I veri problemi della scuola italiana
di Lucio Garofalo
il mascalzone, 27.6.2010
Negli ultimi 16 anni i ministri che si sono avvicendati alla guida del
dicastero della Pubblica Istruzione, hanno provveduto solo a varare
la propria “riforma” per lasciare un segno, inevitabilmente
infausto, nella storia. L’istruzione è ormai una cavia
istituzionale, esposta agli azzardati e scellerati esperimenti
“riformistici” che si sono rivelati semplicemente devastanti. Questi
esponenti di governo hanno scambiato lo Stato per un’impresa privata
e l’hanno ridotto a brandelli. Su tutti il ministro Mariastella
Gelmini, un vero e proprio flagello della cultura che ha oltraggiato
profondamente la scuola. Un’istituzione che era il vanto della
nazione, con una scuola materna e una scuola elementare giudicate
tra le migliori realtà pedagogiche del mondo. E’ evidente che gli
ideologi del centro-destra sanno bene che il ruolo della scuola è di
natura formativa ed “eversiva”, in quanto ha il compito di forgiare
personalità libere e critiche.
I ministri maggiormente affiatati all’interno del governo sono
Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Entrambi sono accomunati da
due carriere politiche parallele e persino due vite parallele.
Entrambi stanno portando avanti due ”controriforme” invise al mondo
della cultura e a settori della società civile. Ambedue affrontano
il loro incarico come una dura battaglia contro le resistenze
opposte da un sistema che non accetta di essere trasformato.
Inoltre, entrambi hanno vissuto esperienze personali e professionali
spiacevoli e mortificanti, prima di intraprendere l’attività
politica e diventare ministri.
Prendiamo in considerazione Brunetta, che si erge a paladino di una
“crociata antifannulloni”. Costui appartiene all’aristocrazia dei
professori, all’elite dei docenti che guadagnano troppo e, almeno in
molti casi, lavorano poco, se non nulla. Lo stesso Brunetta venne a
suo tempo censurato per assenteismo dal Rettore dell’Università dove
(non) lavorava. Inoltre, Brunetta era un primatista dell’assenteismo
anche nel Parlamento Europeo. Insomma, il classico ministro che
predica male e razzola peggio.
Per quanto concerne il “Decreto Gelmini”, questo ha imposto una
“controriforma” con decisione unilaterale, senza confronto con i
sindacati e le varie componenti del mondo della scuola, senza
consultare nemmeno il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione,
senza alcuna riflessione di natura giuridica e tantomeno pedagogica.
Sul piano occupazionale le conseguenze sono state subito devastanti
e si prospetta nei prossimi anni una vera macelleria sociale. Nel
complesso si calcola che il taglio di insegnanti solo nella scuola
elementare, per effetto della restaurazione a pieno regime del
maestro unico, ammonterebbe ad oltre 80mila posti e saranno i
precari ad essere massacrati.
Pertanto, il governo Berlusconi persegue un ritorno al passato che gli
permetta di fare cassa, riscuotendo nuovi introiti a scapito della
malconcia scuola pubblica, mentre le risorse finanziarie sono
dirottate altrove. Scimmiottando con 30 anni di ritardo il modello
anglo-americano, cioè la politica neoliberista che ha ispirato le
amministrazioni ultraconservatrici della Thatcher in Gran Bretagna e
Reagan negli USA, il piano del governo è di subordinare la scuola al
servizio del capitale e del mercato del lavoro. La conseguenza
finale sarà lo smantellamento della scuola pubblica, per concedere
una formazione d’eccellenza ad una platea elitaria e procurare una
manodopera crescente a basso costo proveniente dalle scuole
pubbliche, riservate alle masse operaie e popolari.
E’ questo il modello, miserabile e classista, che ispira la
politica, non solo scolastica, del governo Berlusconi, che offende
l’istruzione nel nostro paese. Una scuola-parcheggio per “bulli” e
piccoli “gangster”, dove i docenti sono, nella migliore delle
ipotesi, addestratori degli studenti per aiutarli a superare i quiz
a risposta multipla (si pensi, ad esempio, alle cosiddette “prove
Invalsi”), soggetti alle valutazioni internazionali. Una scuola
sempre più omologante e passivizzante, simile ad una sorta di
supermercato dell’offerta educativa, sempre meno comunità educante e
democratica. Una scuola che è la negazione della cultura e che, in
pratica, produce solo saperi-merci “usa e getta”.
Si ciancia tanto dei problemi della scuola italiana, ma chi è
deputato a risolverli non si adopera affatto in tal senso. In
politica ogni soluzione non può essere efficace se non è anche
giusta e tempestiva. Il decisionismo e l’efficientismo devono essere
calibrati mediante criteri di equità sociale, altrimenti rischiano
di essere deleteri. Dunque, vediamo quali sono alcuni dei problemi
concreti, ancora irrisolti, della scuola italiana.
Il principale problema della scuola odierna è costituito dalla
svalutazione della professionalità degli insegnanti, dallo stato di
avvilimento e frustrazione che li attanaglia. Occorre rilanciare in
modo concreto la professionalità didattica, rivalutando anzitutto la
posizione economica degli insegnanti italiani, che risultano i più
sottopagati d’Europa. Per innescare un meccanismo virtuoso occorre
rendere appetibile la professione educativa e docente, così da
creare le condizioni per indurre le persone più valide e preparate
ad aspirare ad un lavoro ben remunerato e molto più apprezzato
rispetto al presente. Il recupero del potere d’acquisto condurrà ad
un incremento proporzionale del prestigio sociale e favorirà un
crescente rendimento qualitativo dei docenti. A beneficiarne saranno
anzitutto gli studenti. Questo, in sintesi, è il circolo virtuoso
che occorre innescare prima di ogni altra cosa per resuscitare la
scuola italiana.
Un altro problema serio è quello delle “attività aggiuntive” non
obbligatorie, vale a dire i progetti extra-curricolari. Nel campo
della didattica i criteri di quantità e qualità sono sovente
incompatibili tra loro in quanto si escludono a vicenda. In genere
la quantità “industriale” rischia di inficiare la qualità di un
progetto, a maggior ragione laddove i progetti sono prodotti in
serie. In tal modo le singole istituzioni scolastiche rischiano di
diventare vere e proprie “fabbriche di progetti”, cioè “progettifici
scolastici”.
Personalmente non sono contro i “progettifici” per rivendicazioni
astratte e ideologiche, ma per ragioni legate alla mia esperienza
concreta. Nulla mi impedirebbe di essere a favore dei progetti di
qualità, purché siano attuati seriamente, ma nel contempo sono
cosciente che i casi virtuosi sono eccezioni assai rare. Di norma i
“progettifici scolastici” si caratterizzano in modo gretto e
negativo per una scarsa creatività e trasparenza, per
l’inadeguatezza degli interventi, per una debole rispondenza ai
reali bisogni formativi, culturali e sociali degli allievi, mentre
obbediscono solo ad una logica affaristica e aziendalistica. Per non
parlare dei continui strappi alle regole, delle reiterate violazioni
di norme e diritti sanciti dalla legge, delle frequenti scorrettezze
e furbizie commesse all’interno delle singole scuole, derivanti da
invidie, ambizioni e rivalità individualistiche, contenute in un
contesto di direzione autoritaria e verticistica o, in alcuni casi,
di “leadership” pateticamente e falsamente illuminata e
paternalistica.
Veniamo, inoltre, alla questione della trasparenza e al tema della
democrazia collegiale che ormai versa in uno stato decadente. Dal
varo dei Decreti Delegati che nel 1974 istituirono forme e strumenti
di democrazia diretta nella scuola, la partecipazione agli organi
collegiali si è progressivamente deteriorata. Oggi il potere
all’interno degli organi collegiali esclude la massa delle famiglie,
degli studenti, del personale docente e non. In pratica l’esercizio
del potere decisionale nelle singole scuole è riservato ad una
cerchia oligarchica formata dal Dirigente scolastico e dai suoi più
stretti collaboratori.
Esaminiamo il caso emblematico di un organo come il Collegio dei
docenti. Un tempo questo era la sede deputata a discutere gli
argomenti più nobili ed elevati, tematiche psico-pedagogiche e
culturali, per cui gli insegnanti, specie i più aperti, coscienti e
motivati, avevano modo di confrontarsi e maturare sotto il profilo
intellettuale e professionale. Oggi i Collegi dei docenti sono
ridotti a centri di mera ratifica formale delle decisioni assunte
dai dirigenti. Tale avallo avviene generalmente tramite procedure
esautoranti, che umiliano la dignità e la sovranità dei Collegi
stessi. Questi sono diventati il luogo più alienante e passivizzante
in cui si dibatte di questioni esclusivamente finanziarie, senza la
dovuta trasparenza, senza fornire le informazioni concernenti il
budget effettivo di spesa. Insomma, i Collegi dei docenti approvano
senza neanche conoscere fino in fondo l’oggetto reale previsto
all’ordine del giorno, cioè i finanziamenti, talvolta cospicui, che
vanno a beneficio di una minoranza di colleghi, coincidente con la
cerchia ristretta formata dal cosiddetto “staff dirigenziale”.
Questo processo di logoramento della democrazia partecipativa, della
trasparenza e dell’agibilità democratica e sindacale, degli spazi di
libertà e legalità nella scuola, è in atto da oltre 15 anni. Tale
involuzione in senso autoritario è dovuta ai colpi letali inferti
dai governi di centro-sinistra e di centro-destra. Nella fattispecie
particolare, le principali responsabilità politiche di tale declino
sono da rinvenire in un momento storico-legislativo assai
importante: l’istituzione della legge sull’“autonomia scolastica”.
La mera formulazione giuridica dell’”autonomia” non ha stimolato le
scuole ad esercitare un ruolo di traino e promozione culturale
rispetto al contesto di appartenenza. In molti casi, le istituzioni
scolastiche hanno assunto una posizione subalterna ai centri di
potere vigenti nelle realtà locali. A ciò si aggiunga un crescente
imbarbarimento dei rapporti tra i lavoratori della scuola, in quanto
questa è divenuta il teatrino di laceranti conflittualità, sorte in
molti casi in un clima di debole e sciocco paternalismo. Questi
fenomeni alienanti e disgreganti sono un corollario
dell’”autonomia”, nella misura in cui tale normativa non ha favorito
un assetto equo ed efficiente, generando soprattutto confusione,
contrasti, assenza di certezze, violazione di regole e diritti,
incentivando comportamenti furbeschi, spregiudicati ed arroganti,
esasperando uno spirito di cinismo, arrivismo e un’accesa
competizione per scopi prettamente venali e carrieristici.