SCUOLA
Compiti a casa: un incubo Feliciana Cicardi, il Sussidiario 30.1.2010 In tempi di emergenza educativa e di riforme più o meno vessate e criticate, porre i riflettori su un elemento “marginale” come i “compiti a casa” può apparire fuori luogo. Eppure i grandi proclami e i grandi cambiamenti sono realizzabili a fronte di chiarezze e di consapevolezza del valore dei piccoli tasselli che garantiscono un ambiente educativo. Si sostiene trasversalmente che - unitamente alla crisi della funzione educativa della scuola - la nostra società mostra un cambiamento antropologico sociologico della famiglia, una debolezza intrinseca a tale struttura sociale. La scuola - si dice - è in crisi anche a causa della perdita del suo interlocutore/alleato storico: la famiglia non crede più nella scuola come “ascensore sociale”, come ambiente necessario per la crescita umana e culturale dei propri figli. Soprattutto - e l’ha dimostrato l’insuccesso dei decreti delegati, - è difficile trovare un punto di contatto e di dialogo autentico tra l’istituzione scuola e la famiglia. Si verificano spesso situazioni di contrapposizione tra i due ambiti in cui dovrebbe accadere “educazione”. E a ben guardare la sfida tra i due soggetti non è necessariamente alimentata da posizioni ideologiche o antropologiche contrastanti. La sfida si accende trasversalmente a partire dalla pratica dei rispettivi ruoli su elementi che strutturano la cifra educativa di scuola e famiglia: le regole che governano i rapporti e la socialità, la concezione positiva circa le fatiche da chiedere a figli e alunni e le modalità opportune di “aiuto” per agevolare una crescita “sana” nei soggetti in educazione, il valore e le modalità di esecuzione dei compiti che la scuola assegna agli alunni. Compiti a casa. Oggetto di annosi e sostenuti dibattiti in chiacchierate tra docenti, tra genitori e congiuntamente in momenti istituzionali quali incontri per genitori promossi dalla scuola e assemblee di classe. Philippe Meirieu, già docente ed ora professore universitario, molto attivo nel dibattito politico culturale, ci regala uno scritto del 1987, rivisitato nel 2000, dal titolo I compiti a casa. Genitori, figli, insegnanti: a ciascuno il suo ruolo. Raramente si trova in un saggio di pedagogia tanta competenza e sensibilità magistrale, nata dalla riflessione sull’esperienza diretta, e tanto buon senso proiettato a rinvenire soluzioni efficaci perché uno dei nodi scorsoi nel rapporto scuola/famiglia si trasformi in occasione educativa e culturale soprattutto per l’alunno/studente. La lotta tra guelfi e ghibellini è sempre aperta. Sì compiti a casa, no compiti a casa, pochi compiti, troppi compiti. L’esito di tale querelle è che i compiti diventano a volte oggetto di disturbo e distorsione dei rapporti familiari, fino a trasformarsi in ricatto da parte dei genitori: «Se mi vuoi bene, devi studiare la lezione!» «Se fai i compiti, ti faccio un regalo…» e così via. Diventano, altre volte, momento di conflitto e di stress con il genitore che alle nove di sera, dopo una giornata di lavoro, si sente “obbligato” dal proprio ruolo e dal rischio di fare “brutta figura” con la scuola ad accollarsi anche quell’impegno. Con la conclusione che sia genitori che figli arrivano ad odiare i compiti a casa (e magari la scuola). Meirieu nel suo testo propone delle condizioni favorevoli ad un uso intelligente e formativo dei compiti a casa, avvertendo che, innanzitutto, tra genitori ed insegnanti deve costruirsi una “complementarità necessaria”. "Oggi tutti cercano di cogliere in fallo l’altro: gli insegnanti stigmatizzano l’‘abdicazione dei genitori’ e si lamentano delle loro continue intrusioni in campo didattico, mentre i genitori accusano gli insegnanti di rifiutare qualsiasi seria valutazione del loro lavoro e di usurpare sistematicamente le loro responsabilità di educatori. Probabilmente sarebbe meglio che ciascuno si occupasse del proprio ambito. Gli insegnanti rivendicano, a ragione, la propria autentica professionalità e rifiutano qualsiasi sistematica intrusione in ciò che attiene alle loro competenze. Ma proprio per questo sarebbe opportuno che evitassero di delegare a casa apprendimenti fondamentali per la riuscita degli allievi. I genitori, da parte loro, rifiutano, a ragione, che dei professionisti rivendichino una sorta di “irresponsabilità sociale”. Ma non dovrebbero confondere l’‘obbligatorietà degli strumenti’ con l’'obbligatorietà dei risultati’: mentre la prima lascia integra la loro responsabilità di educatori, la seconda non tiene conto della singolarità delle persone e confonde l’educazione di individui con la fabbricazione di oggetti. Dunque a ciascuno il suo ruolo..." (p.20). La lunga citazione per sottolineare lo stato di disagio che si crea nella relazione scuola/famiglia, disagio che va superato con modalità operative concrete, andando oltre le analisi sociologiche che attestano la crisi di scuola e famiglia. Il testo offre consigli e spunti operativi per entrambi i soggetti del binomio: i due luoghi educativi possono incappare in errori che frenano la presa di senso dello studio da parte degli alunni e contemporaneamente hanno delle responsabilità marcate dalla chiarezza e dalla consapevolezza del proprio ruolo assunto correttamente. Ma Mieireu presta spazio ed attenzione anche e soprattutto al “soggetto in educazione”, vero protagonista dell’avventura di costruzione della persona e propone una pedagogia del contratto. Perché, sostiene, "si ha 'pedagogia del contratto' solo quando uno scambio permette di abbozzare una soluzione che non costituisce una disfatta né una vittoria per nessuno; quando si costruisce una relazione di reciprocità nonostante la differenza tra educatore ed educato; quando ci si mette a parlare insieme per trovare soluzioni comuni" (p. 54) Sono, queste evidenziate, alcune sottolineature che possono stuzzicare l’interesse per la lettura di un libro che non è strutturato su proclami o roboanti teorie pedagogiche, ma sulla riflessione sedimentata di un’esperienza di educatore appassionato a costruire contesti e alleanze educative che accolgano e rispondano al bisogno dell’educando, figlio o alunno che sia. Anche il cambiamento di percezione e di senso di un particolare contribuisce a modificare la visione e la gestione dell’intero sistema di cui il particolare è parte. Si parva licet. Le riforme hanno bisogno anche di protagonisti coscienti del proprio ruolo e capaci di tradurre in gesti, atteggiamenti efficaci le etichette teorico/ideali che li connotano come educatori, dentro un’alleanza educativa in favore di figli/alunni. Si può cominciare dall’intesa su contenuti e modalità dei compiti a casa.
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