La scuola pensi in autonomia

  di Carlo Bertorelle da Alto Adige, 2.1.2010

Ha da pochi giorni chiuso i battenti la seconda fiera dell’istruzione "Futurum", una rassegna ricca e stimolante di tutto quello che si muove in provincia nel campo della formazione. Qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a tanti "prodotti" messi in mostra, in un campo, quello dell’educazione, in cui il valore è la persona nella sua libertà di crescita piuttosto che il successo (tutto da dimostrare) raggiunto nella concorrenza tra merci-formazione offerte sul mercato.

Ma la fiera rappresenta comunque una buona opportunità e un segno dell’importanza che si vuol dare nella società locale alla formazione e alla conquista di migliori chances sociali per tutti i giovani cittadini. Una linea non scontata, se si pensa al peso di altri poteri forti, soprattutto economici, nella società altoatesina, da sempre volti a relegare in ruoli subalterni, più docili e meno attivi, gli strati sociali meno privilegiati. E’ anche una questione di riequilibrio nella distribuzione delle posizioni sociali e dei redditi, e la formazione gioca un ruolo non indifferente in questo processo di mobilità sociale. La scure dei tagli sulla spesa pubblica si abbatterà in qualche misura anche nel ricco Alto Adige, e già il prossimo bilancio provinciale parzialmente ridotto ne è una prova. Importante allora che, di fronte a scelte selettive, si sappia riconoscere la priorità strategica dell’investimento in formazione e ricerca, ccome molla di sviluppo e benessere più equamente suddiviso. Ma ciò imporrà in ogni caso una forma di razionalizzazione delle risorse esistenti e di creare una effettiva sinergia tra le diverse forme di istruzione e formazione affinchè prevalga una logica di sistema, con una cabina di regia capace di evitare frammentazioni, doppioni e sprechi (soprattutto nella integrazione tra i sistemi formativi, di scuola, istruzione e formazione professionale, educazione degli adulti ecc.).

Le politiche scolastiche sono state già in passato un lato debole delle coalizioni di Giunta, un po’ per le diverse visioni pedagogiche e molto per le spinte etniche o corporative che riuscivano a prevalere sulla realizzazione di una linea condivisa di riforme. Gruppi di interesse o burocratica difesa dell’esistente hanno ostacolato non poco una piena valorizzazione della autonomia legislativa e amministrativa che invece potrebbe permettere all’Alto Adige di avere una politica scolastica di livello europeo, non sempre al carro delle stanche e mutevoli "novità" della Moratti o della Gelmini, che vengono dal ministero di viale Trastevere. Le vecchie e le nuove competenze statutarie, con la modifica inoltre del titolo V Costituzione, danno forti poteri alle regioni, e fortissimi alle regioni a statuto speciale. In Trentino ad esempio le acque si sono mosse di recente e si è vista una volontà reale di governance del sistema scolastico e formativo, anche sfidando fiere resistenze.

Adesso siamo di nuovo alla vigilia di decisioni rilevanti che riguardano l’assetto che si darà per i prossimi anni alla formazione dei giovani nell’età tra i 14 e i 19 anni. I "regolamenti" del governo che prevedono un riordino della istruzione secondaria di secondo grado sono alle porte e impongono anche alla scuola locale un ragionamento strategico su come progettare questo importante pezzo della formazione che tocca la preparazione di base e al mondo del lavoro e professionale o l’orientamento verso l’i struzione superiore e l’università. Troppe cose finora hanno funzionato confusamente, come ad esempio una ambiziosa e sicuramente interessante legge della Provincia che prevedeva una "maturità" dopo la scuola professionale, ma che non poteva essere compatibile con l’attuale sistema di titoli di studio, e quindi è stata bocciata dagli organi di controllo e giurisdizionali. Oppure la gerarchia ancora ferrea tra istituti di serie A e di serie B (e poi C, D...), che insegnano frontalmente discipline ermeticamente chiuse, mentre in Europa si va verso una formazione di base comune almeno fino ai 16 anni, volta piuttosto a competenze trasversali di cittadinanza attiva, senza tante separazioni tra liceo classico e scuola professionale. E questo anche se un decreto governativo di due anni ha introdotto la formazione comune, un obbligo decennale di istruzione per tutti, come base per essere cittadini della società moderna con pari opportunità di partenza, senza imporre scelte precoci che poi rischiano di discriminare per tutta la vita. Anche la buona formazione professionale della nostra Provincia dovrebbe riconoscere che per svolgere qualunque lavoro oggi e avere un ruolo più consapevole nella società sarebbe meglio dotare tutti i giovani di qualche momento di maggiore attenzione alle competenze culturali fondamentali, anche se queste possono essere apprese in tanti modi, e non solo con la classica lezione ex cathedra (che ormai peraltro non si fa quasi più in nessun tipo di istituto).

Per progettare questi cambiamenti, avendo in mente il futuro di giovani, e arrivare ad una legge provinciale migliore sarebbe necessario ascoltare le diverse voci della società, dalle scuole al mondo del lavoro e dell’economia, l’impresa e le forze produttive, oltre alla università e centri di ricerca, superando le modalità un po' "carbonare" dei gruppi di esperti in funzione presso gli uffici scolastici. Bisognerebbe avere il coraggio di pensare che c’è l’autonomia e la possiamo valorizzare al meglio, chiamando a partecipare anche la società civile.