"Università, via i baroni
largo ai giovani"

Il Pd propone la pensione anticipata a 65 anni per assumere migliaia di ricercatori

Carlo Bertini La Stampa, 18.5.2010

ROMA
Mandare in pensione i baroni universitari a 65 anni e non a 72, tenendo in attività solo le «eccellenze» del sapere nazionale con contratti ancorati a ricerche in corso, per fare spazio ai «giovani» ricercatori che troppo spesso entrano in ruolo a 40 e passa.

Lo «shock generazionale» è il primo dei 10 capitoli che compongono uno dei cinque documenti messi ai voti sabato all’assemblea del Pd, chiamata alla conta da Bersani sui temi cardine del «Progetto Italia»: lavoro, università, riforme e giustizia, Europa e green economy. Un pacchetto mirato a dare una fisionomia più definita ai «Democrats», ove possibile con messaggi forti rivolti alle nuove generazioni, nel tentativo di superare l’alone di ambiguità che rende evanescente l’immagine del partito. E mentre sul dossier «Lavoro» il Pd ancora litiga sul contratto unico, la bozza sull’Università è pronta e cade in un momento di tensioni nel mondo accademico, con 50 mila precari e giovani ricercatori che minacciano di sospendere le attività didattiche. Oggi scatta una mobilitazione negli atenei con occupazioni simboliche dei rettorati organizzate da sigle ed associazioni di docenti contro i tagli dei fondi e i contenuti del disegno di legge Gelmini all’esame del Senato.

Partendo dalle due premesse che «la vera emergenza italiana è la ricerca» e che «le politiche dei governi di centrosinistra non sono esenti da colpe», la proposta sull’Università punta ad «una rivoluzione» che superi il gap di un Paese che ha «la classe accademica più anziana dell’Occidente». I dati parlano chiaro: il 26,6% dei quasi 20 mila professori ordinari ha più di 65 anni e il 54% dei docenti supera i 50 anni, contro il 41% della Francia e il 32% della Spagna. E quindi il pensionamento a 65 anni, che in linea di principio trova concorde la Gelmini, se fosse tramutato in legge, consentirebbe di destinare le risorse all’assunzione di nuovi docenti. «Sempre che sia eliminato il blocco del turn over, decisivo perché la proposta funzioni», spiega Marco Meloni del Pd, che con Chiara Carrozza ha messo a punto il dossier. «La finalità è abbassare di 10 anni l’età media dei docenti. Una proposta a costo zero, considerando che già oggi il 100% del Fondo di finanziamento ordinario, portato da 7 a 6 miliardi con gli ultimi tagli, è utilizzato per pagare gli stipendi».

Sarà pure a costo zero, ma è vero che di questa ipotesi si discute da mesi nei blog e nelle sedi parlamentari senza che si sia approdato a nulla per le troppe resistenze dei «baroni». E per lanciare un segnale ai giovani, i delegati del Pd dovranno votare anche a favore del «contratto unico per la ricerca», altro pilastro della proposta: «Oggi - spiega Meloni - esistono svariate forme contrattuali, di ricercatori che guadagnano 1000 euro e sono privi di tutele assistenziali e previdenziali. Il contratto unico non raddoppia i costi per gli atenei, a cui verrebbero applicate le agevolazioni dei contratti di formazione».

Il terzo cardine della «rivoluzione» promessa dai «Democrats» poggia sullo slogan «Erasmus in Italia» per promuovere la «mobilità geografica e sociale» degli studenti: a ognuno sarebbe collegato un «voucher» che può spendere se è in corso, nell’università che preferisce, «con un piano per le residenze universitarie e contributi all’affitto per i fuorisede». Per bilanciare i costi l’introduzione di un altro principio, riferito alle fasce di reddito alte: «Chi andrà fuori corso deve sapere che le sue tasse universitarie potranno aumentare, costituendo così un fondo per i più meritevoli».