La formazione iniziale degli insegnanti
di Federico Niccoli da
ScuolaOggi 9.11.2010
Un insigne professore
della Facoltà di Giurisprudenza mi insegnò che, per capire bene il
retroterra culturale, i principi fondanti di una legge, di un
decreto, di un regolamento è opportuno cominciare la lettura non
dall’art.1, dove di solito si declamano criteri valoriali
difficilmente non condivisibili, ma dalla fine. Mi sono attenuto a
questa “regoletta” anche nell’esame dello schema di decreto relativo
alla definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità di
formazione iniziale degli insegnanti …. Ebbene, l’ultimo articolo –
il 16 - testualmente recita “i corsi di cui al presente decreto sono
organizzati dalle Università senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica” (!). Testuale e chiaro: le magnifiche sorti
e progressive della formazione iniziale dovranno soggiacere alla
filosofia tremontiana dei tagli lineari e del “costo zero” con tanti
saluti alle priorità della ricerca e della formazione, tenute in
alta considerazione in Germania, Francia, Spagna ed opportunamente
finanziate, nonostante la crisi in atto.
Mi occuperò in particolare della formazione degli insegnanti di
scuola dell’infanzia e primaria. Leggendo a ritroso lo schema,
arriviamo al penultimo articolo – il 15 – dedicato alle norme
transitorie dove c’è posto per tutto e per tutti. Le facoltà
universitarie potranno attivare speciali percorsi formativi
finalizzati al conseguimento dell’abilitazione per la scuola
dell’infanzia e primaria destinati ai diplomati, che hanno titolo
all’insegnamento nella scuola materna e nella scuola elementare. Al
di là del politichese della formulazione, questi nuovi percorsi
formativi sono parenti stretti dei corsi speciali abilitanti, che
abbiamo già sperimentato negli anni 2005-2008 e che dovevano essere
gli ultimi di una specie in via di estinzione. Ma in Italia, come
ben diceva l’on. Andreotti, “niente è più definitivo di quel che
viene dichiarato transitorio”. Posso comprendere le ragioni che
inducono il Ministero –con l’avallo dei sindacati- a fornire
opportunità occupazionali a docenti che hanno accumulato anni di
servizio nelle scuole della Repubblica. Ma non si può continuare
all’infinito ad ignorare che le Facoltà di Scienze della Formazione
Primaria esistono da prima dell’anno 2000 e che sin dal 1974 i
decreti delegati prescrivono la formazione universitaria completa
dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado. La precarietà
istituzionale, che accompagna lo schema di decreto, è dichiarata ,
senza eufemismi, dalla relazione ministeriale che sforna il testo in
questione ”nelle more” del complessivo processo di riforma della
formazione iniziale e del reclutamento dei docenti. La legge aveva
opportunamente configurato un percorso unitario, perché i due temi ,
formazione e reclutamento, sono strettamente interconnessi e
funzionalmente interdipendenti. Con suprema indifferenza il Ministro
ci rassicura sul fatto che “con successivo regolamento” si
provvederà a disciplinare l’attività procedurale per il reclutamento
del personale docente. Credo che saggiamente lo schema di decreto
eviti la riproposizione , anche per la formazione primaria, del
modello 3+2 , data la difficoltà di dar senso alla distinzione tra
un triennio e un successivo biennio ed adotti, invece, un diverso
modello di ciclo unico abilitante di cinque anni con l’obbligo del
tirocinio formativo a partire dal secondo anno del corso di laurea e
con la dichiarata esigenza di uno stretto collegamento tra
insegnamenti e laboratori. Molto giusta (addirittura ovvia e
sostanzialmente declamatoria) la sottolineatura di un futuro
insegnante, che , oltre a possedere la padronanza delle discipline
da insegnare, deve avere l’opportunità (sempre a costo zero?) di
riflettere sulle modalità di trasmissione delle conoscenze e sulle
complesse e articolate problematiche della mediazione didattica.
Ingarbugliata e sicura fonte di contenziosi è la previsione, non
sufficientemente chiara, delle modalità di svolgimento del tirocinio
e dei laboratori. Cosa significa in concreto la previsione secondo
la quale la formazione iniziale dovrà contemplare (!) una fase di
rapporto diretto con la scuola consistente non soltanto in periodi
osservativi, ma anche in esperienze attive di insegnamento
coordinate con attività di laboratorio sotto la guida ed il
controllo (!) di docenti delle istituzioni scolastiche in cui tale
fase si svolgerà. I corollari di tali intenzioni si tradurranno
nella istituzione di nuove figure , di conio non precisato, di tutor
coordinatori, tutor dei tirocinanti e, perché no?, di tutor
organizzatori. In questa marmellata tutoriale dovranno essere
ridefiniti la stessa esistenza e gli eventuali compiti dei
supervisori distaccati attualmente a tempo pieno e/o parziale presso
le Facoltà universitarie. In linea generale sembra (ma un giudizio
più preciso potrà essere formulato solo quanto lo schema diventerà
decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che si voglia adottare
una accentuata prevalenza della formazione disciplinare a scapito
delle dimensioni didattiche, pedagogiche e relazionali, che dovranno
restare elementi essenziali della professionalità dei docenti in
generale e dei docenti della scuola primaria in particolare. E
veniamo alla specializzazione per il sostegno. Viene perpetuata una
anacronistica separazione tra ruolo e funzione. È pacifico che la
funzione del sostegno (melius: dei sostegni) a favore degli alunni
con disabilità e con bisogni educativi speciali debba essere non
solo mantenuta, ma potenziata. Ma l’obiettivo non si raggiunge
pacificamente con la istituzionale di un ruolo autonomo, di una
figura autonoma, che rischia –come più volte documentato- di
deresponsabilizzare tutti i docenti dell’istituzione scolastica, che
delegano all’”angelo custode” del disabile e dello svantaggiato la
gestione della didattica specializzata e individualizzata. Tra
l’altro, la relazione ministeriale candidamente afferma che, nel
testo dell’art. 3 dedicato ai percorsi formativi, è stato aggiunto
un comma c) relativo all’acquisizione delle competenze didattiche
atte a favorire l’integrazione scolastica degli alunni con
disabilità, su esplicito suggerimento della VII commissione
istruzione della Camera. Al Ministero, evidentemente, si erano
dimenticati dei disabili! E, infine, sono in agguato, relativamente
alla formazione dei docenti specializzandi per il sostegno, percorsi
differenziati volti ad acquisire “specifiche competenze per i
diversi ambiti di disabilità”. Si vuole tornare ai corsi di
specializzazione monovalenti (per disabilità psicofisiche, per
minorazioni della vista e dell’udito)? In cauda venenum: l’art. 6
dello schema prevede che “il corso di laurea magistrale per
l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria è
attuato presso le Facoltà di Scienze della formazione e presso altre
Facoltà autorizzate dal Miur.” Quali sono queste fantomatiche altre
Facoltà? L’autorevole parere, esplicitamente richiamato dalla
relazione ministeriale, della Conferenza dei Presidi dei Corsi di
Laurea di scienze della formazione Primaria, ha anche dato il via
libera alle non meglio precisate Facoltà che saranno autorizzate dal
Miur ad attuare i nuovi corsi di laurea magistrale?