Lo stupro in classe in una scuola di Salò:
quali commenti sulla professione docente?

12 ragazzi in cerchio per consentire ai tre compagni di commettere la violenza nei confronti della ragazzina, significano 8 banchi vuoti e un possibile brusio che avrebbe dovuto disturbare uno dei momenti più delicati dell’azione didattica che è appunto l’interrogazione. La verifica infatti è un momento delicato durante il quale occorre più attenzione e più partecipazione da parte della intera classe per capire se gli interventi educativi sono stati fruttuosi o per aggiustare il tiro.

Pasquale Almirante, AetnaNet 30.3.2010

Eppure sembra strano, per chi è docente almeno da qualche anno, che in classe possa verificarsi un caso di stupro come quello accaduto nella scuola media di Salò (guarda caso è la località dove Pasolini ambientò il suo ultimo film e dove i gerarchi fascisti praticavano stupri di massa: Salò o le 120 giornate di Sodoma) e che tanto giusto clamore e sconcerto ha suscitato, da indurre persino la ministra Gelmini a promuovere una inchiesta. Dalle cronache, sembra che i compagni si siano messi in cerchio attorno a tre ragazzi che hanno abusato della loro compagna facendosi praticare sesso orale e tutto questo mentre l’insegnante era così intento a interrogare da non accorgersi di nulla. Raccapricciante per scolari quattordicenni, mentre sconvolge di più che possa accedere in un’aula scolastica dove i comportamenti, anche quelli più lievemente scorretti, vengono censurati.

E proprio qui sta il punto. Se al minimo soffio di disturbo il professore ha l’obbligo di richiamare all’ordine l’attentatore del silenzio, come si fa a consentire a un manipolo di addirittura ben 12 ragazzetti di alzarsi dal loro posto e fare un cerchio in un angolo della stessa aula? Come è possibile non intervenire e non chiedersi cosa stia succedendo? E come si fa a non udire i sicuri brusii durante lo stupro? 12 ragazzi in piedi significano 6 banchi vuoti che gridano soprattutto disinteresse verso il docente, la sua materia, la scuola e l’istituzione che in classe è rappresentata. E già il fatto stesso che qualcuno si alzi dal suo posto è quantomeno bizzarro e didatticamente inconcepibile soprattutto durante l’interrogazione perché è in momenti come questi che il docente aggiusta il tiro delle sue spiegazioni, approfittandone per dare più materia di riflessione agli alunni e meglio illustrare i concetti enunciati nelle ore precedenti.

Quello del riscontro oggettivo non serve solo per mettere il voto, che in ultima istanza è l’aspetto meno interessante della intera azione didattica, ma è e deve essere il momento di massima concentrazione della intera classe, il momento della verifica, sia del lavoro svolto del docente e sia della capacità di comprensione degli alunni e dell’efficacia dell’interevento educativo. Per questo nessuno può permettersi di distrarsi (con le dovute eccezioni e senza trasformare l’aula in un lager), né di disturbare, né di chiedere di uscire e tantomeno di alzarsi per fare i comodacci suoi. L’interrogazione è il tempo della mietitura dopo la semina e ci pare strano che un docente consenta tanta disinvolta strafottenza, al punto da non chiedersi il perché dei banchi vuoti, del cerchio e di ciò che sta accadendo dietro a quella strana barriera proprio mentre svolgeva il delicato compito della verifica.

Sicuramente non diamo giudizi sul comportamento del docente coinvolto in questa storia, né sulla sua persona, dal momento che possono esserci benissimo altri elementi che non conosciamo, ma se la cronaca raccontata dalle agenzie è veritiera, di una classe simile il docente non sembra il punto centrale di riferimento, né il capocordata come ogni maestro dovrebbe essere.

p.almirante@aetnent.org