La scuola incaprettata. di Vincenzo Pascuzzi, 7.1.2010 Il termine ”incaprettamento” indica una uccisione in un modo veramente barbaro, atroce e lento. Una specie di suicidio imposto mediante corda e sfinimento fisico. Invece il termine “riforma” ha un significato positivo, indica miglioramento, innovazione, svecchiamento, eliminazione di errori. Riforma implica (o implicherebbe) conoscenza della situazione di partenza e delle sue criticità, e poi delle scelte razionali, un progetto, risorse da investire per poter magari risparmiare in seguito oppure ottimizzare il rapporto costi/benefici. È un po’ come comprare una macchina nuova . Si può comprare un’auto, magari più compatta, più efficiente, più risparmiosa ma bisogna fare una scelta opportuna e disporre di una somma da investire. Nella scuola, al contrario, per una sorta di strabismo lessicale, quando adesso si sente parlare di riforma (la c.d. ”riforma Gelmini”), viene da pensare proprio all’incaprettamento della scuola stessa ottenuto principalmente con la drastica e repentina riduzione (i famigerati tagli) sia delle risorse economiche che del personale insegnante e ata. Per di più senza avere né riferimenti, né obiettivi didattici chiari, qualificanti, condivisi e poi misurabili; quali potrebbero essere, ad esempio: ridurre la dispersione dal 22% al 10% (v. Conferenza di Lisbona), migliorare realmente le strutture, le attrezzature, la preparazione degli alunni e quindi le valutazioni annuali e finali. Continuando con l’esempio, è un po’ come pretendere di vendere la vecchia auto (o addirittura portarla dallo sfasciacarrozze) e voler comprare la nuova solo con il ricavato della vendita. Da sottolineare le due modalità, o astuzie, con cui la c.d. riforma viene messa in atto. La prima riguarda i tempi. Gli aspetti spiacevoli o controversi vengono in un primo tempo decisi e preannunciati e poi, in un momento successivo, messi in atto. In questo modo viene a mancare la possibilità di migliorarli o contrastarli e perfino discuterne. La seconda modalità riguarda il percorso burocratico. Il Miur affida ai presidi l’attuazione delle cose sgradevoli per la scuola e per i docenti (le patate bollenti). I presidi (quasi serafici ambasciatori che non portano pena) provvedono a trasferirle e a metterle in atto tramite i Collegi docenti facendo votare mozioni obbligate e ciò con una falsa apparenza di autonomia, democrazia e partecipazione. I presidi – certo non tutti, ma in maggioranza - risultano sottomessi e ossequienti nei confronti del Miur (che detiene le chiavi del loro contratto, cioè essenzialmente delle loro retribuzioni e carriere), mentre manifestano in pieno le loro prerogative, la loro autorità, il loro potere nel Collegio e verso i docenti. E sì che sono diventati dirigenti, qualcuno si dichiara manager, c’è chi addirittura li indica come imprenditori! Dirigenza dei presidi e autonomia delle scuole sono, nei fatti, solo due grosse favole, due false realtà, un modo con cui il Miur confonde e trasferisce le proprie responsabilità senza rinunciare però a prendere lui le decisioni. |