SCUOLA

Classi promosse o bocciate?
Ecco come leggere i dati Invalsi

Daniela Notarbartolo il Sussidiario, 2.11.2010

Sono accessibili in rete previo uso di password i dati delle scuole sulle prove di apprendimento dell’Invalsi nelle classi II e V della primaria e I della secondaria di primo grado. Come è noto, mentre i dati medi dell’Italia, rilevati su un campione statistico controllato e disaggregati per macroarea e per regione, sono contenuti nel rapporto annuale, uscito prima dell’estate, i dati delle singole scuole vengono resi pubblici soltanto alle scuole stesse. Questi dati permettono di paragonare i risultati della singola scuola al dato nazionale, di macroarea e regionale, per consentire alle scuole una collocazione comparativa dei propri risultati: si tratta della funzione specifica di una misurazione nazionale.

Oltre ai dati di apprendimento degli studenti, la relazione alle scuole in se stessa contiene delle novità: infatti in questi anni il gruppo degli esperti statistici sta continuamente implementando la quantità e la qualità delle informazioni che è possibile ricavare dai dati, con l’impegno a fornire alle scuole non solo uno specchio non deformato, ma un materiale ricco da cui attingere ipotesi per il loro miglioramento. Il rapporto quest’anno prevede due tipi di informazione: le medie e i percentili.

Una scuola può essere infatti nella media rispetto al campione nazionale, oppure sopra la media o sotto, ma questa è un’informazione ancora generica; è importante infatti sapere da quali valori essa è costituita. Per la prima volta l’Invalsi ha provato a costruire quelle scale di livello che nella rilevazione Pisa danno informazioni preziosissime relativamente ai punti di debolezza dell’Italia. Infatti i risultati piuttosto bassi dell’Italia derivano non solo da un eccesso di studenti con livelli bassi di capacità, ma soprattutto dal numero davvero esiguo di studenti con livelli di eccellenza. Ecco allora la scala dei percentili, per sapere come si distribuiscono gli studenti sulle fasce di livello, e se questa distribuzione corrisponde o meno alla media.

La popolazione del campione statistico è stata distribuita secondo fasce: il primo decile (10%) il primo quartile (25%) la mediana (50%) il terzo quartile (75%) e il nono decile (90%). Ad ogni scuola che ha ricevuto i suoi risultati è possibile paragonare la propria distribuzione con quella del campione nazionale. Può capitare per esempio che una scuola abbia meno studenti nelle fasce basse, quindi meno studenti in difficoltà, ma sia anche più sguarnita sulle fasce alte, non avendo studenti eccellenti.

Certamente questo dato sarà molto più significativo nel momento in cui sarà possibile avere delle misure di valore aggiunto, cioè sapere se questa distribuzione dipende dal livello di ingresso degli studenti oppure da una capacità della scuola di lavorare sui diversi livelli, ma già ora l’informazione fornisce un quadro più dettagliato della situazione.

Un altro dato interessante riguarda la distribuzione delle diverse classi rispetto alla media. Una scuola con una buona collocazione può essere infatti composta da classi che sono omogeneamente superiori alla media, oppure da classi molti dissimili fra di loro, di cui alcune molto al di sopra della media e altre al di sotto.

Tendenzialmente la disomogeneità massima dovrebbe registrarsi fra gli alunni della stessa classe, non fra classi diverse della stessa scuola (lo stesso discorso vale all’interno di uno stesso territorio), come garanzia di una certa equità nel capitare nell’una o nell’altra sezione (o scuola): si sa infatti che la “qualità” della classe incide sulla possibilità maggiore o minore di progredire negli apprendimenti.

Si sa però anche quanta prudenza è necessaria per non incorrere in deduzioni affrettate: innanzitutto perché una classe di livello basso può essere il frutto virtuoso di una grande capacità di operare in contesti difficilissimi (anche qui sarebbero necessarie le misure di valore aggiunto).

La ragione delle diverse situazioni non è mai automaticamente deducibile, e solo all’interno della singola scuola si ha la percezione della vasta realtà che produce un certo dato; ma certo il dato è quello che può invitare la scuola al ripensamento delle proprie politiche scolastiche, come potrebbe essere per esempio la formazione delle classi, oppure la loro assegnazione ai diversi insegnanti. I risultati sono disaggregabili poi per presenza o meno di stranieri, di prima e di seconda generazione, e questo dato consente di eliminare l’effetto distorcente, giacché un alunno straniero con scarse competenze linguistiche può incidere fortemente sulla media della classe. Le scuole sono aiutate in questo lavoro dal fascicolo “guida alla lettura dei grafici” allegato alla restituzione.

Un ulteriore elemento di informazione è la distribuzione delle risposte alla prova item per item, compresa la distribuzione delle percentuali sui distrattori. Si tratta di un elemento di grande interesse. Innanzitutto le scuole, confrontando le risposte dei propri alunni con la mappa dei quesiti - che riportano i diversi processi cognitivi attivati dalle domande - possono accorgersi se le lacune si concentrano su ambiti specifici, come per esempio nei compiti di lettura la capacità di “integrare informazioni” o di “fare inferenze”.

Poi, pur trovandosi nella media sul test nel suo complesso, possono confrontare le percentuali di risposta alle singole domande, ed accorgersi per esempio che i propri studenti rispondono meglio della media a domande difficili, oppure al contrario cadono su domande che risultano mediamente facili. Si tratta di elementi conoscitivi molto potenti rispetto alla didattica.

L’intenzione dell’Invalsi è quella di fornire alle scuole i dati utili alla eventuale costruzione di un proprio “rapporto di scuola”, che renda conto sia del confronto con l’esterno (le scuole della propria regione e della propria macroarea), sia del confronto all’interno, per valutare collegialmente per esempio la relazione le distribuzioni dei livelli all’interno della classe, o fra classi, che emergono dai voti numerici dati dagli insegnanti con quelle che emergono dalle misurazioni standardizzate.

Si tratta di un impegno, oggettivamente nuovo per tutti, che dovrebbe dimostrarsi produttivo, cioè tale da compensare con dei benefici visibili il costo dell’impiego delle energie per farlo, se ogni scuola imparerà a tradurre le informazioni ottenute in scelte strategiche e in pratiche virtuose: il che è poi la sfida davanti alla quale si trovano tutti i paesi legati dal patto di Lisbona.

Molte cose sono da fare: per esempio mancano ancora i risultati depurati dai dati socio-economici e socio-culturali di sfondo, nonché i più volte menzionati dati di valore aggiunto. Inoltre non sempre le scuole sono in grado di controllare i fattori che favoriscono il successo (aspetti legati all’autonomia, alla formazione degli insegnanti o ai compiti dei dirigenti).

Si tratta poi di informazioni su un segmento molto limitato (alcune dimensioni dell’italiano e della matematica) rispetto a tutto quello che a scuola si fa. L’impressione però è che ogni anno la prospettiva si arricchisca, nella tensione a superare l’asimmetria informativa che caratterizza ancora il rapporto fra la scuola e i soggetti interessati, come famiglie, decisori politici, territorio (gli stakeholders, come si dice).

Lo scopo di tutta questa operazione è la trasparenza, la responsabilità reciproca dei vari soggetti, la possibilità per ogni alunno di trovarsi in un contesto che lo aiuti a crescere.