L'istruzione fa la differenza

di Giorgio Brunello e Lorenzo Rocco, da Finanza in Chiaro.it 24.1.2010

Il tetto al numero di alunni stranieri per classe annunciato dal ministro Gelmini risponde anche al timore che "troppi" immigrati possano pregiudicare l'apprendimento degli italiani. Ma è una preoccupazione confermata dai dati? Utilizzando quelli delle indagini Pisa, si vede che il fattore cruciale non è la quantità, ma la qualità: nei paesi che incentivano l'ingresso di immigrati relativamente istruiti un eventuale incremento della percentuale di studenti stranieri nelle classi finisce per arricchire il contesto formativo e favorire l'apprendimento dei nativi.

In una recente disposizione, il ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini ha fissato limiti massimi di presenza nelle singole classi di studenti stranieri con ridotta conoscenza della lingua italiana. In particolare, il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti. (1)

INTEGRAZIONE E APPRENDIMENTO

Il problema al quale si vuole porre rimedio sembra essere duplice: da una parte, un numero troppo elevato di immigrati, presumibilmente con limitate capacità linguistiche, rischia di creare delle classi “ghetto”, pregiudicando così la possibilità di integrazione nella comunità nazionale. D’altra parte, “troppi” immigrati in una classe possono pregiudicare l’apprendimento dei nativi, perché le risorse umane sono concentrate necessariamente sulla componente più debole.
Mentre il primo problema è ampiamente riconosciuto, ci chiediamo se vi sia evidenza convincente di una relazione negativa tra percentuale di immigrati in una data classe e risultato scolastico dei nativi, nel nostro caso gli italiani. Per rispondere a questa domanda usiamo le indagini Pisa, condotte dall’Ocse nei paesi membri, che contengono i risultati di test standardizzati volti a misurare le competenze nella lettura (e in matematica e scienze) di un campione rappresentativo di quindicenni iscritti alla scuola secondaria, siano essi italiani o immigrati. (2)

UN CONFRONTO FRA STUDENTI

Il semplice paragone dei risultati medi di italiani appartenenti a classi con diverse percentuali di immigrati non è utile in quanto gli studenti, sia nativi che immigrati, non sono assegnati alle classi o alle scuole in modo casuale. Ad esempio, se studenti italiani con minor talento tendessero a finire in scuole o classi con un maggior numero di immigrati, otterremmo dal paragone tra classi una relazione negativa tra percentuale di immigrati e risultato scolastico dei nativi. Tale relazione però sarebbe spuria e non potremmo dire che un’elevata percentuale di immigrati sia la causa dei risultati carenti degli italiani che condividono la stessa classe.

Al fine di depurare i nostri dati dall’effetto di selezione degli studenti nelle scuole o nelle classi, consideriamo dati medi nazionali e compariamo i risultati medi dei nativi in paesi che differiscono nella percentuale di studenti immigrati. Poiché però i paesi differiscono tra loro anche in molte altre dimensioni, è utile disporre per ciascun paese di informazioni ripetute nel tempo. Possiamo così mettere in relazione la variazione nella percentuale di immigrati con la variazione nei risultati medi conseguiti dagli studenti nativi, depurando l’effetto stimato della pluralità di fattori istituzionali che caratterizzano paesi diversi, ma che non variano nel tempo.

Le indagini Pisa sono state condotte nel 2000, 2003 e 2006 e consentono quindi di utilizzare la nostra strategia di stima in un periodo di crescenti flussi migratori. Infatti, in molti paesi Ocse, la percentuale di studenti immigrati è variata in modo anche sensibile durante questi sei anni.

Utilizzando dati di 25 paesi Ocse, troviamo che, se raddoppiassimo la percentuale di immigrati nelle classi frequentate dai quindicenni, il risultato medio dei nativi nei test di lettura diminuirebbe appena dell’1,3 per cento per i maschi e dello 0,9 per cento per le donne.

Certo, si potrebbe obiettare che l’effetto dell’immigrazione nelle classi è più forte nella scuola primaria e secondaria inferiore, e tende a diminuire nella scuola superiore. Una seconda obiezione è che la percentuale di immigrati nelle scuole superiori è relativamente bassa, e che l’intensità dell’effetto negativo della quota di immigrati sui risultati scolastici dei nativi non sia costante, ma aumenti quando il numero di immigrati supera una qualche soglia critica. Si tratta di obiezioni plausibili alle quali, per carenza di dati, non possiamo rispondere. Possiamo però chiederci se l’effetto sui risultati dei nativi della quota di immigrati vari con le caratteristiche degli stessi. Ad esempio, possiamo usare i dati Ocse sul livello medio di istruzione degli immigrati presenti nei paesi Ocse nel 2000.

Data l’importanza riconosciuta del contesto familiare, se i figli degli immigrati che frequentano le scuole secondarie hanno genitori poco istruiti, è possibile che l’effetto che esercitano sui nativi sia più negativo di quello che si avrebbe con figli di immigrati più istruiti.

La figura mostra i risultati: per molti paesi, tra cui il Giappone e gli Stati Uniti, raddoppiare la percentuale di immigrati nelle classi dei quindicenni non ha effetto alcuno sui risultati dei nativi. Per alcuni paesi, tra i quali la Norvegia, il Canada, la Svizzera e la Nuova Zelanda, il livello di istruzione medio relativamente elevato degli immigrati favorisce l’apprendimento dei nativi: se raddoppiassimo la quota di immigrati con caratteristiche simili alle attuali nelle classi, i test di lettura dei nati in Norvegia e Nuova Zelanda aumenterebbero tra il 5 e il 15 per cento. In altri paesi, tra cui l’Italia, la Francia e la Spagna, dove l’istruzione media degli immigrati è particolarmente bassa, raddoppiare la presenza nelle classi di stranieri con caratteristiche simili alle attuali ha un effetto negativo ma modesto sulla performance dei nativi, che diminuisce di meno del 5 per cento (circa l’1 per cento in Italia).

Da questa analisi emerge che il fattore cruciale non è la quantità, ma la qualità dell’immigrazione: nei paesi che incentivano l’ingresso di immigrati relativamente istruiti – il Canada, l’Australia, la Svizzera e la Nuova Zelanda – un eventuale incremento della percentuale di studenti stranieri nelle classi finisce per arricchire il contesto formativo e favorire l’apprendimento dei nativi.

Figura: Percentuale di variazione della performance dei nativi in presenza di un raddoppio della presenza di immigrati in classe, per paese e livello di istruzione medio degli immigrati.

 

(1) Circolare ministeriale n. 2 dell’8 gennaio 2010.
(2) Definiamo immigrati gli studenti con nati all'estero da genitori stranieri.

( Fonte: lavoce.info)