MANOVRA

Blocco stipendi equivale a 1.900 euro pro capite. Settore scuola più penalizzato

da Il Messaggero, 30.5.2010

“Non c’è dubbio – ragiona Carlo Dell’Aringa, per lunghi anni alla guida dell’Aran – che in questo ultimo decennio le retribuzioni del pubblico impiego hanno avuto un andamento molto più dinamico rispetto a quelle del settore privato. Tra il 2001 e il 2008 il differenziale cumulato è del 6 per cento. E credo che all’origine della volontà di Tremonti di fare la manovra attaccando anche questo capitolo di spesa ci sia soprattutto questo elemento. Tuttavia il patto di stabilità interno, dal 2007 ad oggi, ha funzionato ed ha allentato la dinamica di aumento. Che necessità c’era di intervenire ancora?”. Ecco, appunto.

La mazzata, sugli statali, arriva proprio quando le differenze retributive tra pubblico e privato si stavano allentando. I dati ufficiali dell’Istat dicono che nel 2009 le retribuzioni contrattuali nel pubblico impiego sono cresciute del 3,6 per cento rispetto al 3,1 del settore privato. Le cose si stavano sistemando da sole, verrebbe da dire. Limando squilibri evidenti. L’Aran, correggendo i numeri dati da Berlusconi e Tremonti per far digerire il congelamento dei salari alla Pa in subbuglio “differenza di 18 punti tra pubblico e privato negli ultimi 10 anni”, afferma che nel periodo 2000-2008 il gap non supera i 10 punti. Non poco, certo. Ma abbastanza, in ogni caso, da giustificare le scelte del governo. Anche se bisogna andare oltre le medie assolute. Perché quello che davvero fa la differenza, nelle dinamiche di aumento delle retribuzioni statali, è la crescita delle amministrazioni pubbliche locali.

 In questo settore, la crescita cumulata retributiva è del 40 per cento, negli ultimi 8 anni. Mentre nelle amministrazioni centrali la crescita si ferma al 33 per cento. Appena 5 punti sopra i lavoratori dell’industria, tanto per fare un esempio. C’è poi un altro elemento da considerare: il fattore “colletti bianchi”. “Il dato sugli aumenti retributivi degli statali – osserva Giovanni Faverin della Cisl – è falsato dal fatto che i dirigenti sono ricompresi nelle medie. Sono i loro super-stipendi a causare l’illusione ottica che l’intero corpo della funzione pubblica abbia goduto di chissà quali privilegi salariali rispetto al settore privato. In realtà non è così. Non è giusto – prosegue il sindacalista – che per incapacità dei politici, tocchi ai lavoratori andarci di mezzo: governi e amministrazioni locali si sono sempre dimostrati incapaci di accantonare, con una buona programmazione, le risorse per rinnovare i contratti, come avrebbe fatto ogni buon imprenditore”.

Ed ora c’è da fare i conti con il blocco triennale delle retribuzioni, che comprende anche i generosi salari di produttività. E che, inevitabilmente, farà allontanare i salari degli statali italiani dai loro colleghi europei. Il punto di partenza, dati Ocse, è che le retribuzioni della Pa sono 16 punti sotto la media Ue: 4 mila euro l’anno. Che succederà da qui al 2013? Una stima, costruita su dati della Ragioneria dello Stato, parla di mancati aumenti retributivi per 6,5 miliardi di euro a danno dei 3,3 milioni di statali. In media, una perdita di mille e 900 euro a testa. Un quadro generale in cui spicca il sacrificio della scuola, la realtà numericamente più consistente del pubblico impiego. Già in fondo alle classifiche retributive dei Paesi occidentali, il milione di dipendenti – gratificati da uno stipendio medio lordo fissato a quota 27 mila euro – si vedranno congelare, nell’arco dei prossimi 3 anni, 1.600 euro. A conti fatti, un balzo indietro del 6 per cento.