Crocifisso

Apprendistato per i 15enni,
fronte no insiste: dov'è formazione?

Opposizione, sindacati, associazioni: serviva minimo ore teoria
Cisl: risposta sbagliata. Cgil: così scuole diventano botteghe
Uil: mondo che non c'è. Assensi ass. genitori: troppi pregiudizi

  ApCOM, 4.3.2010

Roma, 4 mar. (Apcom) - Continua a destare polemiche la volontà della maggioranza, trasformata ieri in legge attraverso il sì definitivo del Senato al ddl in materia di lavoro 'collegato' alla finanziaria, di sostituire la frequenza scolastica dei 15enni, in corrispondenza dell'ultimo anno di obbligo formativo, con un contratto di apprendistato in azienda: la necessità di trovare un'intesa tra Regioni, ministero del Lavoro e dell'Istruzione, "sentite le parti sociali", inserita nel testo approvato, non sembra soddisfare il folto 'popolo' dei contrari. Che invece continuano a contestare la mancanza di un minimo inderogabile di ore teoriche da passare in classe: opposizione, sindacati, presidi e associazioni studentesche ritengono che l'emendamento all'articolo 28 del ddl n. 1167-B, ribattezzato emendamento Cazzola, l'on. del Pdl esperto di lavoro che l'ha proposto con successo alla Camera nel mese di gennaio, non conterrà affatto l'alto numero di abbandoni scolastici che contraddistingue il nostro paese: 126mila ragazzi l'anno che lasciano la scuola prima dei 16 anni. E puntano il dito sulla mancanza di un minimo inderogabile di ore di formazione teorica, da assolvere in un contesto scolastico integrandole a quelle pratiche, che avrebbero garantito un minimo di apprendimento culturale. Il rischio concreto, sostengono, è quello di vedere svuotato di ogni contenuto didattico l'obbligo scolastico che, per legge, deve continuare ad essere assolto nei percorsi d'istruzione e formazione: non a caso l'inserimento della clausola, che avrebbe garantito un minimo di collegamento tra esperienza aziendale e apprendimento tradizionale, è stato tentato sino all'ultimo a Montecitorio attraverso specifici emendamenti, in apparenza graditi anche da alcuni esponenti della maggioranza. Secondo la senatrice Mariangela Bastico (Pd), ex sottosegretario all'istruzione durante l'innalzamento dell'obbligo di istruzione a 16 anni con la legge n. 296/96 (finanziaria 2007), con questa norma "si condannano i giovani 'alla legge del figlio di papà', per cui chi ha genitori professionisti o dirigenti è sicuro di andare meglio a scuola e di avere una professione migliore e più remunerativa".

Molto critici verso l'apprendistato a 15 anni sono anche i sindacati. Secondo Francesco Scrima, segretario della Uil Scuola, "può sembrare la risposta giusta a un problema serio: l'abbandono di 126mila studenti l'anno, per lo più al sud. Una cifra spaventosa, che ci pone nella retroguardia d'Europa. La risposta è però sbagliata; è l'ammissione di una sconfitta cui non segue una reazione adeguata. Non si pensa a rafforzare il sistema formativo e a collegarlo davvero al lavoro, intervenendo sulle cause e puntando su rimedi mirati, ma si preferisce una scorciatoia illusoria, che non giova alle imprese ed emargina i giovani a rischio e le loro famiglie, gettandoli in un vicolo cieco". Eppure la norma, fortemente sostenuta dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, appare ispirarsi al modello austriaco, in cui l'apprendistato è coadiuvato da un'istruzione che si svolge in particolari scuole part-time mostrando dei lati positivi proprio nel senso di affiancare al saper fare un sapere omnicomprensivo. Ma anche a quello tedesco di apprendistato formativo, dove esiste il cosiddetto 'sistema duale', cui accedono i giovani di 15 o 16 anni (a seconda del Land di residenza) che non frequentano corsi di scuola secondaria. L'Italia è tuttavia in grado di introdurre una soluzione formativa di questo genere? Da noi l'esperienza che si avvicina di più a questo modello centro-europeo è stata introdotta da alcuni anni, sperimentalmente, a Bolzano: "alla formazione sul lavoro ad opera dell'impresa - sottolinea Scrima - si aggiunge l'insegnamento obbligatorio in scuole professionali. L'apprendistato finalizzato all'assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione - conclude - ha la durata di tre anni e le formazione in aula è di circa 1.000 ore". Quelle ore, almeno 300 l'anno, che però non figurano nel ddl sul riordino del lavoro approvato ieri. "L'apprendistato - sostiene Domenico Pantaleo, leader della Flc-Cgil - si configura, nella realtà italiana, come un vero rapporto di lavoro senza alcun contenuto concreto di apprendimento". Per i sindacati il rischio concreto dell'immissione precoce nel mondo aziendale, che Pantaleo definisce crudamente "la sostituzione delle scuole con le botteghe", rischia in questo modo di compromettere irrimediabilmente la capacità dei ragazzi di affrontare un mercato del lavoro che richiede sempre maggiori saperi per affrontare i più frequenti cambiamenti di lavoro: "determinare una così radicale separazione tra sapere e sapere fare - dice convinto il sindacalista - finisce per ricreare nel nostro paese le condizioni di più accentuate divisioni sociali". Quelle divisioni che l'Italia aveva faticosamente eliminato solo quattro anni: negli ultimi decenni il nostro paese ha infatti viaggiato in un ritardo rispetto agli altri paesi Ue, poiché la nostra legge della scuola media unica obbligatoria, datata 1962 (n. 1859, art. 8 (legge 'Codignola' sulla scuola media unica), è stata modificata, con l'istruzione a 16 anni, solo dopo un lungo dibattito. La soluzione di allontanare dai banchi di scuola i ragazzi meno motivati per portarli in azienda non convince quindi i sindacati : "l'evasione dall'obbligo scolastico - sostiene il segretario dei lavoratori della conoscenza - deve essere affrontata attraverso un opera paziente di recupero e di sostegno da parte delle scuole, consentendo a tutti di raggiungere il successo formativo e non viceversa escludendo dal diritto all'istruzione chi ha difficoltà nell'apprendimento". Le modalità per trovare una soluzione al problema sarebbero potute essere valutate e ratificate dal comitato per monitorare le esperienze di alternanza scuola-lavoro, previsto da una legge di cinque anni fa, con la presenza del ministero del lavoro, dell'istruzione, delle Regioni, delle associazioni delle imprese e dei sindacati: "ma il comitato - spiega Massimo Di Menna, segretario della Uil Scuola - si è insediato solo il 20 gennaio di quest'anno. Così cinque anni sono stati dedicati non a verificare e monitorare, ma a risolvere le condizioni per la costituzione dell'organismo". Da un punto di vista normativo generale, il sistema italiano che regola l'obbligo di istruzione a 16 anni già implica la possibilità di realizzare intese con il sistema della formazione professionale, sia di alternanza scuola lavoro: quel che manca, e su cui si dovrebbero concentrare le rappresentanze del mondo della scuola, del lavoro e degli enti locali, sono le regole attuative. E l'attuale regime di 'razionalizzazione' e tagli generalizzati del settore istruzione, imposto dal Mef, non ruota di certo a favore.

Anche per il segretario della Uil Scuola, comitati a parte, la questione si gioca tutta sull'obbligatorietà della formazione in aula: "sarebbe il caso chiedere - dice - se è meglio 'parcheggiare' dei ragazzi svogliati in classe, dove si stanno di malavoglia, o proporgli un anno di esperienza tecnica-lavorativa che prepara ad un mestiere". "Il problema - continua Di Menna, che assieme al segretario generale Uil, Luigi Angeletti, aveva inviato una lettera a tutti i senatori e deputati italiani per chiedere l'abrogazione dell'emendamento Cazzola - è che si descrive un mondo a tinte certe: una scuola o un centro di formazione professionale barbosi ed inutili, e un mondo del lavoro per quindicenni tutto rose e fiori, proteso a formare, ed educare, con il lavoro manuale, il giovane del domani. Peccato che si tratti di un mondo che non c'è. Anche da parte di associazioni datoriali sono emerse perplessità". Sulla questione apprendistato taglio corto Stefano d'Errico, segretario Unicobas, per il quale il modello scolastico verso cui l'Italia si sta indirizzando è sempre più "quello americano, meccanicista, mono professionalista e comportamentista, nonché di mero apprendistato, come diventa oggi quello italiano che ricomprende nell'istruzione obbligatoria un anno di lavoro presso terzi". In linea con i sindacati è il pensiero di Simonetta Salacone, dirigente scolastica della scuola primaria 'Iqbal Masih' di Roma, da dove hanno preso corpo negli ultimi mesi diverse iniziative e movimenti anti-Gelmini : "l'approvazione dell'emendamento - sostiene la ds - produrrà molteplici risultati, ad iniziare dalla compromissione dei destini formativi e lavorativi degli alunni più fragili, di solito appartenenti alle fasce più povere della popolazione, che andranno a costituire la massa di forza lavoro dequalificata a disposizione per lavori di bassissimo contenuto professionale". Salacone sostiene che la vera intenzione del governo non è quindi quella di combattere la dispersione, ma solo "togliere di mezzo gli alunni più 'somari', che così non ostacoleranno i percorsi di istruzione dei compagni più fortunati o con famiglie in grado di supportarne le difficoltà. Si mette poi a disposizione delle imprese - continua - una forza lavoro praticamente gratuita e si diminuisce il numero degli alunni in età di obbligo, con la possibilità di attuare maggiori tagli agli organici di docenti e Ata". Una posizione decisamente contraria all'anticipo dell'apprendistato è anche quella espressa dalle associazioni studentesche : "la nostra contrarietà alla proposta dell'onorevole Cazzola è netta - dichiara Federico Del Giudice, responsabile formazione professionale dell'Unione degli studenti - perchè non si può ovviare alla dispersione scolastica legalizzando lo sfruttamento minorile: a questa piaga sociale si risponde con un forte investimento sull'istruzione rilanciando l'idea di una legge quadro sul diritto allo studio". "Le politiche governative di mettere al lavoro le fasce deboli di studenti tramite apprendistati o voucher - conclude il rappresentante Uds - sarà contestata da noi studenti nei prossimi mesi, a partire dallo sciopero generale del 12 marzo". Più aperte alle esperienze lavorative precoci sembrano invece le associazioni dei genitori: "ma a condizione - dichiara Rita Manzani Di Goro, presidente dell'A.Ge. Toscana - che il modello sia integrato con un percorso formativo in istituto professionale più accentuato di quello attuale. Così come accade già Bolzano e in Germania". Secondo la presidente dell'associazione dei genitori oggi in Italia "ci sono 120.000 ragazzi che né lavorano, né studiano a 15 anni, senza contare quanti, pur iscritti, non frequentano. Questa è una vera e propria emergenza, che espone tanti dei nostri giovani al rischio di perdersi, per cui può andar bene un percorso lavorativo, purché vi sia previsto un congruo numero di ore di lezione e che la responsabilità di questo percorso resti in carico alla scuola. Un'idea potrebbe essere - conclude Manzani Di Goro - quella di far risorgere le 'scuole - botteghe', che anche l'Age aveva promosso in varie località italiane". Ancora più ottimista il Moige, il movimento italiano genitori: per il responsabile scuola del Moige, Bruno Iadaresta, la norma "faciliterà l'inserimento lavorativo dei ragazzi che desiderano, in accordo con le famiglie, iniziare ad imparare un mestiere e ottenere anche una qualifica a livello professionale". Il rappresentante dei genitori è convinto che per fornire un giudizio completo sull'emendamento già approvato alla Camera "è necessario eliminare il pregiudizio che circonda chi decide di intraprendere un lavoro e terminare gli studi prima della licenza superiore e considerare anche le cause che conducono a questa scelta, come avere una famiglia che ha bisogno di essere sostenuta economicamente". Meglio quindi trovare un'occupazione lavorativa che continuare a frequentare la scuola senza alcun tipo di vantaggio: "lasciare sui banchi di scuola un ragazzino oltre i 15 anni di età nonostante la volontà contraria dell'alunno e della sua famiglia - sostiene Iadaresta - non comporta per l'alunno alcun beneficio in termini di maggiori competenze, ma allunga solo i tempi di inserimento nel mondo del lavoro ed inoltre espone moltissimi giovani ad una marginalizzazione pericolosissima sia rispetto alla scuola, vissuta come estranea, sia rispetto - conclude - al mondo del lavoro non consentito".