La scuola non tema le novità Mariastella Gelmini La Stampa, 28.5.2010
Caro Direttore, Con il ministro Sacconi abbiamo sottoscritto il «Piano per l’occupabilità dei Giovani: Italia 2020», che punta ad una piena integrazione tra il sistema educativo e il mondo del lavoro e ad una rapida transizione dalla scuola al lavoro. Un piano in sei interventi che darà impulso ad una serie di iniziative volte a rilanciare l’istruzione tecnica e professionale, il contratto d’apprendistato, l’utilizzo dei tirocini formativi, il ruolo della formazione universitaria e l’apertura dei dottorati di ricerca al sistema produttivo. Per l’università si prospetta ora un’occasione irripetibile, quella di una riforma organica e di ampio respiro in grado di rimettere in gioco le energie migliori della nostra ricerca. Nuova governance, bilanci e concorsi più trasparenti, più attenzione ai giovani studiosi. Mi sembra quindi fuori luogo ridurre questi sforzi ad una battuta e dire che il ministero dell’Istruzione è più in sintonia con quello del Turismo che con le esigenze di crescita dei nostri giovani. Il problema è davvero diverso, sia nel caso specifico che in generale. Ho espresso - e la ripeto - la disponibilità a discutere senza pregiudizi una rimodulazione del calendario scolastico, tenendo presenti due fatti oggettivi: oggi in Italia i giorni di scuola sono più numerosi rispetto alla media europea e a Trento e Trapani il clima non è proprio lo stesso. Quindi ben venga un dibattito su come rendere l’anno scolastico più flessibile e aderente alle esigenze di diverse parti del Paese. Però, come dicevo, esiste anche un problema generale, che è quello del rapporto tra quantità e qualità. Negli anni il nostro sistema educativo, sia nelle scuole che nelle università, ha privilegiato la prima sulla seconda: più ore di scuola, più insegnanti e professori, più corsi di laurea, più sedi, più studenti universitari. E’ bene riconoscere che tutto questo non vuol dire aumentare la qualità dei processi formativi. La scuola e l’università devono tornare ad una visione rigorosa e - vorrei dire - orgogliosa del loro compito, che è quello di creare e trasmettere conoscenza, anche se questo significa in molti casi abbandonare consuetudini alle quali in molti si erano attaccati. E’ finita un’epoca. Oggi la crisi internazionale ce lo impone: o si cambia o non si è più in grado di reggere la sfida della modernità. Per questo mi aspetto che il Parlamento approvi al più presto, e con una larga maggioranza, la riforma delle Università.
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