SCUOLA
Il 5 in condotta può essere efficace, intervista a Luigi Ballerini il Sussidiario 2.3.2010
Pioggia di 5 in condotta. Il ministero
dell’istruzione ha diffuso l’altro ieri i dati relativi ai risultati
del primo semestre dell’anno scolastico ’09/’10. Insufficienze
diffuse in matematica e lingue straniere, ma il dato che salta
all’occhio è l’impressionante crescita di cinque in condotta.
Eppure, visto il giro di vite annunciato dal Miur, c’era da
aspettarselo. Ma l’antico metodo della minaccia del voto in condotta
sortisce ancora qualche effetto o è destinata a passare di moda come
molte altre trovate cosiddette rivoluzionarie? Ne abbiamo parlato
con Luigi Ballerini, psicoanalista ed esperto di educazione.
Direi che la situazione è
effettivamente preoccupante e non si tratta di un fenomeno
tipicamente nazionale, ma generazionale, di queste ultime
generazioni di studenti. La scorretta modalità di rapportarsi col
prossimo in classe è andata aggravandosi nel tempo. Il dato più
evidente riguarda il modo che i ragazzi hanno di stare fra loro,
caratterizzato spesso da una certa trivialità e cameratismo. A dir
la verità l’aggregazione giovanile è stata quasi sempre
contraddistinta da simili modi di fare, in cui predomina la logica
di adesione alle regole non scritte del gruppo. Il problema oggi è
piuttosto l’assenza di una qualsiasi idea di differenza gerarchica
fra i ruoli, senza distinzione degli ambiti. Il docente non viene
più visto come un individuo cui portare rispetto, ma, quando va
bene, viene ritenuto alla stregua di un amico, magari un po’ più
grande, al quale rispondere a tono. In classe o al parco
l’atteggiamento è lo stesso, immediato (ossia non mediato dal
rapporto) e reattivo.
È difficile rispondere con efficacia a
questa domanda, proprio perché riguarda le intenzioni non dichiarate
di coloro che, con vari provvedimenti, dicono di aver effettuato un
giro di vite alla disciplina scolastica. Dubito comunque che vi sia
stata un’ondata di educatori o genitori accorti che abbia ridotto il
numero di studenti indisciplinati, considerando poi i modelli
educativi attuali. Credo piuttosto che si tratti di un problema di
organizzazione scolastica e che dunque ogni scuola, in particolar
modo nell’ambito delle medie, si sia regolata da sé nello stabilire
quali siano i criteri in base ai quali valutare o meno un alunno
indisciplinato.
Si tratta di fasce d’età differenti,
questo è sicuro. È bene ricordare che nonostante siano più piccoli
alle medie si corre il rischio che i ragazzi “la combinino grossa”,
proprio per una certa mancanza nel considerare le conseguenze dei
propri atti. Poi sicuramente si danno fenomeni diversi di
comportamento relativi ai differenti interessi di un’età piuttosto
che un’altra. Ma la differenza sostanziale risiede nel fatto che la
responsabilità educativa di un insegnante al liceo è quella di
portare dei ragazzi a un’età nella quale potranno essere imputati
giuridicamente delle loro azioni. E quindi, come ben si può capire,
la posta in gioco è assai elevata. E quello che un tempo si poteva
descrivere come un comportamento “sopra le righe”, rischia di
trasformarsi in un disagio assai complesso per la vita futura degli
studenti. Si capisce quindi quanto sia essenziale e particolarmente
delicata l’età adolescenziale dal punto di vista educativo.
Credo abbia una certa efficacia. Un
ragazzo del giorno d’oggi che frequenta le medie inferiori o
superiori ha bisogno di messaggi univoci. Il cinque in condotta ha
il merito di parlare chiaro, di dare un messaggio netto e senza
compromessi al destinatario. «Se non cambi modo di comportarti,
avrai delle conseguenze sulla tua valutazione finale», questo
messaggio può avere la sua efficacia. È quella che chiamiamo
“sanzione”. Ci sono anche sanzioni positive (di cui solitamente non
parliamo) che sono i voti alti, il 10 in condotta, i riconoscimenti
da parte di insegnanti. E poi sanzioni negative. L’ideale sarebbe
quello per cui i ragazzi inizino a considerare che un cinque in
condotta adesso può rappresentare un licenziamento o l’esito
infausto di un colloquio di assunzione nel futuro. Ossia che ogni
contesto richiede un’adeguata modalità di affronto, anche
comportamentale.
Personalmente preferisco parlare di
vigilanza piuttosto che di controllo, tuttavia una certa dose di
controllo specie alle medie non guasta. Di sicuro occorre un
maggiore confronto fra docenti e famiglie degli alunni; non ho nulla
in contrario ad esempio che se un alunno marina la scuola i genitori
vengano informati via sms come le ultime iniziative lasciano
intendere accadrà. Il problema però è cosa la famiglia se ne farà di
questa informazione, quali provvedimenti penserà per la correzione
del ragazzo. C’è quindi di mezzo il rapporto genitori-figli su cui,
questa aumentata comunicazione, si innesta. Non dobbiamo
ingenuamente sopravvalutare l’efficacia di un’informazione fine a se
stessa.
È il rapporto in sé con i genitori ad
essere spesso in crisi. Come si può pretendere che i ragazzi
apprendano il rispetto per l’autorità, per l’insegnante o anche per
le istituzioni, quando sovente in casa hanno genitori che si
comportano da “amici”? Il ruolo del genitore deve essere chiaro fin
da subito, mantenere non una distanza, ma una dissimmetria nel
rapporto coi figli rispetto a quella che può essere l’esperienza di
un’amicizia fra coetanei. Mentre spesso assistiamo a rapporti
disordinati, in cui i genitori sono compagnoni se non addirittura
complici delle “imprese” dei loro figli. Possiamo quindi immaginare,
in un simile contesto, lo scarso effetto che può avere una nota, un
cinque in condotta, un sms o una qualsivoglia sanzione disciplinare.
Se il messaggio che passa in casa è “devi farti furbo” o “devi farti
valere” la prepotenza può essere suggerita quotidianamente come
forma di rapporto normale.
Per alcuni ragazzi la scuola
rappresenta oggi l’ultima chance, per tutti un’opportunità
straordinaria. La scuola costituisce l’opportunità di ristabilire
rapporti fra soggetti in cui la forma sia rispettosa dell’altro e
dell’apporto che l’altro può metterci nel buon andamento del lavoro
di classe. Occorre abbassare la soglia di tolleranza degli insegnanti per tutti quei comportamenti che sembrano di confidenza e vicinanza, ma che in realtà minano la possibilità del lavoro stesso in classe. Comportamenti incongrui infatti rendono più difficile il lavoro di chi desidera lavorare, più faticoso spiegare ed apprendere, aggiungono fatica e pesantezza inutile assieme ad una pericolosa distrazione comune. Nel riprendere e sanzionare anche col voto questi comportamenti l’insegnante svolge un compito di difesa della classe, di quegli individui che si sono alzati e recati a scuola con desiderio, magari confuso, di imparare. Il percorso scolastico comporta una convivenza lunga e stretta, spesso la condivisione dello stesso luogo e del tempo per molti anni. È importante che l’insegnante sappia favorire e incoraggiare quel tipo di familiarità che permette un lavoro comune, senza tensioni e inutili conflitti, ma soprattutto senza scivolare in possibili connivenze in cui tutto è permesso e giustificato, anche il venir meno del dovuto rispetto all’adulto e ai compagni. Come in ogni relazione sociale proficua e fruttuosa, anche a scuola il soggetto deve metterci del suo per fare andare bene le cose.
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