L’Invalsi e la crisi del sistema

di Stefano Stefanel, da ScuolaOggi 21.6.2010

La valutazione dell’Invalsi nelle scuole del primo ciclo dell’istruzione quest’anno ha senza dubbio fatto un vero e proprio salto di qualità. Questo salto qualitativo non era stato preventivato dalle scuole, che spesso sono state travolte da procedure, fascicoli e istruzioni vissuti anche in forma solo invasiva. Il notevole interesse per l’azione valutatrice dell’Invalsi, che agisce su Direttiva ministeriale ma è comunque un Istituto dotato di una forte autonomia, è entrato in collisione con la naturale programmazione didattica delle scuole. E’ dunque importante cercare di evidenziare alcuni punti di squilibrio tra l’azione didattica delle scuole e l’azione valutativa dell’Invalsi, senza voler mettere sul banco degli imputati nessuno. Per grandi capitoli e solo attraverso un’analisi delle metodologie e non dei risultati credo sia utile sottolineare alcune antinomie sistemiche per  cercare di portare qualche argomento nell’ambito della discussione in corso.

 

Esame di fine ciclo. L’Invalsi nell’esame di fine ciclo non è una novità e come tale non è stata vissuta. Quello che sembra interessante notare è che l’Invalsi senza alcuna norma di riferimento né di carattere primario, né di carattere secondario ha invaso i compiti delle commissioni d’esame. Una cosa, infatti, è dare una valutazione di sistema, un’altra una valutazione che “fa media”. La prima era corretto che la desse l’Invalsi, la seconda doveva essere data dalle Commissioni. Invece l’Invalsi ha dato delle “indicazioni” che sono state vissute come prescrittive per la trasformazione degli esiti dei quiz in voti. E’ un fatto particolare e, a mio modo di vedere, al di fuori di ogni regolarità e legittimità, in quanto le Commissioni hanno avuto l’incarico dallo Stato di valutare i candidati senza condizionamenti esterni. Credo che questo sia un argomento da discutere e se lo Stato vuole far valutare i suoi alunni da Commissioni e dall’Invalsi lo deve dire, perché per l’avocazione a sé da parte dell’Invalsi di 1/6 o 1/7 della valutazione conclusiva dell’esame di fine ciclo non è prevista dal alcuna norma.

 

Compiti in classe/Prove strutturate. La valutazione Invalsi di quest’anno ha fatto stridere molto più di quanto aveva fatto stridere in occasione dell’esame di fine ciclo degli ultimi tre anni il rapporto tra i compiti in classe scritti preparati dai docenti al fine di valutare il programma e le prove Invalsi tendenti a declinare curricoli e a cercare competenze o abilità che logicamente dovrebbero essere possedute dai nostri alunni. Davanti ad ogni domanda troppo nozionistica o non collegata ai vecchi programmi si è alzata la critica di molti docenti in relazione al metodo e al merito della valutazione. Non è ancora chiaro ai docenti che una valutazione di sistema attraverso prove strutturate non può essere alla portata di tutti e deve creare differenze notevoli di esito. Altrimenti si cade nel problema già assurto all’attenzione della pubblica opinione e relativo all’aiuto dato dai docenti agli alunni in alcune scuole del Sud Italia in cui si sono raggiunte percentuali “bulgare” di successo nella valutazione Invalsi collegata agli esami di fine ciclo. C’è poi da aggiungere che mentre i compiti in classe vengono considerati un punto di passaggio obbligatorio della didattica, le prove strutturate sono considerate al massimo come un elemento aggiuntivo, ma mai sostitutivo. Ai singoli docenti più che alle scuole è sfuggita la necessità di dare ai propri studenti mezzi per superare bene la prova Invalsi. Così si è assistito a docenti di matematica che hanno continuato imperterriti a fare otto compiti in classe e che si sono “seccati” se nella scuola veniva proposta una prova Invalsi simulata. Salvo poi accorgersi che  il compito di matematica e la prova Invalsi aevano lo stesso peso nel voto finale dell’esame.

 

Valutazione di una situazione oggettiva/Valutazione di una conformità. Il rapporto tra insegnamento e apprendimento e quello tra insegnamento e conformità è stato mostrato in tutta la sua criticità dal metodo rilevativo dell’Invalsi. I compiti in classe o le interrogazioni misurano la conformità a quanto insegnato dai docenti, le prove Invalsi invece solo l’apprendimento realmente esistente messo non in rapporto con quanto insegnato dai docenti, ma col suo valore sociale. Che non necessariamente è quello migliore e più oggettivo. Lo spostamento di prospettiva da un lato disorienta, dall’altro convince la maggior parte dei docenti che la metodologia usata dall’Invalsi è sbagliata e dunque tendenzialmente non ne tiene conto nel meccanismo processuale di valutazione degli alunni. Non c’è un movimento di alcun genere nelle scuole che metta in discussione la “didattica delle conformità” che prevede un rapporto diretto solamente tra quanto insegnato dal docente e quanto appreso dall’alunno in modo conforme. Succede così che per i docenti italiani sia difficile collocarsi dentro modelli internazionale di didattica e valutazione e rimangano convinti che il punto di origine (l’insegnamento) e quello di uscita (l’apprendimento) debbano passare entrambi dal proprio modo di insegnare. Tutto questo nel rapporto con l’Invalsi produce situazioni di oggettiva crisi.

 

Tempistica. La tempistica dell’Invalsi ha messo la scuola italiana davanti alle sue false attenzioni. La prova è stata preparata attraverso seminari, e-mail, formazione dei somministratori, creazione di attese e di sistematicità, convegni o incontri. Ma per molti docenti l’unica scadenza reale è quella decisa da lui (compito, interrogazione) o dalla scuola (consigli di classe, collegi, scrutini), quasi che il sistema e le sue esigenze siano un falso problema. Essendo intervenuta al di fuori dei canoni quadrimestrali la Prova Invalsi è stata vissuta come un adempimento, non come una vera valutazione o uno step interessante. La modalità dell’organizzazione dell’anno scolastico non è funzionale ai meccanismi di valutazione oggettiva e il tempo dedicato alla preparazione delle rilevazioni non viene mai considerato integrante la normale azione didattica. Questo porta a collocare le valutazioni Invalsi in uno spazio “progettuale”, che non è il suo e che come tale produce poca efficienza.

 

Disseminazione/Occultamento. Un’analisi sul rapporto tra disseminazione e occultamento diventerà necessaria quando si scoprirà la bassa incidenza dei risultati delle Prove Invalsi sulla percezione dei docenti in riferimento alla propria didattica. Se si misura l’adeguamento degli alunni a quanto proposto dal docente, diventa necessario minimizzare o occultare gli esiti delle Prove Invalsi, vissute come una specie di orpello che allontana dai veri problemi della valutazione negativa, che nella scuola secondo molti docenti sono legati allo scarso impegno dei ragazzi, alla scarsa presenza delle famiglie, alla degenerazione della cultura italiana, alla pochezza dei modelli di riferimento, ma praticamente mai ad una didattica scadente. Questa cortina fumogena sulla crisi della professione docente è solo in parte diradata dalla Prova Invalsi e dai suoi esiti difficili da inserire nel contesto di verifica dell’azione didattica intesa come forma trasmissiva e tradizionale.

 

Didattica frontale e curricoli. Le Prove Invalsi spiazzano per loro natura la didattica frontale, ancora molto presente nelle scuole. Ma il rapporto con i curricoli non è ancora digerito dalle scuole italiane. La dimensione più seguita è senza dubbio quella dei programmi con il loro rapporto trasmissivo di saperi spesso obsoleti, mentre la curricolarità dovrebbe specificare ambiti e percorsi. Le Prove Invalsi aprono degli scenari di dibattito e i risultati andrebbero analizzati nel dettaglio con precisione e profondità. Invece rimane tutto molto vago e collegato al sentire del singolo docente. Pensare che l’Invalsi possa arrivare dove la pedagogia da sola non ce l’ha fatto è però un’idea piuttosto ingenua. Quello che può sorprendere è la distanza esistente tra il meccanismo della valutazione attraverso le Prove Invalsi e una serrata analisi della didattica collegata alla curricolarità. Da un lato il Miur costruisce gli strumenti per una valutazione oggettiva, dall’altro rispinge verso la gestione della didattica attraverso programmi. Una vera contraddizione di sistema, in quanto il programma disciplina un suo rapporto trasmissivo, che il curricolo non ha. Come si possa testare un sistema attraverso una valutazione di programmi piuttosto rigidi è un esperimento che non ha fatto nessuno. Lo sfilacciamento del sistema dell’istruzione mostra in questi passaggi il suo lato veramente preoccupante.

 

Percezione sociale/Messaggi tranquillizzanti. Il messaggio che la maggior parte delle scuole ha fatto avere ai propri alunni e alle famiglie è stato di considerare questa prova come “estranea” alla valutazione e quindi priva di un reale interesse scolastico. Salvo poi accorgersi durante l’esame di stato che non è proprio così. Il fatto che il Ministero tramite l’Invalsi valuti o monitori dovrebbe essere condizione di non tranquillità per i valutati (gli alunni, le scuole), mentre il messaggio che è stato trasmesso è quello di una estraneità di tutto il meccanismo di valutazione dell’Invalsi dal “vissuto” delle scuole e dunque ha stemperato anche quella tensione che a volte rende più veritieri i dati. Da un lato la scuola vuole accreditarsi come soggetto valutatore degli alunni dotato di grande autorevolezza, dall’altro lato lancia il messaggio sociale secondo cui altri metodi di valutazione diversi da quello che vede il docente insegnare e poi valutare non hanno grande scientificità e dunque possono essere gestiti con tranquillità, che è un modo per definire il basso impegno collegato allo scarsissimo pericolo. 

 

Redazione delle prove Invalsi/Redazione dei compiti in classe. Interessante è anche il rapporto tra Prove Invalsi e Compiti in classe nell’ambito del processo di redazione degli oggetti della valutazione. Qui si vanno a infrangere molti problemi della scuola italiana. Il Compiti in classe vengono redatti dal docente che poi valuta in rapporto stretto e spesso asfissiante con il proprio modo di fare didattica e con la propria gerarchia dei saperi. Le Prove Invalsi, invece, attingono al vago concetto di “sapere sociale” o “competenza spendibile”. Il divario tra le due metodologie è molto alto. Utile è però verificare anche il rapporto numerico tra Prove Invalsi e Compiti in classe: pochissime scuole hanno ritenuto di organizzare valutazioni scritte miste (un po’ di Compiti in classe e un po’ di Prove Invalsi) e così il rapporto 6/8 Compiti a 1 Prova è rimasto inalterato, mostrando che l’impermeabilità a qualsiasi sollecitazione esterna è molto forte nella scuola italiana. E’ possibile che il “sapere sociale” che sta alla base delle Prove Invalsi sia poco reale, nozionistico, pretestuoso. Ma questo non lo possono dire le scuole, lo devono semmai dire gli organismi internazionali o specifici soggetti valutatori dell’Invalsi estyerno ad esso. Esiste insomma una pretesa delle scuole cui non si può dare seguito e cioè quella di essere l’unico soggetto capace di valutare.

 

“Gita Invalsi”. Da molte scuole la Prova Invalsi è stata vissuta come una sorta di “gita” o “gioco della gioventù” o “recita teatrale”, cioè come un qualcosa che si deve fare, cui non ci si deve preparare (la lettura delle istruzioni al momento dell’arrivo dei plichi nonostante la manualistica fosse stata consegnata con largo anticipo) e che si vive con un’interruzione della naturale azione didattica. Ho già detto sopra del meccanismo per produrre tranquillità e credo che questa ricerca della tranquillità non possa non essere messa in relazione con una certa rassegnazione dei docenti a mantenere intatta l’idea che se non si è nella “propria” classe a tenere la “propria” lezione per un’attività organizzata da altri tutto sommato si sta perdendo del tempo. A questo proposito è interessante notare l’atteggiamento di molti docenti in riferimento alla correzione delle prove, vissuta come un aggravio di lavoro ingiustificato, anche se il contratto di lavoro preveda che agli esami si dedichi il tempo necessario, che non può essere contingentato. Nella mente di molti docenti il concetto di esame è legato alla propria materia e molti si considerano “dimezzati” se non fanno almeno una domanda a tutti i candidati, ma poi non sono disponibili a gestire una prova Invalsi.

Credo che difficilmente il sistema scolastico italiano verrà toccato dagli esiti della Prova Invalsi. Ritengo che solo un meccanismo premiante e quindi leggermente punitivo possa far cambiare direzione alla didattica italiana. Resta da verificare se, al di là delle parole, si voglia realmente cambiare la didattica italiana o ci si voglia limitare a registrare i suoi insuccessi e a misurarli con sempre maggiore frequenza. Questa ultima tendenza è quella che fa dire agli operatori della scuola che bisogna “preservare” la scuola italiana (chi è contro il Governo) o a “migliorare” la scuola italiana (chi è filogovernativo). Mi sembra che le Prove Invalsi stiano mettendo sotto gli occhi di tutti i gravi problemi della scuola italiana e che girarsi dall’altra parte non significhi nulla.