GRUPPO DI FIRENZE

per la scuola del merito e della responsabilità

Bontà e giustizia nella scuola degli "aiutini"

dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità,
25.6.2010.

Un criterio-guida per comprendere e contrastare la tendenza di una parte dei colleghi a “soccorrere” indebitamente i propri studenti potrebbe essere così enunciato: dobbiamo deciderci a impedire alla bontà di occupare abusivamente il territorio della giustizia. Di più: dobbiamo metterci bene in testa che la giustizia è una forma elevata di bontà, in quanto rivolta indistintamente a tutti e non solo a uno o a pochi individui, quelli che conosciamo personalmente e magari amiamo. Scrivono Veca e Alberoni (L’altruismo e la morale, p.8): in Italia “la bontà morale è identificata con lo slancio, con l’atto d’amore, con la dedizione verso qualcuno in concreto. Ad un italiano non viene in mente che sia buono chi fa uno studio accurato dei bisogni degli altri, di tutti gli altri. Non gli viene in mente, pensando alla bontà, lo studio razionale dei mezzi. In quanto fondata sull’impulso, la morale italiana è particolaristica. Si rivolge a questo, poi a quello, poi a quell’altro. Non riesce a porsi il problema di rivolgersi a tutti o a ‘chiunque’. Per gli italiani dovrebbe essere lo Stato, o l’amministrazione pubblica, a pensare a 'tutti'. Nessuno, però, singolarmente preso, si sente coinvolto in tale problema”.

Per lo stesso motivo molti insegnanti si sentono buoni perché aiutano i ragazzi in un momento difficile (cioè l’esame); e non gli viene in mente che stanno causando un triplice danno: privano i loro allievi della possibilità di mettersi alla prova, come richiede il loro processo di crescita; li educano alla slealtà; commettono un’ingiustizia verso chi si è basato soltanto sulle proprie forze. Guardando ai risultati, quindi, e non al vissuto soggettivo, questi colleghi sono piuttosto cattivi che buoni.

Questa consapevolezza morale è fondamentale, perché nutre la forza psicologica necessaria per assumere il ruolo imparziale di chi controlla che siano rispettate le regole e all’occorrenza è disposto a punire chi le viola. Il fatto che questo richieda di trattenere impulsi affettivi di carattere “materno” a favore di comportamenti improntati a un “paterno” senso della giustizia può farci percepire come “senza cuore”; ma in questa fermezza c’è, in realtà, un “voler bene” molto più vero e lungimirante.