Il nostro futuro riparta dagli atenei “Sistema universitario: criticità e prospettive”, questo era il tema dell’importante convegno tenutosi alla Camera dei deputati il 18 marzo 2010, organizzato dall’Intergruppo sussidarietà, il cui coordinatore Emmanuele Forlani ha in questi mesi messo intorno ad un tavolo con successo fondazioni di diverso orientamento politico, partecipanti all’Intergruppo, tra cui Farefuturo, che ho avuto l’onore di rappresentare in questa circostanza, in un dibattito a 360 gradi (sempre costruttivo pur nella differenza delle posizioni) attorno al ddl Gelmini e alla riforma dell’Università. di Saverio Salerno*, da Finanza in Chiaro.it 30.3.2010 E questo proprio mentre il ddl vive un passaggio cruciale nel dibattito parlamentare attualmente al Senato. Si tratta di un metodo largamente condivisibile e importante anche per il futuro, su questioni certamente cruciali per il paese e sulle quali è necessario conseguire il massimo delle convergenze possibili, pur nel rispetto dei ruoli. Come pure largamente condivisibile è l’obiettivo generale riassumibile nello sforzo di elaborare indicazioni e soluzioni condivise da proporre nell’ambito del dibattito parlamentare in corso. Lo scenario di partenza su cui, pur nei diversi accenti, vi è ampia convergenza, muove dalla obiettiva criticità in cui il Sistema Universitario versa, sia per le risorse finanziarie, soprattutto in relazione al consistente taglio, allo stato previsto, delle risorse trasferite dal Miur alle Università, sia per disfunzioni, sprechi e scandali assai frequenti negli ultimi tempi e con un impatto di immagine ormai insostenibile. Probabilmente una delle ragioni strutturali delle criticità descritte risiede nel modello attuale che caratterizza il sistema universitario, un “modello ibrido”, per riprendere una delle relazioni del Convegno, caratterizzato da una gestione sostanzialmente autonoma a fronte di una allocazione centrale delle risorse. L’esigenza fondamentale che si pone è dunque quella di rendere il sistema universitario sostenibile. Ciò può essere declinato in molti modi e da diversi punti di vista ma, anche per semplicità di esposizione, mi riferirò ad esso come la necessità di pervenire all’equilibrio tra le risorse necessarie e le risorse disponibili. In questa considerazione è naturalmente sottinteso che attualmente vi è uno squilibrio non accettabile e che, per di più, in mancanza di azioni drastiche, questo squilibrio è destinato ad ampliarsi rapidamente, conducendo in breve tempo al collasso del sistema. Occorre quindi intervenire su entrambi i lati dell’equazione. In relazione alla spesa, si pone l’esigenza indilazionabile di un’effettiva razionalizzazione del Sistema, partendo dalla constatazione che gli stipendi sono un dato sostanzialmente incomprimibile, anche rispetto agli standard internazionali. Tale razionalizzazione può certamente portare a significative economie eliminando sprechi, duplicazioni e rendite di posizione. D’altra parte occorre certamente aumentare e massimizzare le risorse disponibili. Sia quelle interne, cioè le risorse pubbliche specifiche, il che, data l’impossibilità di modificare le condizioni al contorno della finanza pubblica, dipende sostanzialmente dall’utilità e dall’immagine del sistema universitario rispetto alla società e alla pubblica opinione. Ciò si traduce di nuovo in un’esigenza forte di razionalizzazione, in piena sintonia con il punto precedente. Altro aspetto importante, però, per aumentare le risorse disponibili, spesso poco considerato nei fatti sia a livello politico, sia dagli operatori universitari, è l’aumento delle altre risorse che per comodità si possono chiamare “esterne”. Con queste si intendono sia quelle pubbliche, ma non direttamente destinate all’Università (per esempio, i finanziamenti all’innovazione cui l’Università può certamente concorrere, ma che in pratica costituiscono una quota attualmente pressoché irrilevante dei fondi in bilancio), sia quelle private quali commesse di ricerca, sponsorizzazioni, joint ventures, eccetera. Gli obiettivi fondamentali dell’intervento riformatore, a partire da un approccio non basato su modelli teorici ma essenzialmente empirico, dovrebbero quindi essere: la razionalizzazione del sistema universitario; l’Università come fulcro della competitività del paese; la valorizzazione del merito e dell’eccellenza. Su questo complessivo scenario si inserisce il ddl Gelmini, che risponde dunque a un’esigenza di cambiamento ormai indilazionabile. Per sgombrare il campo da equivoci, va detto subito che l’impianto complessivo è, a mio parere, condivisibile, e che il ddl costituisce comunque un progresso sostanziale rispetto allo status quo. Un suo aspetto qualificante e positivo è che per la prima volta da almeno 30 anni i problemi del sistema universitario vengono considerati in modo sostanzialmente globale, almeno per gli aspetti di governance, reclutamento e valutazione. Fatta questa premessa, è naturale concentrarsi nel seguito sugli aspetti che secondo me richiedono interventi migliorativi rispetto al testo attuale. Specificamente, l’effettiva finalizzazione e ricaduta in termini di ricerca e di competitività, come pure lo stimolo all’acquisizione di risorse esterne da parte delle Università, benché in qualche modo enunciate, non sono però tradotte in indicazioni e disposizioni efficaci e praticamente rilevanti. Pertanto, fermo restando il sostegno al riguardo alla ricerca di base, occorre promuovere concretamente, più di quanto si registri nel ddl Gelmini, i punti seguenti, da assumere come priorità: - Applicazioni della Ricerca all’Industria e alla Società - Applicazione delle nuove tecnologie anche alla formazione superiore e alla ricerca cooperativa (senza farsi condizionare dall’esperienza critica delle Università telematiche) - Ricerche e aggregazioni (in particolare dipartimenti) interdisciplinari su tematiche internazionalmente riconosciute - Acquisizione di Risorse Esterne, con Premialità sia locale che nazionale - Incremento e rafforzamento di Scuole specializzate di eccellenza (ad esempio le Accademie o le Scuole Politecniche). Questo significa intervenire concretamente su alcuni punti nodali dei meccanismi universitari, in particolare sul reclutamento, sulle carriere e sulla valutazione (ad esempio, migliorare la quota nazionale di aggiudicazione dei Fondi europei per la ricerca è una priorità e deve valere certamente più di qualche media pubblicazione). Ma significa anche intervenire sulla distribuzione delle risorse ministeriali (inclusi posti), anche direttamente a Gruppi di Ricerca di Eccellenza; sul funzionamento interno delle Università, da sburocratizzare, e sul trasferimento più ampio possibile di competenze, autonomia e responsabilità ai Dipartimenti; sulla qualità del capitale umano; sulla creazione di una “corsia preferenziale” per gli studenti più meritevoli, applicando la residenzialità presso le Università più qualificate (sul modello della Scuola Normale). In definitiva, ci troviamo di fronte a un passaggio decisivo, non privo di rischi. Infatti, un cambiamento solo parziale e settoriale potrebbe addirittura accelerare il degrado del sistema, come è avvenuto con la riforma Berlinguer-Zecchino. In questo senso, sarebbe estremamente negativo il prevalere di un approccio sostanzialmente autoreferenziale rispetto al sistema universitario, condizionato di fatto dai gruppi accademici più forti, che di volta in volta definiscono gli elementi determinanti per la selezione e la valutazione, con riferimento soprattutto alle pubblicazioni e a come vengono considerate, il tutto nell’ambito di rigidi steccati disciplinari, secondo una logica fortemente conservativa.
Viceversa, vi è l’occasione storica, perseguendo in modo coerente e
coraggioso il cambiamento, di realizzare una svolta epocale per il
sistema universitario, rendendolo effettivamente elemento cruciale
per il progresso e la competitività del paese.
* Saverio Salerno: Professore presso il Dipartimento di Ingegneria dell'informazione e Matematica applicata dell'Università di Salerno |