Le aberrazioni del pedagogicamente corretto
Giorgio Ragazzini dal
Gruppo di Firenze Nelle scuole dilagano le “griglie”, in genere caratterizzate dalla fatica, dalla noia e dal senso di inutilità che procurano al lettore ragionevole. Ci sono quelle che cercano di stabilire una minuziosa corrispondenza tra mancanze disciplinari e sanzioni (vedi un esempio tra i tanti), in risposta a una nota ministeriale del 2008 che raccomandava “uno sforzo di tipizzazione dei comportamenti generali cui ricollegare le sanzioni”; quelle che illustrano le cosiddette competenze (vedi esempio); quelle (ultime venute) che ci spiegano che cosa significhi avere 10 in una materia, che cosa significhi avere 6, che cosa 5 (esempio 1, esempio 2). Diversi sono i fattori che concorrono alla fortuna delle griglie. Certamente la pigrizia mentale e la rassegnazione che affliggono una buona parte dei docenti di fronte a ciò che arriva dall’alto o viene messo in giro da qualche pedagogista, con il conseguente abbandono di ogni spirito critico; la pavidità di molti dirigenti, timorosi di incorrere in chissà quali censure, quando, oltretutto, è evidente che al momento non si vede purtroppo traccia di una seria valutazione del loro operato. Ma l’incomprensibile prestigio di cui godono le griglie di valutazione deve molto, a mio avviso, a due idee: la ricerca della scientificità (o oggettività) e il dovere della trasparenza (o rendicontazione). In poche parole, ci si illude di poter eliminare ogni traccia di soggettività (sinonimo di arbitrio e di pregiudizio) quando si valuta un compito o l’andamento complessivo di un allievo in storia o in matematica; e si ritiene che si debbano esplicitare fin nei particolari i criteri e le procedure che si adottano nella pratica didattica. E uno degli scopi “sottotraccia” di questa vera e propria ossessione è certamente quello di legare le mani ai docenti, considerati inaffidabili e a volte sadici, mettendoli in condizione di non nuocere. L’insegnante dovrà allora essere avvolto da una nube di imperscrutabilità? Certamente no, ma nelle sue valutazioni, nonostante ogni sforzo, resterà per forza un margine di sensibilità soggettiva, nutrita dall’esperienza e magari dal confronto con i colleghi, ma irriducibile a qualcosa di misurabile scientificamente. Lo dimostrano proprio i confronti fra colleghi che correggano lo stesso tema o lo stesso compito di matematica. E anche gli stessi “test oggettivi” contengono inevitabilmente una componente di scelta, e quindi di arbitrarietà. Si vedano quelli dell’Invalsi a risposta chiusa per l’esame di terza media: perché dovrebbe essere così “oggettivo”, per esempio, assegnare il massimo punteggio (100) a tutti gli allievi che hanno dato da 37 a 40 risposte, quando è evidente che chi non ha fatto errori non può stare allo stesso livello di chi ne ha fatti quattro? Oltretutto, l’esperienza dimostra che questa mania esplicativa crea un circolo vizioso: più i docenti spiegano, più molti studenti e genitori pretendono cavillosamente spiegazioni.
Infine, solo una diffusa
ipocrisia impedisce di ammettere che questi strumenti sono in molti
casi inapplicabili. Nella mia scuola media, ad esempio, ci è stata
distribuita, in vista degli scrutini, una griglia di valutazione
delle discipline che era stata approvata all’inizio dell’anno. A
ogni valutazione numerica (= voto), si fanno corrispondere varie
precisazioni sull’aspetto cognitivo e su quello comportamentale.
Cosa significherebbe, per esempio, un
8? Vediamo:
Conoscenze:
ha acquisito i concetti trattati, collegando le conoscenze, e li
utilizza in contesti assegnati.
Impegno: costante E il genitore ha indicazioni precise sul significato di quel voto? No, perché è impossibile una perfetta corrispondenza tra il livello raggiunto da ciascuno e uno schema astratto. Potrebbe aver raggiunto le conoscenze descritte anche senza un impegno costante; oppure essendo disordinato o avendo lavorato senza grande interesse, ma con volonterosa applicazione; la padronanza di alcune conoscenze potrebbe essere da 10, di altre da 6; e via combinando i vari elementi. Insomma, il tentativo di mettere le brache alla realtà fallisce come sempre. Con buona pace della correttezza politico-pedagogica. |