SCUOLA
Studenti stranieri: Gabriele Uras, il Sussidiario 14.1.2010 La circolare del ministro Gelmini contenente indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana è stata accolta con grande interesse dall’opinione pubblica, come testimoniano i numerosi commenti apparsi sulla stampa quotidiana. I pareri, in prevalenza favorevoli, rilevano la tempestività dell’intervento e l’articolata varietà dei suggerimenti formulati, capaci d’intercettare i diversi problemi che la presenza degli stranieri genera nelle istituzioni scolastiche. L’interesse manifestato dai media tornerà sicuramente gradito al ministro, dal momento che la circolare, pur ricca, anzi straricca fino alla ridondanza, di riferimenti tecnici e giuridici, pare rivolta non solo o non tanto alle scuole e all’amministrazione scolastica, ma anche e soprattutto al mondo esterno, ai non addetti ai lavori. Tuttavia, se considerassimo questa caratteristica come un gratuito cedimento alle esigenze della propaganda e dell’immagine, saremmo in errore, o, almeno, ci lasceremmo sfuggire un aspetto non secondario dell’iniziativa ministeriale, per noi positivo, e in ogni caso non inutile o gratuito. Infatti, i problemi della scuola sono, in genere, complessi, perché prendono corpo e forma all’incrocio di variabili numerose e di diversa natura. Nel caso dell’integrazione scolastica degli allievi stranieri, occorre contemperare prospettive pedagogiche e didattiche, sociologiche e demografiche, psicologiche, di organizzazione e del governo dell’offerta formativa sul territorio, di predisposizione e coordinamento delle risorse personali e strumentali, e il concorso di una varietà di soggetti, dei quali non è sempre agevole armonizzare gli interventi in vista delle necessarie sintesi che qualificano il servizio formativo. Se all’opinione pubblica, costituita da normali cittadini, di solito non esperti di scuola, fossero comunicate soltanto le decisioni e le disposizioni finali, tacendo sulle ragioni che le motivano, potrebbe accadere che esse non siano comprese nella loro reale portata e finalità. In pratica, con la circolare dell’otto gennaio, il ministero ha voluto affrontare e risolvere anche un problema di comunicazione e trasparenza, nell’intento di rendere di comune dominio e comprensione una serie di questioni di ampia e generale portata, la cui conoscenza non deve mai essere appannaggio esclusivo dei soli addetti ai lavori o dei diretti interessati. Si è evitato in tal modo di bloccare in anticipo le polemiche che solitamente si accendono quando di affrontano questioni riguardanti la scuola, sulle quali risulta sempre particolarmente arduo raggiungere accordi o elaborare soluzioni condivise di problemi comuni. A dire la verità, nemmeno in questo caso, pure nella predominanza dei consensi, è dato di riscontrare un’universale condivisione, molti essendo i dubbi e i rilievi formulati sui contenuti del documento ministeriale. Né sono mancate le critiche gratuite, basate su una conoscenza di esso molto approssimativa, da parte di coloro che, avendo evitato la fatica di leggerlo, facevano riferimento ai riassunti, spesso incompleti e omissivi, fatti dai giornalisti sulla stampa quotidiana, saltuariamente integrati o corretti dalle interviste al ministro Gelmini, ancora una volta protagonista, pronta a dare i chiarimenti richiesti, anche quelli di natura tecnica, sui quali, forse, chi ha materialmente steso e firmato la circolare, avrebbe potuto essere più esauriente e preciso. Coloro che non hanno letto per intero il documento non hanno gravi colpe, a meno che non si tratti di funzionari tenuti per dovere d’ufficio ad applicarlo o a farlo applicare. Trattasi, infatti, di nove pagine dense di contenuti di diverso tenore e natura, che propongono e sviluppano aspetti giuridici, pedagogici, didattici, amministrativi e organizzativi senza mai assumere toni e registri prescrittivi, ma sempre nell’ottica del suggerimento e dell’indicazione, senza mai perdere di vista i riferimenti alla variegata complessità dei contesti umani e territoriali ed alle particolari curvature che il medesimo problema può assumere al loro interno. L’indubbia ridondanza, che diviene a tratti vera e propria ripetitività, poteva certamente essere evitata, ma essa appare in parte giustificata dal bisogno di proporre all’attenzione osservante delle scuole, agli uffici periferici dell’ amministrazione, e agli altri soggetti coinvolti nella messa in opera degl’interventi, un’articolata varietà di soluzioni, suggerite dagli esperti del ministero o scelte tra quelle già in atto, autonomamente elaborate dalle scuole. Uno dei meriti che occorre riconoscere alla circolare è quello di avere saputo collocare le sue raccomandazioni nel quadro delle norme sull’autonomia, che non viene da esse negata o limitata, come talvolta è accaduto in passato, ma sollecitata a dare il meglio di sé in una cornice necessariamente unitaria. Dentro questa positiva cornice, compare, all’improvviso dissonante, uno strano lapsus: l’attribuzione al Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale del potere di consentire motivate deroghe al limite del 30%, in presenza di alunni stranieri nati in Italia, che abbiano un’adeguata conoscenza della lingua italiana. Ci sfuggono le possibili ragioni di questa inattesa intrusione burocratico-autorizzativa nella gestione di una questione squisitamente tecnica di competenza dell’autonomia scolastica, che nulla ha a che fare col dimensionamento dell’organico o con eventuali incrementi di spesa, in grado di chiamare in causa la responsabilità del predetto direttore. Si ha l’impressione che la circolare dell’8 gennaio sia stata scritta da più mani, una delle quali ha creato imbarazzo anche al ministro, costretto a precisare alla televisione e sui giornali che gli alunni stranieri nati in Italia non vanno computati nella quota del 30%.
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