Contributi alle famiglie:
chiedere sì, imporre no, rendere conto sempre

di Anna Maria Bellesia La Tecnica della Scuola, 29.3.2010

Le richieste alle famiglie devono essere condivise, trasparenti, finalizzate, coerenti col Pof e mai coercitive. La recente dichiarazione del ministro Gelmini, sul fatto che le scuole “con troppa leggerezza” chiedono contributi alle famiglie, non dice niente di nuovo, ma va a toccare un nervo scoperto, quello dei finanziamenti.

Negli ultimi due anni le scuole hanno intensificato la prassi in uso da tempo di chiedere soldi alle famiglie a causa della riduzione delle assegnazioni per il funzionamento didattico e amministrativo. Ma chiedere è ammesso, esercitare coercizioni no.

Sul sito del Miur, alla voce “Contributo scolastico”, sta scritto né più né meno quello che il ministro ha ripetuto e le scuole sanno o devono sapere: in regime di obbligo di istruzione non è consentito imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l’espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all’assolvimento dell’obbligo scolastico. Eventuali contributi per l’arricchimento dell’offerta culturale e formativa degli alunni possono essere versati dalle famiglie “soloed esclusivamente su base volontaria”.

La legge n. 40/2007 (Fioroni) conferma che le “erogazioni liberali” a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari, si intendono finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa e sono detraibili nella dichiarazione dei redditi.

Ultimamente molti genitori singoli o associati hanno cominciato a reagire alle pretese crescenti di certe scuole, lamentando sia gli aspetti coercitivi, sia l’ammontare delle somme richieste (c’è chi arriva a chiedere 140 euro), sia il mancato rispetto del vincolo di destinazione, sia la mancanza di una direttiva ministeriale, con il conseguente verificarsi di una casistica disparata a volte poco giustificabile o condivisibile.

Se da un lato chiedere contributi alle famiglie è per certi aspetti una scelta obbligata, tuttavia le scuole, prima di assumere delibere, dovrebbero aprire una fase di riflessione e di confronto interno, valutando attentamente la situazione in relazione alla propria utenza (famiglie benestanti, monoreddito, con più figli in età scolare) e stabilendo delle priorità coerenti col servizio di istruzione e col piano dell’offerta formativa, che in quanto strumento di pianificazione presuppone delle scelte ponderate e coerenti con l’identità che si è definita.

Ad esempio, se sono condivisibili le richieste finalizzate alla didattica e ad offrire ulteriori o migliori prestazioni, appare poco giustificabile chiedere soldi agli alunni in difficoltà per attività di recupero o sostegno, specialmente nel biennio delle superiori, dove vige il regime di gratuità relativo all’obbligo di istruzione e dove più alto è il rischio dispersione. Trattandosi di parte “ordinaria e permanente” del Pof, è evidente che bisogna far quadrare i conti con le risorse disponibili, puntando ad ottimizzare gli aspetti organizzativi.

Le buone pratiche non mancano, basta darsi da fare.

Sono assolutamente da evitare forme sbrigative come mettere in mano al genitore il bollettino con la cifra già scritta. I rapporti con le famiglie vanno curati da personale esperto e formato nelle tecniche della comunicazione istituzionale, che deve essere sempre chiara, puntuale, efficace. Il sistema di relazioni va costruito facendo leva sulla corresponsabilità educativa. I genitori devono sentirsi convinti a partecipare e a contribuire nell’interesse dei figli.

Certamente non basta persuadere i pochi rappresentanti negli organi collegiali, che spesso non hanno neppure preparazione adeguata, ad approvare una delibera predisposta dal dirigente o messa a punto dal direttore sga. Anche il personale di front office deve essere ben preparato, disponibile, e fornire una corretta informazione.

La finalizzazione degli introiti e la rendicontazione delle spese e dei risultati ottenuti sono i due elementi essenziali con i quali la scuola si presenta trasparente nel proprio agire. Se ben gestita, l’operazione serve a costruire una immagine di “accountability”, indispensabile per legittimare con autorevolezza e affidabilità quelle richieste che diversamente potrebbero essere percepite come fastidiosi balzelli. Se la trasparenza è un obbligo, rendere conto è pure conveniente. Gli strumenti non mancano: dalla relazione periodica del dirigente scolastico al consiglio di istituto, che potrebbe essere pubblicata anche sul sito web, al bilancio sociale o comunque a modalità divulgative semplificate destinate ai portatori di interesse con la descrizione delle scelte, obiettivi, mezzi impiegati, risultati ottenuti.

Inoltre le scuole potrebbero attivarsi per trovare forme più innovative di auto-finanziamento, dai contratti di sponsorizzazione, a soluzioni più creative che già si stanno diffondendo, senza snaturare il servizio di istruzione, ad esempio organizzando feste di “beneficenza” a tema al posto di visionare il solito film durante le assemblee di istituto.