Pochi soldi e la scuola fa la colletta, Ilaria Ricci Il Messaggero, 9.6.2010 ROMA - C’era una volta il rotolo di carta igienica. Al massimo, fino a qualche anno fa, le richieste delle scuole alle famiglie si limitavano a questo: «Portate qualche rotolo, che nei bagni non ce ne sono abbastanza». Poi la musica è cambiata: i fondi statali sono diminuiti e le scuole per pagare supplenti, commissari d’esame, spese ordinarie e le pulizie, si sono arrabattate, hanno usato i fondi che avevano in cassa fino a consumarli tutti, in alcuni casi. Convinti che i soldi sarebbero tornati alla base alcuni presidi, forse, sono stati pure di manica larga con le supplenze. Ma poi il giocattolo si è rotto. Lo Stato ha cominciato a mandare ancora meno soldi, i crediti che le scuole vantano nei confronti del ministero sono rimasti inevasi, tanto che oggi ammontano ad un miliardo, e nel gioco delle parti tra chi non paga e chi, forse, non ha saputo gestire sempre bene le proprie casse sono state le famiglie ad avere la peggio. Da qualche tempo, infatti, le spese correnti si pagano sempre più spesso con i soldi dei genitori. Lo dimostra la lievitazione costante dei cosiddetti contributi volontari, quelli che mamme e papà versano all’atto di iscrizione. Non la tassa scolastica, ma un piccolo sostegno alle scuole. Sostegno che è passato da poche decine di euro ai 150-200 che si arrivano a spendere in alcuni istituti superiori. L’elenco di ciò che si paga con i soldi delle famiglie è lunghissimo: materiale didattico, fotocopie, pagelle, toner per le stampanti, le stesse stampanti, strumenti per i laboratori (quando non gli interi laboratori). Con i tagli al tempo pieno non sembra lontana neanche l’ipotesi di una scuola ibrida frutto della crisi, la scuola statal-privata: a Catania i genitori dei 78 alunni delle tre prime elementari della scuola Parini hanno tutti presentato domanda per il tempo pieno, ma solo 25 bimbi hanno avuto ciò che volevano. Gli altri sono rimasti fuori (in Italia si parla di oltre 150mila ragazzini) e ora le famiglie, che non possono rinunciare al lavoro, si dicono disposte a pagare per avere il servizio e per poterlo avere nella scuola pubblica, senza dover ricorrere alle private. Il preside, Giuseppe Adernò, ha già fatto i conti di quanto tutto questo potrebbe costare ai genitori. «Verrebbero 150 euro al mese ad alunno - spiega - 70 euro per il servizio mensa e 80 euro per pagare l’insegnante. Sembra proprio strano che con tanti docenti di ruolo che risultano soprannumerari in diverse scuole, e, quindi, dovranno essere pagati lo stesso per supplenze o altro, non si possa o non si voglia garantire un servizio scolastico organico e strutturato nella progettazione didattica delle quaranta ore del tempo pieno». Qualche mese fa ha fatto scalpore la vicenda di una scuola di Casazza, a Bergamo, che ha organizzato una lotteria per poter racimolare soldi e rimpinguare le proprie casse. C’è anche chi si rivolge agli sponsor. «Negli ultimi anni - spiega Mario Rusconi, dirigente del liceo Newton di Roma e vice presidente dell’Associazione nazionale presidi - abbiamo avuto dal ministero i soldi per coprire la spesa corrente. Ma per la progettualità non riusciamo a mettere da parte un euro. Anche perché i crediti che abbiamo accumulato tra il 2004 ed il 2006, anticipando i pagamenti di supplenze e commissari d’esame, non sono mai stati saldati. Al Newton, ad esempio, aspettiamo 138mila euro che forse non rivedremo mai. Noi paghiamo molte cose con i soldi delle famiglie - prosegue Rusconi - io, per esempio, ho sovvenzionato il laboratorio di chimica e fisica della succursale». Non solo lamentele, comunque, il preside romano lancia anche una proposta per rimpinguare le casse degli istituti: «L’8 per mille dei fondi recuperati dall’evasione fiscale potrebbero essere utilizzati per questo scopo- dice- Sarebbe un bel segnale: soldi recuperati dall’illegalità utilizzati per le scuole, che la legalità la promuovono». |