Osservando…
a margine delle prove di rilevazione degli apprendimenti
di Carlo De Nitti
Educazione & Scuola,
23.5.2010
0. Le righe che seguono rappresentano
un piccolo contributo di riflessione sulla questione ampiamente
dibattuta in tutte le scuole intorno all'utilità o al danno per
l'attività didattica delle prove di rilevamento degli apprendimenti,
predisposte e gestite dall'Istituto Nazionale per la Valutazione del
Sistema di Istruzione e Formazione, universalmente noto come
INVALSI, che si sono svolte pochi giorni or sono in modo censuario
in tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado della
Repubblica.
Queste righe hanno l'ambizione di esprimere un parere - diverso da
quello pubblicato, ora è qualche giorno, da Claudia Fanti in E' una
cosa seria?- sull'argomento affinché sulla tematica si aprisse un
dibattito interno alla scuola militante scevro da pre-giudizi di
qualsivoglia tipo.
1. Chi scrive – una piccolissima
autopresentazione è il requisito minimo per aver titolo ad
interloquire - è un dirigente scolastico di una scuola secondaria di
I grado di una città capoluogo di regione del Mezzogiorno
continentale, che ha svolto, negli anni 2009 e 2010, l'esperienza di
osservatore esterno sia nella scuola primaria che in quella
secondaria di primo grado, in realtà scolastiche e, quindi,
socio-culturali ed economiche diverse tra loro: in un quartiere
periferico di una grande città ed in uno semicentrale a forte
connotazione popolare con i problemi tipici della scuole. Con
l'INVALSI e con le prove di rilevazione chi scrive aveva già
lavorato, da docente di lettere di una scuola secondaria di primo
grado del centro di una città capoluogo, fin dagli anni in cui esse
erano sperimentali (italiano, matematica e scienze), seguendo anche
specifici corsi di formazione sulla materia.
2. Non si è lontani dal vero se si
asserisce che, inizialmente, le prove di rilevazione degli
apprendimenti da parte di un organo terzo ed esterno alla scuola
siano state accolte dalla massa dei docenti con scetticismo, se non
addirittura con fastidio verso qualcosa di superfluo, effimero o,
più probabilmente, dannoso per il percorso formativo dei discenti.
A distanza di alcuni anni, ormai si è abbastanza diffusa tra gli
operatori della scuola – e chi scrive tra essi - l'idea che una
rilevazione degli apprendimenti può portare la scuola seriamente
fuori dall'autoreferenzialità, per condurla verso la creazione di
standard di apprendimento di conoscenze, di competenze e di capacità
definiti dal MIUR che devono essere garantiti a tutti i discenti in
quanto cittadini della Repubblica e quindi, portatori di un diritto
universale, quello all'apprendimento, a prescindere da quale scuola
frequentino, dal luogo dove lo facciano (Nord, Centro, Sud, città,
campagna, periferia) ed anche – e non è variabile da poco
nell'acquisizione di apprendimenti – da quali docenti (e non solo)
incontrino.
Dall'esperienza biennale compiuta in qualità di osservatore, ha
fatto trarre a chi scrive il convincimento profondo che quando i
discenti – sia che si tratti di bambini di sette anni, sia che ci si
riferisca a bambini di dieci/undici anni – vengono messi in
condizione dai loro docenti di prendere consapevolezza di ciò che si
apprestano a vivere con serenità e di comprendere finalità e
metodiche della rilevazione, la loro risposta è sempre positiva,
tanto in termini di comportamento nei confronti di adulti che non
conoscono (oltre l'osservatore esterno, i bambini non conoscono
neppure il somministratore), quanto come approccio alla performance
da realizzare.
Se i bambini percepiscono (e le loro 'antenne' sono molto sensibili
e raffinate) negli adulti significativi - i docenti, in primo luogo,
ma anche i genitori che, probabilmente, dovrebbero essere coinvolti
maggiormente dalle scuole – scetticismo, fiducia, inutilità di ciò
che si sta facendo, che viene compiuto magari solo per dovere
d'ufficio, è evidente che non possano essere motivati e pronti ad
affrontare con il giusto spirito questa rilevazione censuaria degli
apprendimenti e nessun'altra prova del loro itinerario scolastico
che preveda la presenza di esaminatori esterni, a cominciare dagli
esami di stato conclusivi del primo ciclo di istruzione.
3. Viceversa, è perfettamente evidente
che le prove debbono servire a costruire un percorso didattico di
cui non possono non essere il fulcro: ex ante, per
quanti-qualificare l'azione didattica nell'acquisizione delle
conoscenze e delle competenze fondamentali di base; ex post, per
analizzare con i bambini le risposte fornite da loro ed apportare
correttivi all'azione educativa dei docenti nei confronti della
classe.
Ora, a bocce ferme, rimessi i fogli risposta all'INVALSI, sarebbe
estremamente utile, ad esempio, riprendere quei fascicoli e
rivedere, riutilizzandoli, i materiali proposti per riprendere,
arricchendolo, il filo delle conoscenze da promuovere e delle
competenze da implementare: la docente Fanti è professionista troppo
intelligente e seria per non riconoscere che una siffatta pratica
implementerebbe considerevolmente la percezione dell'utilità delle
prove da parte dei bambini.
Se è vero che la valutazione periodica ed annuale degli
apprendimenti degli studenti e la certificazione delle competenze da
essi acquisite spetta esclusivamente ai docenti delle istituzioni
scolastiche da loro frequentate, è altrettanto vero che all’INVALSI
compete, secondo la previsione normativa vigente, la valutazione del
sistema educativo di istruzione e formazione al fine di migliorarne
ed armonizzarne la qualità mediante verifiche periodiche e
sistematiche sulle conoscenze e sulle abilità degli studenti del
sistema di istruzione e di formazione professionale.
4. Inoltre, parlare di rilevazione
degli apprendimenti è argomento molto centrale nel dibattito sulla
scuola poichè ad esso se ne riconnettono molti degli altri, se non
addirittura tutti, a cominciare dal reclutamento dei docenti: tutta
la vita di un/una bambino/a, ragazzino/a, adolescente non può essere
fortunosamente legata all'incontro, talvolta meramente casuale, con
questo/i o quel/i docente/i più o meno preparato/i e competente/i e
soprattutto appassionato/i del proprio lavoro. Avere docenti
preparati e competenti a 360° (e, conseguentemente, meglio
remunerati, da professionisti dell'educazione e non da impiegati)
deve essere un diritto di tutti i discenti: sarebbe il miglior
investimento sul futuro della scuola e dell'intera società.
Lo stato delle cose presente – è l'esperienza diretta che lo insegna
a chiunque voglia leggerla con un minimo di onestà intellettuale -
penalizza proprio quei bambini/ ragazzi/adolescenti che già vivono
in situazioni non ottimali da un punto di vista socio-culturale. Il
riferimento d'obbligo è a leggersi con attenzione il Rapporto sulla
scuola in Italia 2010 Fondazione Giovanni Agnelli, pubblicato
recentemente, mediante il quale si apprende tantissimo sulle molte e
risapute, ma, spesso, sconcertanti iniquità del sistema scolastico
italiano.
Nel XXI secolo, nell'epoca della globalizzazione – delle idee, delle
conoscenze ma anche del mercato del lavoro - è inimmaginabile che il
sistema scolastico di un Paese non debba essere sottoposto a
periodiche valutazioni e non solo attraverso la verifica degli
apprendimenti dei suoi discenti, che, pure, costituiscono la causa
finale che muove tutto il sistema scolastico.
Ciò è tanto più vero in una scuola, quale quella italiana, la quale,
da un lato, è ormai da oltre un decennio normata dal D.P.R. 275/99 e
caratterizzata, da autonomia didattica, organizzativa, di ricerca,
sperimentazione e sviluppo, e, dall'altro, sta vivendo una stagione
di un profondo riordino che, per la prima volta dopo circa ottanta
anni (Riforma Gentile), riguarda in modo sistematico tutti gli
ordini della scuola secondaria di secondo grado.
Non è un caso se, l'anno scolastico prossimo, anche questo
importante segmento del sistema di istruzione sarà coinvolto
anch'esso nella rilevazione censuaria degli apprendimenti dei propri
discenti. Poiché l'anno 2010/11 vedrà l'abbrivo del riordino degll'istruzione
secondaria superiore, è particolarmente utile verificare conoscenze,
competenze ed abilità degli studenti in entrata al fine di seguirne
il percorso quinquennale fino all'uscita, anche in sede di Esame di
stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione.
6. Un'ultima considerazione per
concludere o, meglio, per aprire una discussione: e se le prove di
rilevazione degli apprendimenti realizzata dall'INVALSI fosse
soltanto uno strumento perfettibile, certo, come tutte le cose
umane, ma imprescindibile per poter, da un lato, consentire alle
scuole di svolgere in modo più equilibrato e razionale il loro
lavoro e, dall'altro, la via regia per accedere a conoscere e
premiare come meritano le “virtuosità” che esistono, e sono
tantissime, delle scuole con una gestione che coniughi sapientemente
l'efficacia formativa con l'efficienza?