Ddl Gelmini, universitari all'attacco N.L. Il Corriere della Sera, 18.5.2010 In prima fila ricercatori, docenti, studenti e amministrativi tra sit-in e presidi di protesta «Il disegno di legge sulla riforma dell'università, presentato in Senato, è una minaccia per il futuro degli atenei e quindi per lo sviluppo del Paese». Lo dicono i ricercatori della Seconda università di Napoli (Sun), ma, grosso modo, affermano lo stesso concetto ricercatori, docenti, studenti e amministrativi di tutte le università italiane. Cominciata lunedì scorso, e proseguirà per tutta la settimana, la mobilitazione ha visto l’occupazione simbolica di molti rettorati: Bologna, Trieste, Milano e Palermo sono solo alcune delle città coinvolte. GELMINI - «La stragrande maggioranza degli studenti, come dimostrano le recenti elezioni universitarie, ha voglia di cambiare e non ha nessuna intenzione di seguire chi cerca di strumentalizzarli». Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini non sposta di una virgola la propria posizione. In una nota esprime il proprio convincimento rafforzata dall'esito delle elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale degli studenti universitari in cui leliste vicine al Pdl hanno avuto la meglio. Per il ministro «bisogna avere il coraggio di cambiare, di guardare ad una università moderna. Non serve ripetere vecchi slogan. Le ideologie devono essere lasciate fuori dall'università, l'unico interesse deve essere quello dei ragazzi e del loro futuro». «Il ddl riforma completamente il sistema universitario italiano; elimina sprechi e privilegi, rivede la governance degli atenei, punta sul merito e - conclude - apre le porte ai giovani». AL SENATO - Parole che non fermano però la compatta protesta nazionale di martedì che vedrà il bis nella mattinata di mercoledì quando culminerà con un sit davanti al Senato della Repubblica a Roma dove il testo è in discussione. Una riforma, che dice la Flc Cgil, «rappresenta una vera e propria controriforma destinata a mutare radicalmente il funzionamento e la missione dell'Università, alterandone la natura aperta e democratica attraverso norme centralistiche e autoritarie, disegnando un'università pubblica sempre più povera di risorse e qualità, destinata ai pochi che se la possono permettere». IL MERITO - All'origine delle iniziative di lotta la situazione degli Atenei dopo i tagli al finanziamento, in parte già attuati e in parte da attuare nel 2011 e 2012, e i contenuti del Disegno di Legge Gelmini in discussione al Senato. Un provvedimento che - a parere dei promotori delle proteste - intende «scardinare il sistema nazionale dell'Università pubblica, concentrando le scarse risorse in pochi Atenei ritenuti «eccellenti» e ridimensionando il ruolo di tutti gli altri». Le organizzazioni e i sindacati della docenza hanno chiesto ai professori e ai ricercatori di protestare contro il Ddl governativo anche attraverso la rinuncia a ricoprire ogni incarico didattico aggiuntivo, come hanno già cominciato a fare soprattutto i ricercatori in tante sedi. Una raccolta più completa di quanto ha prodotto il ddl nelle varie sedi la si può trovare online con gran parte delle posizioni espresse, come questa: «Ci siamo rallegrati - spiega il rappresentante dei 510 ricercatori della Sun in senato accademico, Vincenzo Paolo Senese - quando è stato annunciato un provvedimento che garantiva il merito. Purtroppo di questo criterio non vi è traccia nel disegno di legge, che invece mira a ridurre il personale, abbassare le retribuzioni, bloccare la possibilità di progressione delle carriere e incentivare quei contratti a tempo determinato che raramente vengono rinnovati». Per i ricercatori campani si tratta di «una riforma a costo zero, senza investimenti, di carattere punitivo, come se l'università fosse il male peggiore del Paese». «Il ddl - aggiunge Senese - peggiora la situazione di una categoria già bistrattata. Dal 1990, infatti, siamo costretti a togliere tempo alla ricerca per dedicarci gratuitamente alla didattica. Senza questo «volontariato», che coinvolge il 40% di noi, molti corsi di laurea chiuderebbero, perché la legge prevede che ci siano almeno quattro docenti di ruolo per corso e gli atenei non avrebbero altro personale al nostro posto. Non chiediamo soldi, ma almeno che il tempo dedicato alla didattica venga riconosciuto come titolo di merito per l'avanzamento di carriera, punto completamente assente nel ddl Gelmini». PROTESTA IN DIRETTA - Quindi dalle 11 alle 13 di mercoledì le radio d’Ateneo racconteranno la mobilitazione contro il ddl Gelmini con collegamenti da Palazzo Madama e dalle Università. I media universitari daranno vita ad una diretta a reti unificate attraverso uno speciale radiofonico organizzato dal network Ustation.it e condotto da Radio Zammù dell’Università di Catania, in collaborazione con Radio Bue dell’Università di Padova, UCampus dell’Università di Pavia, Unica Radio dell’Università di Cagliari, Ponteradio dell’Università di Cosenza e il circuito Raduni, l’associazione nazionale degli operatori radiofonici universitari. Obiettivo dello speciale è di alimentare la discussione sul web, sui portali dei media universitari e su Ustation in merito alla situazione dei ricercatori che, come spiega, Marco Merafina, coordinatore nazionale dei ricercatori italiani, «vivono in una situazione di precarizzazione insostenibile». Ma in queste giornate saranno protagonisti anche le altre componenti della comunità universitaria nazionale: «Con noi ci saranno anche professori di prima e seconda fascia, amministrativi e studenti – spiega Merafina – in gioco c’è il futuro dell’Università e della ricerca del Paese». Se il ddl Gelmini dovesse essere approvato, la protesta sfocerebbe il prossimo ottobre nello sciopero bianco, già iniziato in alcuni atenei nei mesi scorsi, che metterebbe in crisi l’organizzazione della didattica in gran parte delle Università del Paese. Infine, ma non ultimi, protesta anche il personale tecnico universitario laureato (personale non docente) ma che di fatto svolge mansioni sovrapponibili a quello dei ricercatori che si battono contro i «sostenitori della demeritocrazia e della negazione del diritto alla carriera». |