Stefanoni (Miur): a che servono Roberto Stefanoni, il Sussidiario 19.3.2010 Ci risiamo. Con i seminari di restituzione degli esiti della rilevazione sugli apprendimenti degli studenti del 2008-09, di fatto l’INValSI ha avviato (a mio avviso con un po’ di ritardo) l’analoga operazione per il corrente anno scolastico, che - come previsto dalla Direttiva ministeriale n. 74 del 15 settembre 2008 - si estende anche alla classe prima della secondaria di 1° grado e che dal prossimo anno coinvolgerà anche la seconda classe delle scuole superiori. Insomma, stiamo per assistere (o per partecipare) ad un’altra sessione di quel “gioco dei pacchi”, che molti operatori della scuola, probabilmente la maggioranza, non sempre silenziosa, vedono con un certo malcelato sospetto e con qualche diffidenza. Vari sono i segni rivelatori di questo strisciante e diffuso timore che, alla fin fine, il “gioco dei pacchi” nasconda un’insidia certamente molto poco gradita ai più: valutare, attraverso gli esiti delle varie prove, non solo gli alunni, ma anche l’operato degli insegnanti, mettendone allo scoperto le inadeguatezze didattiche, evidenziandone le inefficienze e la scarsa produttività, creando in tal modo le premesse per successivi interventi di natura amministrativa, che - in questo clima di premialità e di merito, caratterizzato da revisione e ridimensionamento degli impegni di spesa, oltre che degli ordinamenti e del numero delle istituzioni scolastiche - trovino nei risultati delle rilevazioni tendenzialmente oggettive del Servizio Nazionale di Valutazione una motivazione e una giustificazione più che plausibile. Non si spiegherebbe diversamente la propensione comunemente riscontrabile tra i dirigenti scolastici, oltre che - ovviamente e ancor di più - tra gli insegnanti, a fornire giustificazioni soprattutto di quel fenomeno, che da parte dell’INValSI è stato denominato di “comportamenti opportunistici”, emerso in varia misura da una puntuale e dettagliata analisi condotta dallo stesso Istituto Nazionale sulle risposte fornite dagli alunni nella prova nazionale dell’esame conclusivo del 1° ciclo del 2009, in grado di smascherare - grazie a sofisticati metodi di indagine, con algoritmi e formule dei quali si parla nell’appendice 5 del fascicolo “Prova nazionale 2009. Prime analisi” (pag. 84-94) - eventuali interventi fraudolenti, che hanno certamente determinato alterazioni negli esiti e una scarsa affidabilità di non pochi risultati. Va rimarcata anche la modesta considerazione prestata dalla maggior parte delle scuole ai vari rapporti puntualmente pubblicati dall’INValSI sia sulle rilevazioni degli apprendimenti nella scuola primaria sia sulla citata prova nazionale 2009, non sempre - occorre ammetterlo - di agevole e immediata lettura e comprensione, ma ricchissimi di dati molto utili per chi volesse dare qualcosa di più che un modesto credito a quanto da essi rappresentato. Soprattutto se utilizzati come riferimento per un confronto con i risultati che l’Istituto Nazionale ha messo a disposizione scuola per scuola, in modo che ciascun operatore scolastico potesse trarne le necessarie e doverose conseguenze. Ma non risulta che si sia in genere prestata grande attenzione a questa possibilità; e gli esiti delle rilevazioni sono serviti o per una sorta di sterile autocelebrazione, laddove positivi, a sostegno della proclamata validità dell’azione della scuola; ovvero, se non molto esaltanti, ad alimentare il timore che da queste rilevazioni c’è, alla fin fine, da aspettarsi ben poco di buono. E così, il pacco che sta per circolare di nuovo nella classe, vuoi per la rilevazione degli apprendimenti vuoi per la prova nazionale, è ancora percepito da molti, forse troppi, come una specie di “paccotto”, per dirla alla napoletana, contenente una potenziale “fregatura” (mi si passi il termine) per gli insegnanti, passibili di future condanne in caso di risultati non propriamente positivi. Rimedi? Disinnescare il potenziale pericolo del pacco, con nutrite batterie preventive di test (ormai se ne trovano in giro di varia natura e qualità), che - anche se in barba alla programmazione didattica di classe - portino gli alunni a confrontarsi e a esercitarsi con tipologie di quiz verosimilmente simili a quelli che salteranno fuori dai plichi il giorno della prova. Aggirare l’ostacolo, incentivando (per le rilevazioni degli apprendimenti, ovviamente, non per la prova nazionale) l’assenza dalla scuola nel giorno fatidico di quegli alunni un po’ troppo debolucci, che potrebbero far abbassare le prestazioni medie della classe sotto il livello di guardia. Tamponare la situazione pericolosa con atteggiamenti “opportunistici”, fatti di risposte sussurrate a voce un po’ troppo alta, tolleranza di occhiate furtive (ma neanche tanto), che cerchino di carpire risposte probabilmente giuste dal compagno più bravo. Addolcire il prodotto finale, intervenendo d’autorità con qualche “correttivo” nella trascrizione sul foglio risposte delle scelte di qualche alunno, «che certamente s’è distratto un momento, perché lui questa cosa la sa benissimo!»; operazione resa possibile quest’anno dal sistema semplificato di restituzione dei risultati per tutte le rilevazioni, non solo per la prova nazionale. Ma l’INValSI non sta a guardare; e certamente metterà a punto - d’intesa col Ministero - una serie di misure di tipo operativo-procedurale, che possano rendere più credibili e scientificamente più affidabili i risultati delle rilevazioni, troppo esposti al rischio di comportamenti molto discutibili verosimilmente mantenuti da molti operatori addetti alla vigilanza e alla somministrazione delle prove. Si cerca, cioè, di determinare condizioni più favorevoli a uno svolgimento asettico e serio delle rilevazioni in tutte le loro fasi; condizioni sulle quali potrebbero essere fortemente richiamate non solo le responsabilità professionali dei docenti, ma anche quelle gestionali del Dirigente scolastico e - per la prova nazionale - del presidente della commissione, magari col coinvolgimento del corpo ispettivo. Insomma, un gioco quasi perverso di azioni e reazioni, che, oltre a convalidare (se ce ne fosse bisogno) il ben noto terzo principio della dinamica, rischia di indebolire ulteriormente la credibilità e l’indiscutibile valenza positiva di tutta l’operazione, mettendone in discussione la sua stessa necessità. Già, perché, a mio avviso, sta proprio qui il punto focale e il nodo critico della questione: a chi serve questa operazione, chi ne può trarre vantaggio, perché è necessario procedere con queste rilevazioni? Le varie analisi fin qui condotte sugli esiti delle rilevazioni e i conseguenti interventi che si sono registrati, di vario segno e con valutazioni variamente discordanti, hanno evidenziato le problematiche dell’intero sistema scolastico legate alla presenza di alunni stranieri, si sono soffermate sulle possibili cause della grande variabilità dei risultati fra scuole di zone diverse o anche fra alunni di uno stesso contesto socio-economico, effettuando comparazioni per zone geografiche, per materie, con altre rilevazioni internazionali. Si sono cioè rimarcati e forse enfatizzati quasi esclusivamente gli aspetti delle varie rilevazioni che si riferiscono al macro sistema dell’istruzione, che si prestano a più o meno convincenti dissertazioni sociologiche, si è posto l’accento su come dagli esiti di tali rilevazioni possano essere assunte indicazioni per interventi di carattere generale, su larga scala, con modalità che, per altro, non sempre trovano d’accordo i vari interlocutori, non di rado in rotta di collisione anche con le attuali linee di politica scolastica. Discorsi e ragionamenti certo interessanti e utili, ma che rischiano di non incidere minimamente sulla questione di fondo, sulla natura stessa dell’operazione, che può trovare una ragione convincente e unificante, da tutti condivisibile, in un’asserzione molto semplice: le rilevazioni servono, devono servire, prima di tutto, a determinare miglioramenti dei livelli di apprendimento degli alunni. Se non è così, se ci limitiamo a ragionare sui dati in uscita e non - a partire da questi - sulle situazioni che li hanno determinati, sui possibili (e spesso riconoscibili) motivi degli esiti deludenti o inadeguati, sulle condizioni da creare - a livello di singolo alunno, di singolo insegnante, di scuola, anche di intesa famiglia-scuola - per favorire apprendimenti più efficaci e stabili, potremo continuare a fare diagnosi più o meno lucide e credibili, ma senza contribuire in alcun modo a risolvere gli innegabili problemi che emergono dalle prove. Faremo ancora fotografie della scuola italiana, più o meno ritoccate e manipolate dai “comportamenti opportunistici”, ma queste immagini non riusciranno - com’è fin troppo ovvio - a rendere davvero migliore il soggetto per le foto successive. E dunque, occorre agire a monte, migliorare il soggetto, passare dalle disquisizioni alle azioni. Occorre fare in modo che ognuno degli attori di questo “gioco dei pacchi” si senta coinvolto in maniera consapevole, ne condivida motivazioni e finalità, e poi giochi lealmente, nel rispetto delle basilari regole di onestà. Se non riusciremo a convincere alunni, insegnanti e genitori, che a tutti conviene, a livello di interesse personale, entrare in gara e giocare “pulito”, troveremo sempre sospetti e timori, diffidenze e resistenze, tentativi di raggirare o di aggirare l’ostacolo, di camuffare e alterare la realtà, anziché mostrarla nella sua effettiva consistenza. Come intervenire, allora? Come utilizzare l’esperienza e i dati delle rilevazioni già effettuate per tentare di rendere migliori lo svolgimento e gli esiti di quelle che verranno? È fin troppo facile concordare sul fatto che sono soprattutto gli insegnanti coloro che possono dare credibilità alle prove, con atteggiamenti professionalmente corretti durante il loro svolgimento; e che dalla loro attività didattica quotidiana, definita e concordata a livello di scuola e di classe, può dipendere l’esito più o meno positivo delle rilevazioni. Un’attenzione non secondaria, poi, va riservata ai genitori e agli altri operatori scolastici, i quali, con la loro collaborazione convinta, possono determinare la realizzazione ottimale delle prove, contribuendo, ciascuno per la parte di propria competenza, a far sì che in tutte le fasi (dall’acquisizione delle informazioni di contesto alla predisposizione delle condizioni logistiche per lo svolgimento della prova, dalla correzione e tabulazione dei risultati alla loro restituzione) il meccanismo sia messo a punto nel migliore dei modi e funzioni senza sbavature. Non ha molto senso tirare la croce addosso agli insegnanti che avrebbero messo in atto comportamenti “opportunistici” e non preoccuparsi di determinare un consenso convinto nei confronti delle rilevazioni da parte di tutti coloro che a vario titolo sono in esse coinvolti, genitori compresi, creando, attraverso capillari interventi di adeguata informazione, una condivisa consapevolezza che non si tratta di difendere il buon nome di una scuola, ma di utilizzare un’opportunità che viene data alla scuola stessa di fare una necessaria azione di autoanalisi del proprio operato, individuando, attraverso un’attenta riflessione sui risultati correttamente conseguiti nelle prove (ma, prima ancora, sulle metodologie di insegnamento, che devono essere opportunamente ricalibrate in rapporto alle reali esigenze di apprendimento degli alunni), le strategie più efficaci per consentire a ogni alunno di acquisire migliori livelli di abilità e di competenze. Ecco, allora, cosa occorre fare: interrogarsi sul significato dei risultati prodotti dagli alunni, ma non in generale, bensì nel micromondo di ogni singola scuola, di ogni classe; cercare di capire i motivi degli insuccessi, delle carenze, ma anche quali siano i margini per ulteriori miglioramenti possibili, quanto ogni alunno possa ancora dare e come la scuola possa e debba attrezzarsi perché ogni allievo possa esprimere il meglio di sé. Cercare di individuare modalità e percorsi didattici più efficaci, tenendo presenti i quadri di riferimento dell’INValSI (disponibili al momento per italiano e matematica), che non solo sono alla base della costruzione delle rilevazioni, ma che dovrebbero costituire il punto di partenza per ogni seria rivisitazione della didattica, contenendo indicazioni molto puntuali su processi, contenuti e nuclei tematici, fasi, abilità, verifiche. Alla luce dei quadri di riferimento, risulterà funzionale un’analisi dei risultati delle prove fornite da ogni classe, per individuare in quali ambiti si siano manifestate carenze e difficoltà da parte degli alunni; un confronto degli esiti prodotti nelle varie classi di una stessa scuola potrà portare gli insegnanti a scegliere le strategie didattiche più efficaci, gli strumenti più idonei per far acquisire abilità risultanti ancora a livelli non soddisfacenti. E ancora, dal confronto con i risultati conseguiti nelle verifiche di tipo tradizionale potranno scaturire opportune sollecitazioni a capire come la didattica praticata possa favorire o meno l’acquisizione delle abilità - oltre che delle conoscenze - indagate dai test e a cercare le correlazioni che esistono di fatto fra le prove e gli stili di apprendimento degli alunni da una parte e, dall’altra, le scelte metodologiche e anche di contenuti fatte dai docenti. Si tratta di un lavoro certamente non facile, che dovrà portare ad affinare le strategie di gestione dei percorsi formativi, riadattandole, se necessario, all’acquisizione delle abilità individuate dai quadri di riferimento ed esplorate dalle rilevazioni. Ma è l’unico lavoro, riferito alle rilevazioni, che può avere un senso concreto e che può giustificare l’impegno richiesto a tutti coloro che in esse sono coinvolti. Perché è soltanto da un’azione di questo tipo, seriamente e continuamente condotta, che si può realisticamente sperare di ottenere un qualche miglioramento dei livelli di apprendimento e di padronanza delle abilità degli alunni. Che è poi, come detto, il vero scopo delle rilevazioni, la posta in gioco, non impossibile da vincere, sia pure quasi certamente in tempi non immediati.
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