Alunni stranieri in quota di Paolo Manasse da La Voce.info del 14.1.2010 Il ministero dell'Istruzione ha stabilito che il numero di alunni stranieri per classe non dovrà superare il tetto del 30 per cento. Vanno comunque esclusi dal computo i ragazzi che non hanno cittadinanza italiana, ma sono nati in Italia. Un provvedimento anche condivisibile, ma che segue la solita logica dell'annuncio perché la sua applicazione sembra piuttosto complicata. Non sarebbe meglio allora accrescere il numero di insegnanti nelle scuole in difficoltà invece di spendere risorse per trasportare avanti e indietro gli studenti? Con una circolare inviata l’8 gennaio ai presidi, il ministero dell’Istruzione ha stabilito che il numero di alunni “stranieri” per classe non dovrà superare il tetto del 30 per cento. Il ministro Gelmini ha poi precisato che dal computo vanno esclusi gli alunni nati in Italia, ma privi di cittadinanza italiana, circa il 35 per cento degli “stranieri”. Il fine apparente è quello di evitare che le difficoltà (linguistiche, di apprendimento?) degli stranieri si ripercuotano negativamente sull’apprendimento degli italiani, da un lato, e contemporaneamente facilitare l’integrazione dei ragazzi non italiani.
ANNUNCIO DIFFICILE DA RISPETTARE
Rispetto a una precedente proposta
della Lega, le classi separate per gli “stranieri”, questa
iniziativa sembra largamente preferibile. Rimane l’impressione che,
come per il “processo breve”, ci si limiti a enunciare un obiettivo
(fiat scuola!), senza specificare come, e con quali mezzi, attuarlo.
In particolare: con quali criteri saranno scelti gli studenti da
trasferire? Come verranno finanziati i costi di trasporto? Come si
risolveranno i problemi di eccessi o carenze di insegnanti che
seguiranno?
TUTTI SI MUOVONO
Se è vero, come sembra trasparire
dalla filosofia che ispira il provvedimento del ministro, che
l’apprendimento degli alunni migliora, a parità di
rapporto insegnanti/alunni, tanto più omogenee sono le classi,
la soluzione ottimale
consisterebbe nel ripartire gli stranieri (quattordici in tutto) e
gli italiani (ventisei) equamente, come nella figura 2, creando in
entrambe le scuole delle classi con tredici italiani e sette
stranieri, che rappresenterebbero il 35 per cento, vicino al tetto
Gelmini. 1) costi di trasporto. Ogni mattina una ampia frazione di studenti (il 30 per cento nell’esempio) andrebbe trasferita, avanti e indietro: quanto costa e chi paga? 2) Parità di diritti. Come verrebbero scelti gli italiani e gli stranieri da “riallocare”, senza violarne la parità di diritti? 3) Abbandono scuola pubblica. Accetteranno (i genitori de)gli italiani che frequentavano A di essere trasferiti nella scuola Z? Quanti, non opteranno piuttosto per una scuola privata?
SI TRASFERISCONO SOLO GLI STRANIERI
Una soluzione alternativa, forse
implicita nella filosofia del provvedimento, è che la
“riallocazione” debba riguardare solo gli stranieri, ammesso che
questa scelta non violi la parità di diritti. Nel nostro esempio, al
fine di ottenere una composizione pressoché uniforme tra le scuole,
bisognerebbe riallocare nove stranieri dalla scuola Z alla scuola A
(vedi figura 3). In questo caso, si risparmierebbe sui costi di
trasporto degli alunni. Ma si porrebbe, accanto ai precedenti, un
nuovo problema: il trasferimento degli
insegnanti. Infatti, nella scuola Z rimarrebbero
solo undici alunni per classe, mentre in A gli alunni sarebbero
ventinove. Dunque, si renderebbe necessario trasferire anche gli
insegnanti per non penalizzare l’apprendimento nella scuola A e
favorire Z. Come poi applicare il tetto del ministro nei comuni,
come Prato o Mantova, con fortissima concentrazione di alunni
stranieri?
Fonte: Ministero Pubblica istruzione Alunni con cittadinanza non italiana scuole statali e non statali, anno scolastico 2007/2008.
Figura 2: Classi identiche in A e Z
Figura 3: Riallocazione dei soli stranieri
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