INSEGNANTI "MANOVRATI"

di Gennaro Lubrano Di Diego* La Stampa, 29.5.2010

Sono un insegnante di Filosofia di una scuola superiore di Napoli.

Tutte le mattine entro in classe con piacere per intercettare gli occhi, gli interessi, le emozioni ma anche i disagi e la noia esistenziale dei miei ragazzi.

Tutti i giorni ringrazio Iddio per avermi dato la possibilità di apprezzare e di entusiasmarmi della disciplina che insegno; e tutti i giorni Lo ringrazio se un po' di questa passione riesco a trasmettere ai miei studenti.

Tutti i giorni verifico come il contesto nel quale gli insegnanti lavorano, ammalato di burocratese, di didattichese e di una grottesca parodia di pseudomanagerialità, faccia a pugni con la necessità di offrire ai nostri alunni una proposta di senso che sia in grado di aiutarli nel processo di crescita e di aprirli con fiducia e speranza alla vita. E purtuttavia, resisto, poichè confido nei giovani e nella loro genuina disposizione ad affidarsi alle cure di chi ha a cuore il loro bene e il loro destino.

Tutti i giorni prendo atto dolorosamente come la deriva impiegatizia e burocratica di questa nostra nobile professione ci spinge ad essere altro rispetto a ciò che io credo gli insegnanti debbano essere, e cioè educatori capaci di amare ciò che insegnano e titolati - forti di questo amore - a scuotere i giovani da pigrizie, sciatterie, mal di vivere che spesso li avvolgono in una spirale perversa e spesso necrofila.

Tutto questo io, come insegnante, vedo.

Poi leggo di Tremonti, della crisi economica, della manovra, dei tagli e del mio magro stipendio di 1450 euro che per tre anni sarà congelato.

Non reagisco a ciò corporativamente ma qualcosa non mi torna e perciò mi faccio alcune domande.

Ho senz'altro contezza che ci sia bisogno di risparmiare, di tagliare le spese improduttive, di disboscare inefficienze e sprechi. Anche nella scuola.

Ma mi domando: perchè nella scuola non si tagliano i mille PON, POR e Fondi Europei che dissipano solo risorse senza alcuna ricaduta seria sul piano didattico?

Perchè non si taglia lì mentre invece si colpisce il mio magro stipendio?

Cosa significa questa scelta politica? Per caso che la spesa improduttiva è quella di chi butta il sangue la mattina con gli studenti mentre quella produttiva sarebbe costituita dalla dissipazione organizzata delle risorse affidata alla burocrazia europea e ministeriale con la compiacenza di molti miei colleghi, avvinti dalla prospettiva di qualche arrotondamento stipendiale?

Non c'è in questa scelta una perversa filosofia pedagogica anzi anti-pedagogica?

E ancora. Tutti quei discorsi sulla valorizzazione del merito, dei capaci, dei meritevoli, dove sono finiti?

Non si poteva disboscare la spesa veramente improduttiva e nel contempo avviare percorsi virtuosi di valorizzazione di chi lavora con scrupolo, dedizione e sacrificio, anche se è un vituperato dipendente dello Stato?

Come vede, mi faccio delle domande con un retrogusto amarognolo e comincio a domandarmi, dal basso delle mie illusioni, fino a quando la mia generosa astrattezza di educatore reggerà alla mortificazione sociale e al dileggio della mia dignità professionale.

E un tarlo avanza nella mia coscienza, che cioè il "nullafacente" di brunettiana memoria abbia capito molto più di me come vanno le cose di questo mondo.


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