Scuola: e se abolissimo la Pasqua?

di Leonardo Tondelli l'Unità, 31.5.2010

Ma il governo, insomma, è alla frutta? Non sa più dove trovare risorse per l'ordinaria amministrazione? A dare questa impressione sono state le ultime voci fiorite intorno alla Finanziaria. Per esempio quel famoso progetto di abolire nove province, pescate un po' a caso: progetto che dopo poche ore lo stesso Berlusconi si è affannato a smentire. Un'altra voce di questo genere aveva fatto scalpore qualche giorno prima, quando la Gelmini si era detta “molto aperta” a una proposta di legge che proponeva di posticipare ad ottobre l'inizio dell'anno scolastico. La motivazione ufficiale – valorizzare il turismo – non se l'è bevuta nessuno (s'è visto, del resto, quanta sincera preoccupazione nutra Tremonti per il turismo, con la reintroduzione delle tasse di soggiorno). L'unico senso che si poteva dare a una proposta così strampalata era prettamente economico: aprendo i plessi scolastici due settimane più tardi si risparmierebbero un po' di soldini. Nemmeno così tanti, visto che insegnanti e bidelli di ruolo sono pagati anche quando stanno a casa. Si potrebbe fare qualche contratto in meno ai supplenti, e pagare bollette della luce meno salate. Tutto qui. Insomma, la sensazione è quella di trovarsi di fronte ai trucchetti contabili di un un debitore cronico che si è già venduto l'argenteria. C'è poco da stare allegri.

Per questo, invece della solita ironia a buon mercato, vorrei per una volta mostrarmi propositivo. Perché sì, cominciare la scuola in ottobre potrebbe persino avere un senso. In certe regioni del sud, perlomeno (e infatti la scelta del primo giorno è, e dovrebbe restare, di competenza regionale). Purché non si rinunci a quei 200 giorni di scuola che sono previsti dalla legge italiana, ancor prima che dalle indicazioni europee. Ma un calendario di 200 giorni, dal primo ottobre alla prima metà di giugno, è plausibile? Qualche giorno fa Salvo Intravaia sulla Repubblica ha provato a simularlo, concludendo che sarebbe praticabile soltanto negli anni con pochi “ponti”. Sono questi ultimi, croce e delizia degli operatori scolastici, a creare le maggiori difficoltà: soprattutto in primavera, quando la doppietta 25 aprile – primo maggio può, a seconda degli anni, tenere chiuse le scuole anche per una settimana in più. Il problema dei ponti primaverili è che anche rinunciandovi sulla carta, si rischia di tenere aperte le scuole per metà degli studenti: uno spreco. Del resto non si può impedire ai genitori che vogliono approfittare dei ponti per una gita al mare di giustificare quattro o cinque giorni di assenza dei loro figli. E allora che si fa? Io ho una teoria.

Si potrebbe abolire la Pasqua – non la festa, per carità. Ma quella cade sempre di domenica, non dà nessun problema. Non abolirei nemmeno la pasquetta, in fondo è soltanto un lunedì, non rischia di trasformarsi in un ponte “lungo” come le feste nazionali che cadono il martedì o il giovedì. Eliminerei però tutti i giorni precedenti o successivi: le vacanze di Pasqua, che ogni anno cadono in un momento diverso e rendono anche più complicata la programmazione. In cambio istituirei, come in altri Paesi europei, una settimana di vacanze di Primavera. Mi si dirà: ma cosa cambia? Poco, eppure quel poco sarebbe abbastanza, perché a differenza delle vacanze di Pasqua, quelle di Primavera avrebbero una posizione fissa sul calendario: dal 25 aprile al primo maggio. Sette giorni, tra i quali senz'altro una domenica. È chiaro che in questo modo molti festeggeranno le due feste nazionali in coda in autostrada, ma questo in fondo accade già. In compenso il calendario diventerebbe meno ballerino, senza feste mobili e ponti lasciati alla discrezione delle scuole o dei genitori. A quel punto probabilmente le regioni che ritenessero preferibile cominciare in ottobre avrebbero i numeri per farlo: ovviamente dovrebbero stringere un po' le vacanze di Natale, e forse rinunciare alle feste dei Santi patroni, ma non si può aver tutto.

Si tratta di una proposta così minimalista (in fondo basta spostare qualche giorno di vacanza) che mi chiedo perché non sia già stata avanzata e messa in pratica. Temo che si tratti di una questione di quelle spinose, impigliate nell'inestricabile roveto dei rapporti tra Stato e Chiesa. La Pasqua è la festa più cara ai cattolici praticanti, e meno sentita da tutti gli altri. Toglierle la sua settimana di ferie sembrerà a qualcuno l'ennesimo complotto laicista ai danni delle radici cristiane e blablabla. In realtà si tratta di prendere atto di un problema: le vacanze pasquali sono un po' scomode. Tant'è che si fanno solo a scuola: chi lavora di solito sta a casa soltanto per pasquetta, e negli altri giorni ha il problema di dove piazzare i bambini. Nessuno vieta ai cristiani praticanti di vivere la loro Pasqua nel modo più santo possibile, ma i non praticanti sono la maggioranza (per tacere di musulmani, atei, buddisti), e di cinque giorni di vacanza a fine marzo o inizio aprile, certi anni, non sanno proprio cosa farsene.

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