Università e reclutamento dei ricercatori:
incentivi, disincentivi e sanzioni
di Gabriele Santoro
Il Messaggero,
24.7.2010
ROMA (24 luglio) - Prosegue nelle molte
difficoltà del momento il percorso di analisi e integrazione della
proposta di riforma del metodo di reclutamento dei ricercatori nelle
università italiane. Qualche mese fa il gruppo di lavoro formato da
Fulvio Cammarano, direttore del
Dipartimento di
Politica, Istituzioni e storia dell'università di Bologna, dagli
assegnisti Lorenzo Fioramonti e Gigi Roggero, da Paolo Gheda
ricercatore all'Università della Valle D'Aosta,
ha gettato il sasso nello stagno di un sistema restio a
riformarsi: i membri delle commissioni concorsuali devono assumere
l'onore e l'onere della scelta del reclutato, rispondendone in un
quadro di incentivi o disincentivi a seconda dei risultati prodotti.
Fulvio Cammarano spiega così questo
tentativo di costruire un sistema più trasparente e soprattutto
competitivo: «La questione del reclutamento è uno dei
temi più sensibili per il mondo accademico. Per sconfiggere i canoni
delle selezioni di candidati di basso profilo vanno non solo
scardinati accordi preventivi ma responsabilizzate in solido le
commissioni che non dovrebbero più, come in passato, lavarsene le
mani dell'esito del concorso una volta terminato. Il prescelto
dovrebbe invece essere monitorato nel tempo e in base ai suoi
risultati scientifici determinare premi o decurtazioni sui fondi di
ricerca di tutti coloro che hanno contribuito alla selezione, oltre
che sul dipartimento che ha chiamato il vincitore. Per ottenere dei
risultati potrebbe essere opportuno far leva sull'interesse del
reclutatore, uscendo dall'attuale infruttuoso appello all'etica e a
un principio astratto di correttezza. In sintesi questa ipotesi
immagina che la virtù possa realizzarsi tramite l'interesse».
In una tavola rotonda tra addetti ai lavori
tenutasi
all'Istituto Luigi Sturzo sono stati approfonditi gli aspetti
positivi e quelli da perfezionare per poi giungere a una
formulazione pre-normativa. Al centro degli interventi ci sono stati
i sistemi di incentivazione per il reclutamento, la natura
individuale e collettiva della responsabilità dei reclutatori, la
questione della valutazione, l'allocazione dei fondi, la
composizione delle commissioni. Tra settembre e ottobre è previsto
un seminario tecnico in cui approdare a un testo organico.
Nella generale approvazione del progetto
è emersa la valutazione del contesto critico in cui versa la
ricerca italiana e quindi le concrete possibilità d’attuazione della
proposta. A esempio dove trovare i fondi a fronte dei pochi
disponibili per la creazione di un sistema virtuoso di incentivi?
Come superare l'antropologica tentazione di favorire un ricercatore
indicato da un collega prossimo? Come inquadrare la riforma
nell’attuale sistema con pochi e disorganici concorsi? Lo stesso
accesso ai concorsi si trasforma in uno slalom tra moduli talvolta
difficili da decifrare, bolli e burocrazia che scoraggia anche la
volontà di provarci. Al momento la mobilità interuniversitaria è
bloccata da ragioni di budget: un ricercatore o docente interno
costa sempre di meno. Il tutto nell'attesa della fine dell'iter
parlamentare del Ddl Gelmini e una legge finanziaria che prevede un
ulteriore dimagrimento del bilancio della ricerca.
«I principi della proposta sono totalmente
condivisibili - ha sottolineato Massimo Egidi, rettore
dell'Università Luiss
- Bisogna mettersi alle spalle la stagione dei concorsi affidati
all'etica dei commissari. Serve un meccanismo di incentivo forte per
uscire dal vecchio sistema. Sarebbe necessaria l'istituzione di un
albo dei valutatori in cui corrispondere a criteri precisi. Per
quanto riguarda la formazione delle commissioni dovrebbero essere
culturalmente composite e valutare blocchi ampi di candidati». Con
l’introduzione del sistema degli incentivi corre il parallelo con
gli States. «Negli Stati Uniti c'è un forte spinta alla scelta dei
migliori - ha spiegato Giacinto Della Cananea,
Università Federico
II di Napoli - perché portano fondi al dipartimento di
appartenenza. Nell'ambito di questa proposta andrebbe valorizzata
anche la sanzione morale, attraverso la diffusione delle
informazioni sulle sedi e sui docenti protagonisti di reclutamenti
“sbagliati” mentre occorre cautela nelle sanzioni pecuniarie con il
rischio di innumerevoli ricorsi alle autorità competenti. Occorre
comunque puntare maggiormente sull'aspetto premiale».
Francesco Sylos Labini, fisico ricercatore
al Cnr e autore con Stefano Zapperi dell’interessante libro “I
ricercatori non crescono sugli alberi” (Laterza), disegna un
panorama a tinte fosche: «In Italia in questo ambito partiamo da
zero o quasi. Nei concorsi tutto è lasciato alla “coscienza” dei
commissari. Senza l’introduzione di meccanismi del genere è
difficile cambiare delle dinamiche perverse consolidate negli scorsi
decenni. In Italia, la percentuale dei fondi assegnata su base
competitiva è dell’1% dell’intero stanziamento statale per
l’istruzione superiore, mentre i fondi privati sono quasi a zero.
Gli incentivi o i disincentivi sono dunque quasi assenti in una
situazione in cui la gran parte dello stanziamento per l’università
va in stipendi. Inoltre, in Italia, non c’è nessun meccanismo di
valutazione indipendente, e nessun tipo di monitoraggio su scala
nazionale della qualità dei docenti e dei ricercatori». Allora come
evidenzia Labini si dovrebbe partire dalle cose semplici: «Concorsi
che si tengano con scadenza regolare, bandi comprensibili anche ad
uno straniero (ma anche a un italiano!), assenza di bolli e timbri
che non garantiscono nessuno e scoraggiano i candidati bravi, bandi
con profili abbastanza ampi».