Contributo volontario dei genitori:
ma la Gelmini ci prende in giro?

Dedalus, da ScuolaOggi 25.3.2010

Pare che il Ministro Gelmini (finalmente) si sia accorto che nelle scuole pubbliche italiane c’è qualche problema. Qualcuno (finalmente) deve averle spiegato che sul piano finanziario sono alla canna del gas. Ed ecco allora la pronta risposta del ministro: “Una task-force del Ministero si sta occupando del problema. Sicuramente per il prossimo anno dovremo stanziare risorse per le spese ordinarie, una cifra da quantificare, saremo nell’ordine di 10 milioni di euro”.

Ora, dato che le scuole italiane sono circa 10 mila, 10 milioni di euro corrispondono mediamente a mille euro per ciascun istituto scolastico. Una mancia, insomma. Per non dire una miseria. Ben al di sotto delle necessità reali delle scuole.

Ma quello che più lascia di stucco sono le stupefacenti dichiarazioni del ministro che si è anche accorto – qualcuno del suo éntourage deve averle detto qualcosa in proposito – che le scuole da anni chiedono un contributo volontario alle famiglie. “Viene però da chiedersi come mai – afferma la Gelmini - a fronte di risorse limitate per tutti, alcune scuole chiedono il contributo volontario alle famiglie e altre no. Qui entra in gioco la capacità gestionale dei dirigenti.”

Ora a parte il fatto che i dirigenti scolastici - capacità gestionale o meno -  sono più o meno tutti in braghe di tela, sommersi dai debiti (che in realtà sono crediti nei confronti dello Stato) per poter garantire il normale funzionamento del servizio pubblico, viene da chiedersi: ma la Gelmini da quale pianeta viene? In quale costellazione ha vissuto in tutti questi mesi?

Da anni gli istituti scolastici (a Milano prima le medie, poi anche le elementari, a ruota) sono costretti a chiedere soldi ai genitori, nella forma del “libero contributo”, per poter attuare il piano dell’offerta formativa. Per poter attivare cioè attività e progetti didattici che altrimenti non potrebbero mettere in campo. Il “salto di qualità” in negativo, negli ultimi tempi – specie sotto il governo della scuola Gelmini-Tremonti -   sta semmai nel fatto che questi introiti vengono ora usati dagli istituti non più per finanziare  progetti didattici di qualità ma per acquistare i materiali didattici o di consumo necessari. Carta igienica inclusa. Qualcuno addirittura ha utilizzato questi fondi come anticipo di cassa per pagare i supplenti (sic).

Ma la Gelmini, bellamente ignara di tutto questo, afferma: “Con troppa leggerezza  si chiedono contributi alle famiglie. Sono assolutamente contraria, va evitata questa prassi un po’ lamentosa e in pochi casi giustificata. La scuola pubblica non deve costare”.
Anche noi, nel nostro piccolo, saremmo contrari. Non c’è dubbio. Innanzi tutto per principio. E’ assurdo e paradossale infatti che la scuola pubblica - scuola dell’obbligo in particolare -  che dovrebbe essere gratuita per definizione (non dice questo la Costituzione?) debba chiedere altri soldi ai genitori, oltre a quelli che già versano indirettamente come tasse all'erario. Il problema è che si è arrivati a questo punto proprio grazie al fatto che i finanziamenti per la scuola statale  sono andati via via decrescendo e sono del tutto insufficienti rispetto ai bisogni reali. E quindi dirigenti scolastici, consigli di istituto e genitori cercano di farsene carico in questo modo. Per poter garantire un servizio decente.

Ma forse la Gelmini negli ultimi tempi ha frequentato troppo le scuole private (pardon, paritarie!) le quali invece, oltre alle entrate provenienti dalle tasse di iscrizione hanno pure avuto un aumento di finanziamenti da parte del governo. Forse sarebbe il caso che il Ministro dell’Istruzione mettesse piede, come ha fatto ad esempio Riccardo Iacona di recente, in qualche scuola pubblica e facesse un bagno di realtà. Ma è sperare troppo. In ogni modo, non è questo il governo che ha dichiarato con grande enfasi che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani?