SCUOLA
Il tema? Scrivere per interrogare Mauro Grimoldi, il Sussidiario 18.5.2010 Una volta, all’esame, c’era il tema, e solo lui. Oggi, circondati, sopraffatti quasi, da analisi del testo, saggi (però) brevi e/o articoli di giornale, rimangono il tema storico, triste e abbandonato come l’ultimo giapponese nella giungla, e il tema di ordine generale, volgarmente noto come tema di attualità, tanto seducente quanto infido; come una ragazza che si lascia facilmente abbordare e poi si prende gioco della scarsa virilità del partner. Mah! È cambiato tutto, ma, come vedremo, forse, e per fortuna, non è cambiato niente, come diceva il nipote Tancredi allo zio Gattopardo (romanzo da leggere assolutamente, magari al posto di queste righe, da ogni ragazzo che si appresti a salutare per sempre la scuola superiore). Qui però, per il momento almeno, non si parlerà delle varie tipologie della prima prova d’esame. Si parlerà, generaliter, dello scritto. Scrivere, dunque: insieme a tradurre l’atto più intero, compiuto e difficile in cui si prova a esprimere organicamente e persuasivamente il proprio pensiero sulle cose, il documento che può attestare la maturità critica di una personalità alle prese con i fatti della vita e del mondo. Difficile, scrivere, perché si tratta di un azione esigente, che inizia molto prima del momento in cui si prende in mano la penna o ci si siede davanti al quadrato bianco e luminoso d’uno schermo. Come Rocky Balboa cominciava il suo combattimento contro Apollo Creed nelle gelide mattine di Philadelphia prendendo a pugni i quarti di bue e correndo sui settantadue scalini dell’Art Museum, così si comincia a scrivere mentre si vede un film, si legge un libro, si guarda il telegiornale, si ascolta la musica, si prepara da mangiare; mentre, cioè, si fa qualunque cosa e ci si domanda “Cos’è?”; “In che modo ha a che fare con me?”; “Cosa contiene di così prezioso per la vita che meriti da essere tenuto ben vivo nella memoria?”. Si comincia a scrivere quando si comincia a coltivare l’abitudine di criticare, vagliare le cose, giudicare. Non è detto che chi si abitua a giudicare diventi per ciò stesso un grande scrittore, ma certamente è difficile che chi non giudica impari a passare per la cruna del foglio bianco, come il celebre cammello. In altre parole, un ragazzo comincia a vestirsi bene e a preoccuparsi dell’igiene personale quando si innamora della ragazza che sta due file più avanti e, se deve scriverle il suo amore, lascia perdere i grugniti consonantici degli sms, pende la penna e si sorprende a valutare le parole, le virgole, gli aggettivi. Scopre insomma che la forma è sostanza. Se non si giudica si copia dai giornali, dalla televisione, dalla pubblicità; si usano le parole degli altri, soprattutto di quelli che gridano di più; e si finisce per usare male anche quelle. Chi giudica interroga le cose e, di conseguenza, le persone; interroga gli insegnanti affinché insegnino e, se non ottiene risposte convincenti, cerca altri interlocutori, discute con gli amici. Magari finisce per scoprire che ci sono insegnanti che insegnano, adulti che fanno gli uomini, amici che sono più amici di altri. Tutta questa ricchezza serve per scrivere. Chi ha già cominciato parte con un vantaggio. Chi no, può prendere l’occasione dell’esame per provare a farlo. In fondo l’esame, più che una fine è un inizio.
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