Puglisi (Pd) a Tuttoscuola: Gelmini? Una prestigiatrice che fa sparire le cose

Per esempio la promessa mappatura per la messa
in sicurezza degli istituti non si è mai conclusa

da Tuttoscuola, 2.11.2010

Francesca Puglisi, 39 anni, consigliere comunale di Bologna, ha iniziato il suo impegno politico nel 1995 con l’Ulivo, di cui è stata il coordinatore nazionale Giovani fino al 1997. Ha contribuito alla nascita della Consulta infanzia e Adolescenza “Gianni Rodari”, ora è il responsabile scuola della segreteria nazionale del partito. In questa intervista a Tuttoscuola parla a 360 gradi dell’Istruzione pensata e sognata dai Democratici.

 

Puglisi, cominciamo proprio dall’inizio, vale a dire dai primi servizi, quelli per l'infanzia. Voi prospettate l'aumento degli asili nido. Ma in una fase di crisi economica come quella attuale, c'è il problema dei fondi. E la questione risorse domina anche la vicenda del tempo pieno...

“In tempo di crisi occorre comportarsi come si fa nelle famiglie per bene: i padri, le mamme, i nonni, si danno delle priorità, tirano la cintura e offrono il meglio che hanno ai più piccoli, ai più giovani, perchè sanno che il futuro è nelle loro mani. Chiediamoci ora se il governo Berlusconi-Tremonti si stia davvero comportando come un bonus pater familias, perché il problema non è di ragioneria, ma di scelte politiche come dimostra il caso inglese, dove il governo di David Cameron sta tagliando il welfare quanto neanche la terribile Thatcher aveva osato fare, eppure il budget per l’istruzione passerà da 35 a 39 miliardi di sterline. Ma non serve andare oltremanica, per dimostrare che governare in modo “diverso” si può. Il governatore della Toscana Enrico Rossi, nonostante i pesantissimi tagli agli Enti Locali inflitti da questo Governo che scarica 15 dei 25 mld della manovra sulle spalle di Regioni, Province e Comuni, investe 4 milioni di euro per aprire quelle 96 sezioni di scuola dell’infanzia che il Governo stava negando, facendo una scelta politica molto precisa. In quella Regione nessun bambino resterà a casa e vedrà garantito il diritto ad un’educazione pubblica di qualità. Altrettanto sta facendo l’Emilia Romagna.
Chiediamoci, allora, come Tremonti e company stiano spendendo i soldi pubblici, cioè i nostri soldi. Chiediamoci quanti sprechi si possono evitare e quanti investimenti si possono fare. Aumentare la spesa pubblica corrente a danno dello sviluppo futuro è una scelta convincente? Conviene investire più nella scuola o in nuovi aerei da guerra? Le famiglie hanno bisogno di più ore di tempo pieno o di corsi di mini-naja? Questo governo la sua scelta politica l’ha già fatta: tagliare l’istruzione pubblica, l'università, la ricerca, producendo il più alto tasso di disoccupazione giovanile conosciuto dal Paese in epoca recente, lasciando per strada i precari. In questo modo, il governo ha scelto di far pagare la crisi ai più piccoli, che saranno gli adulti di domani. E’ la scelta peggiore. Lo dimostrano tutte le ricerche pedagogiche, delle neuroscienze ed economiche: se davvero si vuole aiutare un bambino a superare le debolezze di partenza, se vogliamo davvero combattere l'esclusione sociale, dobbiamo investire in educazione di qualità sin dalla tenera età.
Ecco perché occorre la riunificazione del sistema di educazione prescolare e un nuovo piano straordinario triennale per l’implementazione del sistema territoriale dei servizi educativi della prima infanzia, come fatto dall’allora Governo Prodi, i cui effetti sono stati evidenti: dal 9,5% siamo passati al 15% di risposta alle richieste di asilo nido sul territorio nazionale. Se poi consideriamo anche i servizi integrativi e le numerose sezioni primavera (per bambini da 24 ai 36 mesi), sempre previste nella Finanziaria del 2007 (art. 1, c. 630), si vede che è stata raggiunta la media del 23% circa dell’utenza potenziale. Il Governo Berlusconi non ha riformulato un piano nazionale di ampio respiro e il fondo è rinnovato annualmente per cifre sempre inadeguate (100 milioni di euro all’anno circa). Vogliamo trasformare l’asilo nido da servizio a domanda individuale a diritto educativo di ogni bambino e bambina, come già proposto da molti anni e da molte parti (Legge di iniziativa popolare 0-6 depositata al Senato da Anna Serafini) e garantire a tutti, in qualsiasi parte d’Italia, un posto nella scuola dell’infanzia. Oggi le liste d’attesa invece stanno esplodendo perché il Governo non concede insegnanti per aprire nuove sezioni, neppure nelle regioni in cui la popolazione scolastica è in crescita.
Il tempo pieno con le compresenze è un modello educativo eccellente che dobbiamo estendere nel mezzogiorno, dove è una vera rarità. Quelle preziose ore di compresenza sono utilizzate dai maestri e dalle maestre per aiutare chi è rimasto indietro, anche per una banale malattia o per svolgere le visite didattiche, utilizzando il territorio come se fosse un’aula diffusa. La riforma epocale del maestro unico del Ministro Gelmini è stata bocciata dalle famiglie italiane, infatti solo il 3% di esse lo sceglie come modello educativo per i propri figli. Cresce invece la domanda di tempo pieno. Ma il risultato dei tagli di organico e di tempo scuola e la rottamazione dei team didattici, ha portato la cancellazione di qualsiasi modello educativo fin’ora conosciuto nella primaria –il tempo pieno e il modulo a 30 ore con le compresenze, che avevano fatto sino ad oggi la qualità del nostro sistema di istruzione- per avere ovunque un “maestro prevalente” accompagnato da altri colleghi, fino a 7 insegnanti che coprono spezzoni di orario di una stessa classe”.

 

Uno dei vostri slogan recita "Una scuola autonoma nel sistema delle autonomie locali". Ma allora il federalismo, anche quello in salsa leghista, non può essere una buona occasione?

“No, noi non vogliamo l’insegnante “padano” reclutato attraverso gli albi regionali, noi vogliamo un insegnante che abbia una formazione iniziale e in servizio di stampo “europeo” (perché non pensare ad un Erasmus per gli insegnanti, per scambiare le buone prassi didattiche?). Noi crediamo che questo Paese debba restare unito, proprio a partire dalla scuola. Ma chiediamo al Ministro di tirare fuori dal cassetto quella bozza di accordo sul Titolo V che ha trovato l’unanimità nella Conferenza Stato-Regioni. La valorizzazione dell’autonomia scolastica costituisce per noi una assoluta priorità, non ancora realizzata a distanza di dieci anni dall’approvazione della legge che l’ha istituita. Le scuole autonome per poter funzionare hanno bisogno di poter contare su risorse umane e finanziarie certe, almeno per un triennio.
Serve, poi  una legge che rimotivi nella scuola la partecipazione degli studenti, delle famiglie e di tutto il personale scolastico, riaffermando l’autonomia e la libertà di insegnamento. Le scuole hanno fatto molto per migliorare i livelli di apprendimento e combattere la dispersione: hanno prodotto sperimentazioni importanti, molto al di là delle innovazioni di carattere normativo e delle risorse statali alle stesse dedicate. Si tratta di esperienze basate su ricerche e sperimentazioni di grande valore, che dovrebbero essere maggiormente conosciute e diffuse, proprio perché costituiscono buone pratiche per la qualificazione della scuola. E’ importante sostenere questa azione di ricerca e di formazione sul campo dei docenti, affinché diventi un patrimonio comune di tutte le scuole, non solo di quelle che le hanno messe in atto.

Garantire i Livelli Essenziali delle Prestazioni, per il Governo, significa semplicemente assicurare a malapena i livelli minimi, mentre la sfida che noi abbiamo lanciato è di declinare i LEP come livelli essenziali di apprendimenti e competenze necessari (LEAC).
E poiché un ragioniere di Torino deve avere le stesse competenze di uno di Trapani,  affinché sia garantita l’unitarietà dell’ordinamento dell’istruzione e al tempo stesso si possano raggiungere quegli obiettivi che la strategia di Lisbona ha indicato e che gli standards internazionali richiedono, probabilmente le scuole autonome di Trapani, dovranno poter godere di maggiori risorse, per colmare i divari.”.

 

Fra le proposte del Pd c'è un cambiamento nel sistema della valutazione. Ci spiega meglio...

“Valutazione e autonomia sono legate indissolubilmente. Primo, perché nel momento in cui affidiamo a ciascuna scuola piena autonomia nell’organizzazione e innovazione didattica, occorre avere strumenti per verificare se quel forte mandato educativo sia assolto. Secondo, perché senza un sistema di valutazione serio, credibile, non c’è quell’esercizio di responsabilità che l’autonomia richiede. Si sostiene spesso che gli unici a dover essere valutati siano gli studenti, che i docenti e le scuole non vogliano essere valutati. Se un sistema disinveste sugli insegnanti, li induce alla demotivazione, la valutazione può apparire come una presa in giro. Ma se il sistema investe e valorizza, se la valutazione ha regole certe e trasparenti, se c’è una volontarietà legata all’avanzamento di carriera, se la valutazione è intesa come risorsa strategica per migliorare e non come randello da sbattere in testa per punire o strumento sanzionatorio, allora la valutazione è strumento utile. Ma crediamo soprattutto che occorra investire per aiutare le scuole in difficoltà ad elevare i livelli di apprendimento dei propri studenti e per combattere la dispersione scolastica. Noi pensiamo a team multi professionali che possano affiancare le scuole in cui vengono verificate difficoltà, per accompagnarle in un percorso condiviso verso l’eccellenza. Un sistema di valutazione non può non tenere conto, ad esempio, del lavoro dei docenti delle scuole di periferia, quelle situate nelle zone socialmente ed economicamente depresse del Paese, che sono al tempo stesso presidio democratico e luogo di educazione. Iniziamo a premiare quegli insegnanti. Oppure nelle scuole aperte tutto il giorno e tutto l’anno che noi proponiamo, diamo un riconoscimento economico a quegli insegnanti che sono disponibili a svolgere attività di ricerca didattica, correzione dei compiti e preparazione delle lezioni a scuola. Un lavoro spesso oscuro, che oggi gli insegnanti svolgono a casa e che nessuno riconosce loro.
Un sistema di valutazione che fa semplicemente la classifica degli insegnanti migliori e delle scuole migliori, comporta soltanto la fuga delle iscrizioni da una sezione o da una scuola all’altra, rendendo ingestibile la governance del sistema”.

 

Capitolo-reclutamento degli insegnanti del domani: in cosa vi differenziate dal progetto governativo?

“Noi pensiamo che l’accesso all’insegnamento debba avvenire in ogni caso per pubblico concorso. Rimane aperto l’ambito territoriale in cui il concorso può essere effettuato, ma nella condizione attuale non riteniamo che ci siano le condizioni giuridiche e gestionali per affidare il reclutamento alla scelta delle singole scuole, perché si creerebbe di fatto il più grande mercato dei favoritismi, delle raccomandazioni, del nepotismo.
La questione del reclutamento non può prescindere dalla situazione in cui versa il precariato dei docenti e ATA. Lo abbiamo sottolineato nel documento programmatico di Varese: la stabilità del personale è essenziale; il precariato è un problema che compromette la qualità complessiva della scuola.
La nostra proposta è di superare la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto, per passare all’assegnazione a ciascuna scuola autonoma di un organico funzionale che includa, per reti di scuole, una quota di personale stabile per le supplenze brevi e professionalità specializzate a supporto dei ragazzi con bisogni speciali. Questo sistema, che non costa molto di più dell’attuale (ai supplenti sono pagate comunque la disoccupazione e le ferie non godute), comporterebbe innumerevoli vantaggi, come il superamento del precariato scolastico; la programmazione certa dei fabbisogni di insegnanti e conseguente piano di formazione iniziale e reclutamento; la piena autonomia delle scuole.
Esaurite le graduatorie ad esaurimento, quando cominceranno ad essere disponibili gli abilitati del nuovo sistema di formazione iniziale, il nuovo reclutamento dovrà rispettare  un’opportuna relazione fra numero chiuso e fabbisogno”.

 

Purtroppo i dati della dispersione scolastica restano drammatici: che fare?

“Il documento della Commissione Europea “Europa 2020” indica agli stati membri la strada per la crescita: investire in una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile. Per il nostro Paese l’obiettivo concreto da raggiungere entro il 2020 è dimezzare la dispersione scolastica. Oggi la nostra è una scuola iniqua, dove il successo scolastico dei ragazzi è ancora tremendamente legato allo status familiare. Sappiamo che appena nati, abbiamo già una fetta di debito pubblico sulle spalle, allo stesso modo scontiamo il fatto di essere nati a nord o a sud. Puoi essere un genio, ma se nasci a Scampia piuttosto che a Milano, avrai molte meno opportunità di dimostrarlo. Potremmo sostenere, con la Fondazione Agnelli, “dimmi in che scuola vai e ti dirò chi sei”, perché, nonostante l’espansione dell’accesso alla scuola secondaria superiore che si è verificata negli ultimi due decenni, grazie all’istruzione tecnica e alla scolarizzazione femminile, la funzione di mobilità sociale che la scuola deve avere è fortemente limitata dagli abbandoni, e il rischio drop-out è legato alla situazione familiare, alla deprivazione economica, agli svantaggi culturali di partenza, alla prematura scelta di indirizzi scolastici verso i quali il ragazzo è stato orientato non in base ai propri interessi reali ma in base alla status familiare e alle condizioni economiche di partenza.
L’insuccesso e la dispersione scolastica, i bassi livelli di apprendimento degli studenti e delle studentesse rispetto ai propri coetanei europei, si manifestano nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Come tutti sappiamo, il punto di sofferenza è lo snodo che va dagli 11 ai 16 anni, che coincide con il passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza e costituisce il punto debole dell’azione orientativa. E’ qui infatti che si registra il tasso più alto di dispersione scolastica, con punte del 30%, soprattutto nel primo anno degli istituti professionali e tecnici.
Occorre promuovere progetti ed esperienze di continuità e di raccordo curricolare tra i due segmenti scolastici. Invece, il passaggio dalla scuola del primo ciclo alla scuola del secondo ciclo è tuttora problematico.
Perché il biennio diventi realmente orientativo a partire dal primo anno, anzi dai primi mesi della secondaria di secondo grado, è necessario progettare una azione di orientamento incentrata sul recupero e sul riallineamento delle competenze di base, soprattutto di quelle afferenti all’area di istruzione generale (sviluppo degli assi culturali) relative all’equivalenza formativa. Mentre nel secondo anno, invece, dovrebbe essere predisposta ed attivata un azione di ri-orientamento.
Perché questo si realizzi è necessario che si renda effettiva la pari dignità dei percorsi e la loro equivalenza formativa, dei bienni, dei licei, dei tecnici, dei professionali e della formazione professionale, indicando con precisione le competenze culturali in uscita riferite ai quattro assi culturali del biennio, in modo da garantire i passaggi da un indirizzo all’altro senza costringere gli studenti a dover affrontare gli esami di idoneità”.

 

Edilizia scolastica: quanto fatto dal ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini è sufficiente?

“Il ministro Gelmini è un’ottima prestigiatrice: fa sparire le cose. Per esempio ha fatto sparire la promessa, e mai conclusa, mappatura per la messa in sicurezza degli istituti scolastici: addirittura, qualche mese fa, aveva addebitato i ritardi agli enti locali, quando l’unico responsabile è proprio il ministero che lei dirige. Anche le risorse destinate alla messa in sicurezza e alle opere di adeguamento antisismico nelle scuole sono sparite. I nostri deputati hanno presentato un’interrogazione per sapere -a un anno di distanza dall’approvazione della finanziaria 2010- che fine abbiano fatto i fondi promessi, perché di quei soldi ancora non c’è traccia.
Qui si gioca sulla pelle dei nostri figli, eppure Berlusconi & Co. fingono di non sapere che due edifici scolastici su tre non sono a norma di legge oppure che in alcune aule non si dovrebbe neanche iniziare la lezione al mattino, perché la normativa sulla sicurezza antincendio prevede la permanenza in classe di non più di 26 persone in presenza di una unica porta quale via di fuga.
Perfino in Albania hanno più scuole con il certificato di agibilità che in Italia. Come abbiamo scritto nel documento programmatico sulla Scuola, il PD propone un piano straordinario per la manutenzione, la messa in sicurezza degli edifici scolastici e l’edificazione di nuove scuole.
Le risorse ci sono, ma spesso non possono essere spese dagli enti locali per i criteri troppo stretti del patto di stabilità interno. Ebbene, noi chiediamo con forza di escludere dal patto di stabilità le spese per l’edilizia scolastica , sapendo tra l’altro che l’apertura di nuovi cantieri per la ristrutturazione o l’edificazione di nuove scuole, avrebbe un impatto positivo sull’economia e l’ occupazione.
Non dimentichiamo, infine, che il luogo dove i nostri giovani studiano non è a ‘impatto neutro’: non è la stessa cosa, insomma, far lezione in un posto grigio, sgradevole, magari con fonti di inquinamento vicine, in strutture non a norma, e farla invece in un edificio bello, funzionale, con spazi per una nuova didattica, con palestre, biblioteche, laboratori, dove le fonti energetiche sono rinnovabili ed eco-compatibili, dove i pasti sono biologici, dove si pratica, tutti insieme, la raccolta differenziata dei rifiuti, dove si può tornare il pomeriggio per giocare, studiare, fare sport, suonare. Va programmata con le Regioni e gli enti locali, soprattutto nel mezzogiorno, una razionalizzazione e un rinnovamento radicale delle strutture scolastiche destinando a questo scopo, nelle aree sotto utilizzate, i fondi FAS. Togliendo le scuole dagli “appartamenti” in locazione ed edificando nuovi poli scolastici progettati con una architettura innovativa eco sostenibile in linea con le nuove tecniche di risparmio energetico, che sostenga e renda possibile una nuova didattica a classi aperte ed interdisciplinare. Dotando gli Istituti scolastici di palestre, biblioteche e laboratori, facendo intervenire nel controllo e nell’indirizzo dell’utilizzo delle risorse per l’edilizia scolastica il consiglio di istituto delle scuole autonome, rimotivando così anche la partecipazione dei genitori e degli studenti, oltre che dei docenti e di tutti coloro che nell’istituto operano”.

 

Infine, come fare per rilanciare il Made in Italy?

“La prima cosa è far sì che la scuola dialoghi con il territorio. Lo ha spiegato di recente anche la presidente di Confindustria, perché nel momento in cui anche l’Ocse certifica che l’Italia è fanalino di coda per gli investimenti nell’istruzione, dobbiamo avere il coraggio di dire che è soprattutto sui banchi di scuola che tutti possono avere la possibilità di diventare classe dirigente e cittadini consapevoli, pienamente inseriti nel tessuto civile, culturale, economico del Paese. Il Pd ha denunciato più volte l’attacco frontale e l’accanimento contro la scuola tecnica e professionale con il drastico taglio delle ore di laboratorio e con l’idea che i futuri dirigenti possano uscire solo dai licei. La scuola, tutta la scuola dai licei ai tecnici ai professionali, dovrebbe formare le teste ben fatte del Paese, più che sfornare teste piene: solo così potremo tornare ad eccellere con il made in Italy nel mondo.
Occorre connettere organicamente il sistema dell’istruzione, di competenza dello Stato, il sistema della formazione professionale, di competenza delle Regioni con le competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali relative allo sviluppo e al lavoro.
Pensiamo che sia opportuno che esista ampia collaborazione tra i due sistemi, che le Regioni e le autonomie locali attuino una programmazione integrata. Non riteniamo opportuno un processo di unificazione tra i due sistemi, che farebbe perdere ai due sistemi le proprie peculiari caratteristiche e la propria identità, né una concorrenza tra gli stessi.
Occorre allineare i sistemi, qualificarli, migliorare le dotazioni strumentali, sanare e ammodernare strutture e edifici spesso fatiscenti. Il divario territoriale è una delle criticità più rilevanti, da affrontare attraverso la fissazione dei LEAC; la legge sull’apprendimento permanente; il riconoscimento, la validazione, la certificazione pubblica dei crediti e delle competenze e l’accreditamento delle strutture formative; l’offerta di servizi di trasporto e per il tempo libero. È indispensabile poi un maggior controllo sulla spesa destinata alla formazione e sull’impiego dei fondi strutturali comunitari.
L’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) va potenziata e gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) vanno istituiti come esperienze di formazione terziaria non accademica, distinguendo tra un’offerta regionale flessibile, non stabile, legata alle condizioni locali in continua trasformazione, e un’offerta di eccellenza, da consolidare nei settori strategici dello sviluppo del Paese. L’effettiva co-progettazione fra scuola e imprese dei percorsi, e in particolare degli stage, vetrina delle aziende, è uno strumento potente, se ben concepito e utilizzato. Vanno infine individuate forme efficaci di monitoraggio e controllo.
Occorre poi un provvedimento di legge per riconoscere il diritto individuale all’apprendimento permanente, estensione del diritto all’istruzione che condiziona l’accesso a tutti i diritti. Anche la formazione continua va riconsiderata, nel senso di orientare le iniziative verso i soggetti che sono più bisognosi di essere formati, aggiornati, riconvertiti, e sono più a rischio di perdita del posto di lavoro. Serve infine un maggior coordinamento tra programmazione regionale e programmazione dei fondi interprofessionali, ampliandone il campo di intervento (apprendisti, lavoratori atipici e discontinui…)”.