema di responsabilità e di accountability, un ordinamento nel quale si conferisce autonomia se si è responsabili di un risultato nei confronti degli studenti, delle famiglie e della comunità territoriale nella quale la scuola è inserita. In questa logica, se osserviamo cosa accade in molti sistemi scolastici dei Paesi Ocse, ci rendiamo conto che si tratta di una questione molto complessa, che richiede una strategia condivisa. Una questione che non può essere risolta attraverso il ricorso ad un semplice regolamento, in una dimensione dirigistica. L'elaborazione di un efficace valutazione di sistema dovrebbe essere basato su un percorso aperto, ma orientato strategicamente, a prendere in esame e a delineare in modo preciso le seguenti cinque variabili: strategia e finalità della valutazione; tipologia di soggetti coinvolti e grado di appropriatezza delle modalità di coinvolgimento; livello di strutturazione degli strumenti impiegati nella ricerca dei dati; congruenza dell'utilizzo dei risultati derivanti dal sistema di valutazione; azioni di miglioramento attivate sulla base della valutazione dei risultati. In realtà, in merito alla costituzione di un efficace valutazione di sistema, dei risultati delle istituzioni scolastiche e degli apprendimenti, basterebbe richiamare e dare concreta applicazione alle indicazioni (raccomandazioni) che gli esperti Ocse hanno rivolto all'Italia alcuni anni fa: istituire un agenzia di valutazione indipendente che definisca parametri di valutazione per mettere le scuole in grado di autovalutarsi, di sviluppare test e fornire consulenza per la allocazione delle risorse; istituire un ente indipendente che svolga ricerche in materia di istruzione; creare un sistema di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi; mettere i risultati a disposizione dei genitori e della comunità in forma di media di scuola. In questo scenario, in questi ultimi anni, a livello europeo sono state assunte molte iniziative che hanno portato diversi Paesi a dotarsi di un sistema di valutazione più o meno efficace, basato su diversi meccanismi di accountability e valutazione, tra cui la valutazione basata sui risultati, ma orientati anche a stabilire se le nuove funzioni affidate agli insegnanti sono accompagnate da incentivi individuali o collettivi, volti a motivarli nello svolgimento dei propri compiti. In quest'ambito troviamo le esperienze maturate nel Regno Unito, in Germania, ma anche in Francia, Spagna e in Belgio. Più in particolare sulla questione più calda relativa alla valutazione dell'attività degli insegnati, sulla base di una ricerca comparativa finanziata dalla Commissione europea e svolta negli ultimi anni da Eurydice, la rete di informazione sull'istruzione in Europa, si può affermare che dal momento che il lavoro di insegnante rientra in una logica allo stesso tempo individuale – il lavoro del professionista – e collettiva – i risultati dell'équipe pedagogica di un istituto scolastico -, le modalità di controllo di questa attività sono ormai molteplici. Infatti, nei vari Paesi europei, troviamo le seguenti modalità: ispezione degli insegnanti a titolo individuale o collettivo (quasi tutti i Paesi, ad eccezione dell'Italia); autovalutazione dell'istituto (Repubblica Ceca, Portogallo, Islanda, Regno Unito); valutazione individuale effettuata dal capo di istituto (Belgio, Bulgaria, Francia, Olanda, Polonia); valutazione individuale effettuata da pari (Grecia, Lettonia, Slovenia, Slovacchia); assenza di valutazione (Italia, Lussemburgo). In quest'ambito, la Svezia e la Finlandia hanno adottato un sistema di valutazione in cui è prevista una procedura contrattuale nazionale, che coinvolge le organizzazioni sindacali, la cui gestione è affidata al dirigente scolastico e/o al Comune di appartenenza, che premiano i docenti, in base ai risultati e nell'ambito di un budget massimo prestabilito. In Finlandia si punta molto sulla valutazione come strategia di sostegno al processo di miglioramento delle performance, attraverso un servizio che fornisce ai docenti assistenza consulenziale professionale e formazione mirata. A questo scopo, il datore di lavoro (il Comune) prevede 3 giorni di formazione obbligatoria all'anno per ciascun docente, ma la media di giornate effettive a consuntivo supera sempre tale soglia, poiché vi è quasi sempre una richiesta volontaria superiore.
In conclusione, in Europa anche se la valutazione non ha
accompagnato, in un quadro normativo coerente, l'ampliamento delle
attività degli insegnanti, si è assistito comunque al graduale
sviluppo di meccanismi di controllo. In sempre più Paesi, questi
meccanismi si incentrano sui singoli professionisti e sull'équipe
pedagogica, sulle loro attività concrete, sulla maniera in cui
rispondono agli standard richiesti e sul loro rendimento. * Docente presso Università Roma Tre e Luiss Guido Carli. |