Venduti

Giuditta Il Messaggero, 1.6.2010

Così, senza neanche una parola su un decreto che schiaccia seicento precari così, come fossero il nulla, il niente. Forse lo siamo. In catene, come moderni schiavi contornati da finte finestre di libertà. La libertà è, anche, poter scegliere di sposarsi, avere dei figli, una casa, un affitto, un mutuo, una rata, una vita normale: tutto questo a un precario è negato. La libertà è, anche, poter credere nel lavoro che ogni giorno ci fa membri di una comunità civile.

Anche questo a un precario è negato: elemosina il suo rinnovo rimandando a domani quello che non sarà mai nelle sue mani, fino al giorno in cui l'impensabile accade e quel rinnovo scompare dietro una manciata di uomini grigi. Forse il problema è proprio questo: la coscienza di questo lavoro, il sapere che è nostro, ci appartiene anche se siamo relegati a una formula contrattuale che dice "collaboratori". Metterci dentro qualcosa di più che un cartellino, io credo. Qualcosa di più che un foglio firme.

L'Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro, l'ISPESL è soppresso. Il decreto è schiacciante sulla Gazzetta e un link che ci condannano. Sta succedendo proprio a noi. Che ci passiamo accanto tra i corridoi senza conoscerci, che ci sfioriamo in assemblea tentando di mettere a fuoco decine di facce senza nome. Sta succedendo proprio a noi. In catene, ricattabili, nell'eterna indecisione che ci arrovella quotidianamente tra quanto una nostra parola, un nostro gesto, possa pesare sul nostro destino e anche questa è un'illusione.

Venduti, così, tra appelli senza risposta, giornali che volgono la testa altrove, media che ci ignorano. Venduti nel silenzio di una società che non ci dà nulla, e nella quale non ci mettiamo in condizione di dare nulla. La colpa è nostra, prima di tutto. La colpa è del silenzio dentro, prima che fuori. Ispra è una storia, noi siamo un'altra storia. E dovremmo avere la NOSTRA voce e la NOSTRA leggenda da raccontare.

Sono stanca di adeguarmi al mal comune: non è mezzo gaudio. Stasera è il vuoto, il baratro, che stavolta, precari, sull'orlo di quella paura che si chiama "domani" per la prima volta diventa "oggi". Domani è arrivato e non è un altro giorno. E non sappiamo cosa farci.