SCUOLA

Il caso dei bambini di Novara:
così si è sporcata la vocazione di noi insegnati 

Tiziano Viganò, il Sussidiario 4.3.2010

I fatti sono diventati noti in seguito alla denuncia di una madre. E’ accaduto in una scuola elementare di un piccolo comune in provincia di Novara. Dalla classe sono state fatte uscire le bambine. Poi una bidella e le tre insegnanti della terza elementare hanno obbligato i 10 maschietti rimasti a calarsi pantaloni e mutande.

Maestre e bidella volevano capire chi avesse sporcato il gabinetto e poi, dopo aver scoperto e umiliato il «colpevole» davanti ai compagni, lo hanno punito. La bidella era andata su tutte le furie: «Sono stanca di pulire. Questi bambini non vengono educati dai genitori e dalle maestre. Ora voglio capire chi è stato». La donna dunque avrebbe convinto le insegnanti a eseguire i suoi ordini e a denudare i bimbi.

Le insegnanti, di fronte all’ira della bidella, hanno spiegato al direttore didattico che non sono riuscite a mantenere la calma e a trovare un modo diverso per risolvere il problema. Incredulo e allibito il direttore didattico, che intende prendere provvedimenti.

«Il bambino, ha spiegato la madre, forse a causa di un attacco di dissenteria, aveva chiesto il permesso di andare in bagno. Le maestre hanno detto di no fino all’intervallo. Così il bambino, che stava male, quando è riuscito a raggiungere il gabinetto ha fatto quello che poteva e, logicamente, si è sporcato».

A proposito dell’episodio Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, ha parlato di «danno pedagogicamente rilevante, oltre che lesivo della dignità e dell'emotività dei bambini» E ha aggiunto: «Rimango dell'idea, più volte manifestata, che l'esercizio della professione educatrice nella scuola debba necessariamente filtrare anche da verifiche dello stato psicologico dei docenti, fermo restando che con ciò non intendo gettare fango sulla categoria, ma preservare la stessa da possibili distorsioni».

In questa vicenda, certamente desolante e anacronistica, sono presenti i vari soggetti dell’educazione: gli alunni, i genitori, le maestre, il direttore didattico, il personale ATA, le istituzioni. Ognuno però sembra andare a ruota libera per la propria strada, anzi, come in un vecchio flipper, oggi non più di moda, quando uno dei soggetti si sente urtato, reagisce a sua volta dispiegando una risposta uguale e contraria alla spinta che ha ricevuto.

Il povero bambino alle prese con i suoi “bisogni” (sempre di bisogni si tratta) se la deve vedere con la bidella, la bidella se la prende con le insegnanti e i genitori incapaci di “educare”, le insegnanti cercano il sostegno del direttore didattico, il direttore didattico è allibito e si appresta a prendere dei provvedimenti, le istituzioni paventano verifiche dello stato psicologico dei docenti, i genitori denunciano.

Possibile che il criterio con cui gli “operatori” della scuola – personale ATA, insegnanti, direttore - si muovono debba essere quello della reazione istintiva e irresponsabile? E’ solo questione di nervi a fior di pelle? E’ l’ insoddisfazione per il proprio lavoro che porta a queste reazioni? Può darsi, e questo permetterebbe in qualche modo di comprendere, ma non giustificare, il comportamento di insegnanti e personale ATA della scuola di Novara. Ma c’è di più.

Spesso il disagio (disagio di qualunque tipo), di un bambino, di un nostro alunno, di un figlio, mette a disagio noi adulti. Non sappiamo come affrontarlo, non ce lo aspettiamo, non ci sentiamo preparati, disturba gli schemi che ci siamo fatti. Io sono un insegnante. Ogni volta che preparo una bella lezione, entro in classe con un gran desiderio di trasmettere tutto il mio interesse, la mia preparazione, il gusto che ho riscoperto nel prepararla ecc. Immancabilmente succede che, più delle altre volte in cui faccio lezione – è quasi un’ennesima legge di Murphy - mi accorgo che qualcuno dei miei alunni è svogliato o poco interessato oppure si annoia, magari incomincia a distrarsi.

Invece di avvertire il suo disagio come un segnale per me perchè magari escogiti in quel momento altre strategie o strumenti o parole o atteggiamenti per risolvere il problema della sua attenzione – oppure semplicemente fissi una pausa -, mi fisso sullo schema che ho così pazientemente preparato e mi ostino sulla mia strada esasperando qualche volta l’alunno e me stesso. Invece è così semplice essere realisti. C’è un bisogno, c’è un disagio… che cosa si può fare? Si può intervenire? Io sono qui per te. Mi interessi tu. Adesso.

Trovare una nuova soluzione, rinunciare a uno schema prestabilito, chinarsi sui bisogni dei nostri alunni, anche questo fa parte del nostro lavoro. La bidella che tra i suoi compiti ha anche quello di pulire i servizi e che ovviamente non si aspetta che un bambino imbratti – suo malgrado, poverino – il pavimento, non può fare altro che … pulire, cioè fare il suo lavoro anche se … fuori dal seminato. Certo, non è piacevole, anzi, appunto, è disagevole, ma necessario, realistico.

Le insegnanti, invece di accondiscendere ad un anacronistico e umiliante controllo igienico della classe, avrebbero potuto più semplicemente o realisticamente – che è la stessa cosa - prendersi carico di quel disagio del bambino, anche se non è contemplato nel “mansionario” dell’insegnante. Come in tutte le cose, prima di ogni schema, viene la realtà.