UNIVERSITA'
Antiseri: perché la riforma intervista di Federico Ferraù a Dario Antiseri, il Sussidiario 11.5.2010
«La riforma Gelmini dell’università?
Valutazione, finanziamento in base alla valutazione e lista aperta
sono punti molto validi. Il resto è da cancellare». A dirlo è Dario
Antiseri, filosofo, al quale ilsussidiario.net ha chiesto un parere
su come potrebbe e dovrebbe cambiare il disegno di riforma.
Il progetto del ministro Gelmini ha
dei punti molto validi ma anche dei punti deleteri. Tra i primi c’è
senz’altro l’idea dell’introduzione di una valutazione periodica
della ricerca e della didattica, e l’Anvur (Agenzia nazionale di
valutazione del sistema universitario, ndr) più assolvere bene
questo compito. Soprattutto la valutazione della didattica è un
punto delicato.
Perché altrimenti si rischia di
trascinare l’intero sistema in un nefasto gioco al ribasso. Evitando
quello che si faceva fino a poco fa, cioè assumere che quanti più
ragazzi si laureano con voti alti in breve tempo, allora
l’università va bene. Non si fa così. Invece il ministero o l’ente
di valutazione devono saper dire qual è stata la sorte lavorativa
dei ragazzi che sono usciti da quell’università, facoltà o corso.
È fondamentale, perché solo la
competizione può guarire i mali del nostro sistema. La sua premessa
sta però nel sistema di valutazione: solo valutando ricerca e
didattica e dando premi e sanzioni si mette l’università in grado di
funzionare a dovere e di produrre eccellenza.
La lista aperta per il reclutamento
dei docenti universitari. Supponiamo che su 100 fisici ce ne siano
12 che hanno all’attivo pubblicazioni di rilievo e siano ritenuti
idonei ad entrare in prima fascia. La comunità scientifica li
valuta, e le facoltà chiamano quelli che reputano più idonei a
rientrare nel loro organico e a far parte dei loro progetti. Non
riesco francamente a vedere obiezioni possibili.
Il progetto iniziale, che almeno il 40
per cento del Cda sia composto da membri esterni all’università è a
dir poco dannoso. È intervenuto persino Mario Draghi chiedendo al
ministro Gelmini che i membri esterni siano addirittura la
maggioranza. Ma questi membri esterni chi sono, chi li nomina?
Accadrebbe puntualmente così.
L’imprenditoria vuole entrare nell’università? Benissimo, ci metta i
soldi. Il ddl dice che il Cda determina gli indirizzi strategici
dell’università, per esempio decidendo di aprire o chiudere corsi. I
membri esterni si ritroverebbero un potere enorme ma senza
responsabilità. Ci sono sanzioni per i consiglieri di
amministrazione che prendono decisioni nefaste? Non mi risulta, né
mi risulta che debbano mettere un euro.
No. Difendo i giovani e il loro
diritto di imparare da astuti irresponsabili, politici bolliti,
imprenditori arroganti, tutti candidati a mettere le grinfie
sull’università e a rovinarla, se esclusi da un sistema
sanzionatorio e di controllo. Non si può parlare di autonomia e far
venire da fuori il 40 per cento dei membri del Cda. Ma perché membri
esterni? Per garantire il nesso con il mondo produttivo? Ad
assicurarlo è la qualità della ricerca e della didattica, che si
ottiene con la valutazione.
Introduciamo la valutazione e il
principio che i finanziamenti sono dati in base alla valutazione
nella ricerca e nella didattica: a questo punto le università
facciano gli statuti che vogliono e mettano dentro chi vogliono.
Tanto saranno valutate, e se fanno male verranno chiuse. In più si
introduca un sistema sanzionatorio per chi sbaglia: metter dentro
chi non paga senza responsabilità è il principio più illiberale che
esista.
C’è il problema dei ricercatori. Sono
26 mila persone che nella quasi totalità tengono corsi fondamentali,
presiedono esami, vanno in seduta di laurea. Di essi non si parla.
Se questi dovessero decidere domani di non fare più didattica, la
nostra università andrebbe al collasso. Poiché per i nuovi
ricercatori è prevista la lista aperta e la chiamata diretta una
volta ottenuta l’idoneità, perché questo non deve valere per quelli
che sono già dentro l’università?
Al contrario, sto solo dicendo che
l’idea di svendere l’università agli esterni è la più grossa
stupidaggine che si possa fare. Ho difeso l’imprenditore quando
molti di coloro che oggi fanno i liberali, ieri facevano i comunisti
e gli statalisti. L’imprenditore è un uomo che rischia, che crea
posti di lavoro e dunque è a pieno titolo un artefice di pubblico
benessere. Ma faccia l’imprenditore. D’altra parte gli imprenditori
e Confindustria possono aiutare l’università in molti modi.
Se agli industriali servono certi
risultati, vadano nelle università che fanno ricerca applicata,
paghino e diano contributi per sviluppare i progetti che li
interessano. In modo che il potere decisionale che hanno corrisponda
agli investimenti che vi fanno. Invece l’impressione è che da noi si
voglia fare come fanno gli americani senza essere americani.
Sono convinto che per l’industria sia
molto più importante la ricerca pura, o di base. Ricordiamoci che
«nulla è più pratico di una buona teoria». Come diceva John Dewey,
non ci si guadagna molto a tenere il proprio pensiero legato al palo
con una catena troppo stretta». Il Giappone ha investito moltissimo
nella ricerca pura. La ricerca applicata ha successo nel breve
periodo, ma sul lungo termine investire in ricerca pura - senza
dimenticare la prima - è molto più lungimirante. Puntare tutto sulla
ricerca applicata espone poi le nostre facoltà umanistiche, che
rappresentano una ricchezza immensa e la coscienza critica del
paese, alla morte per inedia. Le loro riflessioni non hanno minimamente toccato il problema della governance. Chiedono un po’ più di potere per sé, loro che sono i primi corresponsabili dei malanni dell’università italiana, loro che hanno permesso l’aumento incontrollato dei corsi di comunicazione per aver più tasse, loro che hanno permesso l’apertura di una valanga di università periferiche, senza biblioteche e senza laboratori. Siamo di fronte ad una fase cruciale e la riforma deve segnare una svolta. Per ora è buona nei tre punti che le ho detto: valutazione, finanziamento in base alla valutazione, lista aperta. Il resto è da cancellare. Mi permetta anzi - se vuole - di aggiungere un ultimo elemento, che manca: l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
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