Il caso della ragazza di Salò: Laura Cioni, il Sussidiario 31.3.2010 Quando Dante aiuta a scoprire la verità. Non quella di Dio, ma molto più prosaicamente quella del sesso in classe, senza che l’insegnante se ne accorga. Il fatto è noto ed è inutile ripercorrerlo. Ma è noto a causa di un tema sugli ignavi, in cui alcuni studenti hanno raccontato le cose a cui avevano assistito nella loro aula. Ben vengano dunque gli ignavi anche in terza media. Ma, per quanto Dante disprezzi gli ignavi, in questo caso il “non ti curar di lor, ma guarda e passa” dell’Antinferno purtroppo non è sufficiente: bisognerebbe andare più giù. I ragazzi. Ma chi l’ha detto che per loro il sesso è un gioco, che sono irretiti dal Grande Fratello, che è stato solo “un caso di bullismo”, che “non si può denunciarli perché gli si rovina la vita”? I ragazzi, per quanto siano immaturi, sanno distinguere il bene e il male. Se non si parte da qui, gli si toglie ciò che hanno di più prezioso, la libertà. Perciò meritano una severa punizione. Severa. Non una sospensione di qualche giorno con obbligo di lavoro socialmente utile nella scuola. Severa. Gli adulti. L’insegnante in classe. Interroga e non si accorge di niente, anche perché lascia normalmente che gli allievi cambino di posto. Figuriamoci durante un’interrogazione. Che amarezza non riuscire a controllare una lezione per una pregressa falsa familiarità con gli studenti. Professore, se continuerà a insegnare c’è da augurarsi che questo fatto grave la aiuti a riconsiderare l’importanza dei ruoli e della distanza da tenere, l’attenzione a tutto ciò che avviene in classe, il fatto che raramente non pretendere la necessaria disciplina paga in termini educativi e didattici. La Preside. Non ci si può nascondere dietro un dito. Anche se il dito è enorme come l’istituzione e l’ideologia del contesto sociale. Quello che è successo dentro la scuola non è un fatto interno alla scuola. Ma di grave rilevanza morale e civile. Non può essere risolto dentro le mura della scuola. E meno male che ne è uscito. In questo modo dobbiamo prendere atto di una dolorosa ferita inferta al pudore, di una ripugnante violazione di ciò che di più sacro esiste nel mondo affettivo dei più giovani e di cui anch’essi devono rendersi conto, questa volta attraverso la punizione, non la giustificazione. I genitori. Che tristezza. Viene da chiedersi come sia la loro vita familiare, se mai abbiano avuto il coraggio di parlare ai figli dell’amore e del rispetto, o se invece si sia lasciato tutto inespresso e senza sponde. Quanto sono stati lungimiranti i magistrati milanesi che alcuni mesi fa hanno giudicato i genitori di una banda di ragazzi-bene senza giri di parole: incapaci di dare ai figli una solida educazione affettiva e sentimentale. Dopo l’inferno c’è la possibilità di risalire sulla terra. Chissà che un fatto di cronaca così serio non porti con sé, paradossalmente, anche una nuova consapevolezza. Quasi un fiore improbabile dopo il rigido inverno.
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