Maturità tra frodi e prof compiacenti. Ma c'è chi si ribella
La fabbrica dei diplomi quei 26mila
Davvero tutti uguali? Ma gli istituti privati
sono tutti uguali? Come distinguere Salvo Intravaia e Vera Schiavazzi la Repubblica 25.6.2010
Ventiseimila ragazzi
che non hanno frequentato neppure un giorno di scuola e che in
queste ore si presentano alla maturità: sono i "fantasmi del
diploma", l'esercito dei privatisti, quelli che avendo perso uno,
due o tre anni di scuola (o non essendoci andati del tutto) vengono
comunque sospinti da mamme e papà ad afferrare quel "pezzo di carta"
che consentirà loro di entrare all'università, partecipare ai
concorsi pubblici, candidarsi a qualunque ricerca di personale. E se
per ottenere il diploma studiando regolarmente in un liceo paritario
(che per legge adotta gli stessi programmi e gli stessi orari di uno
statale) si spendono mediamente 22.000 euro per cinque anni di
retta, per candidarsi come privatisti le tariffe possono partire dai
4.000 euro che la Guardia di Finanza di Gela ha appena scoperto
essere il prezzo fissato da dieci "diplomifici" chiusi in Sicilia e
in Calabria, per arrivare ai 10.000 di un anno di preparazione
"personalizzata" concluso con l'esame facile. Studiare in una scuola
privata "seria", come ne esistono centinaia in Italia, o presentarsi
solo al momento dell'esame contribuendo così al business dei
diplomifici sono due cose ben diverse. Non è un caso, del resto, se
i privatisti cercano di scegliersi la scuola (e ci riescono in oltre
il 90 per cento dei casi) dove affronteranno la maturità. Solo
quattro studenti su 100 negli istituti statali si presenta da
esterno, mentre nei privati la percentuale sale all'11 per cento sul
totale dei candidati, con un aumento del 15 per cento rispetto al
2009.
Inchieste e processi
per ora si concentrano soprattutto al Sud. A Palermo, nel 2006,
un'indagine della Procura ha portato alla chiusura di 7 istituti e
all'arresto di 11 persone. La Guardia di Finanza ha scoperto
irregolarità di ogni genere: diplomi autentici consegnati in bianco
dal Ministero e assegnati a studenti bocciati, altri del tutto
"taroccati", destinati a chi non poteva pagare troppo. Quattrocento
i titoli sicuramente falsi venduti agli studenti impreparati e alle
loro famiglie. E in molti casi, all'arrivo della Guardia di Finanza,
gli ex bocciati avevano già trovato lavoro proprio grazie al diploma
fasullo. Introvabili anche i registri di "carico e scarico" sui
quali gli istituti parificati coinvolti nell'inchiesta avrebbero
dovuto annotare i diplomi bianchi giunti da Roma e quelli consegnati
ai promossi. Per evitare questo genere di frode, da quest'anno, il
Miur ha avviato la produzione di nuove pergamene in carta
filigranata, più difficili da falsificare. Più difficili se non
impossibili da prevenire i trucchi a esame in corso, come racconta
A. R., ispettore di un Ufficio scolastico regionale: «Nel corso
dell'anno, si inizia a far comparire come presenti alunni che sono
assenti. La valutazione dipende anche dalla frequenza scolastica e
un ragazzo con troppe assenze, perché magari lavora, non potrebbe
avere i voti che si ritrova a fine anno. Poi, ci sono i compiti in
classe fatti da qualche insegnante compiacente (fino a 25 crediti
scolastici su 100). E i panini con le soluzioni dentro: la mattina
degli scritti alcuni gruppi si organizzano a casa di qualcuno e
aspettano le tracce. Ormai si sa che le tracce dopo qualche ora sono
disponibili, il compito risolto altrove entra col panino di metà
mattinata, specialmente negli istituti dove la prova dura 8 ore».
Il "diploma facile",
però, parte da lontano. All'inizio dell'anno scolastico, e comunque
entro novembre, gli aspiranti privatisti devono presentare domanda
all'Ufficio scolastico provinciale esprimendo fino a tre opzioni
sugli istituti dove vorrebbe sostenere l'esame. In pratica, il
candidato cerca di scegliersi se non una commissione "amica" quanto
meno una non troppo severa. Prendiamo il caso di Torino, una città
dove - fino ad ora - non sono stati scoperti illeciti in questo
campo ma dove cresce di anno in anno la quota di famiglie che
preferisce proteggere i figli nella costosa cornice di un liceo
privato. «Da noi - spiegano gli uffici - si cerca nei limiti del
possibile di accogliere la prima scelta del candidato. Se poi ci
sono troppi studenti che chiedono la stessa scuola, li si chiama e
li si informa che i posti disponibili verranno sorteggiati». Nel
caso del liceo classico (un tipo di diploma poco richiesto dai
privatisti) tutti i candidati finiscono nella stessa scuola, il
paritario "Giusti". Nessuno si sogna di chiedere altri istituti,
anche privati, con fama di severità: «Da noi non capita da almeno
dieci anni - dice ancora Antonello Famà, direttore del "Sociale" -
Non giudico chi non conosco, ma certo qui non regaliamo nulla e i
nostri piani didattici non sono dettati da criteri economici».
Insomma, il vecchio slogan "esami in sede" - per anni al centro
della pubblicità dei privati - funziona ancora. È possibile cambiare
città pur di ottenere il diploma? E alla fine la promozione arriva
davvero? Che differenza c'è tra pubblico, privato e diplomifici?
Viterbo quest'anno
vanta il primato assoluto, col 27,8 per cento di candidati esterni
che si presentano alla maturità, seguita da Livorno e Pescara, che
superano il 24, Chieti e Lecce, oltre il 22, Reggio Calabria e
Siracusa (prima delle indagini che hanno portato alla chiusura di
parecchie scuola) viaggiavano sul 22 per cento, mentre Latina,
Firenze, Teramo, Agrigento e Vibo Valentia si collocano intorno al
20. Dopo essersi visto assegnare la scuola desiderata, il candidato
sostiene in maggio un "pre-esame" con i soli docenti dell'istituto
privato dove poi darà la maturità: naturalmente il servizio ha un
costo (le famose "tasse") e del resto non è particolarmente
selettivo. Lo scopo - oltre a rispettare formalmente la legge - è
quello di riferire alla commissione di maturità "vera", e in parte
composta dagli stessi docenti, se il candidato conosce i programmi
dei cinque anni precedenti. Poi arriva l'esame, come per tutti gli
altri. Che fine fanno i privatisti? Quelli delle statali vengono
decimati (27 bocciati su 100 nel 2008), nelle paritarie se ne
salvano parecchi di più: solo 14 bocciati su cento. E, quando nel
2004 il ministro Letizia Moratti cambiò la commissione della
maturità (con tutti commissari interni e il solo presidente esterno)
le cose andarono a gonfie vele per le paritarie: i 1.242 esterni del
2002 diventarono 12 mila nel 2005, quasi tutti promossi (appena 5
bocciati su 100), nelle statali ne vennero fermati addirittura 22 su
100.
Il modo nel quale si
può influire sui commissari nominati dal ministero, lo si comincia a
scoprire parlando con i giovani insegnanti precari che lavorano
negli istituti privati. Molti si sfogano su appositi blog, gli
stessi sui quali si lamentano gli studenti "truffati" (c'è anche chi
"compra" l'esame ma poi non ottiene il diploma…). «L'ultima volta
che ho fatto questo lavoro - racconta Andrea Pappalettera,
segretario della Cisl scuola di Torino - sono stato l'unico della
mia commissione a non subire pressioni. C'era chi veniva chiamato a
casa, chi raggiunto direttamente sul portone da un collega o da un
papà facoltoso… A me non capitò perché ero noto come sindacalista».
Daniela N., 38 anni, da dieci insegnante di inglese in un
linguistico privato, è più esplicita: «Appena arrivata qui mi hanno
fatto passare la fantasia dicendomi che non dovevo "disturbare" i
ragazzi. I compiti in classe si fanno col libro aperto davanti, le
interrogazioni su un tema a piacere. Spesso i privatisti sono
studenti che già conosciamo e che non hanno frequentato
regolarmente. Il pre-esame è una burla. Quanto ai commissari
esterni, non so e non voglio sapere come vengono incoraggiati a
promuovere chi non se lo merita, certo la scuola non fa mancare loro
nulla…». Perché non si denuncia? «Perché ho bisogno dei 1.000 euro
che mi danno ogni mese, anche se ci trattano come schiavi e, di
fatto, ci ricattano per non farci fare il nostro lavoro». È questo
il business delle scuole private? Può sopravvivere chi esercita la
stessa severità? Che diploma cerca chi non ha studiato?
«Le nostre scuole non
hanno fini di lucro, altre evidentemente sì», chiarisce ancora Macrì
a nome della Fidae. «Per questo, se si guarda ai numeri dal 2002 ad
oggi, si registra una lieve ma costante flessione degli istituti
cattolici: in quell'anno, i finanziamenti pubblici che il nostro
settore riceveva oscillavano intorno ai 565 milioni di euro, da
allora sono costantemente calati». Le sole rette non sono
sufficienti a restare sul mercato, chi non è sostenuto da robuste
convinzioni etiche non può che orientarsi a sfornare diplomi. E da
Macrì arriva anche un'altra ammissione: «Solo il ministro Berlinguer
fece qualcosa per arginare il numero dei privatisti fissando dei
tetti. Ovunque si verificano scorrettezze e anomalie lo Stato
dovrebbe intervenire con estremo rigore, lo abbiamo detto a tutti i
ministri ma non siamo stati ascoltati. A noi i privatisti creano
problemi, li accettiamo solo se ce lo impongono». «I privatisti ritengono che il diploma da dirigente di comunità sia il più facile da ottenere. Inutile spiegare loro che non dovrebbe essere così». Wilma Marchino, a lungo dirigente in un istituto scolastico torinese, oggi sindacalista Cisl, spiega così il numero record di esterni che affollano l'esame per questa maturità "amichevole". «Arrivano da scuole non parificate, e intasano i pochi istituti statali - spiega Marchino - Negli anni scorsi si sono verificate situazioni esplosive, da Mantova a Forlì a Roma, puntualmente denunciate al Ministero, che ha introdotto la clausola dell'obbligo di residenza. Il risultato? I candidati si sono suddivisi un po' in tutta Italia, ma hanno continuato a aumentare, quest'anno solo a Torino ne avremo oltre 300. Oltre il 40 per cento ha una preparazione insufficiente, si tratta perlopiù di dipendenti di amministrazioni locali, di ospedali e della Polizia, che hanno bisogno del titolo per poter accedere ai concorsi. Alcune materie, in particolare quelle scientifiche vengono saltate a piedi pari nella preparazione fornita da molte scuole private, altrettanto spesso i candidati si presentano senza aver fatto neppure un giorno di tirocinio, che invece sarebbe obbligatorio». Nessuna vocazione a lavorare nel welfare, dunque, ma la convinzione che tra le molte scorciatoie sia questa la più facile di tutte. |